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Quali cambiamenti e sfide si attendono per il lavoro dopo il Covid-19

Il mondo del lavoro cambia dopo il Covid-19. A partire dalle trasformazioni vissute nell’ultimo anno, adesso la sfida sarà governare i nuovi processi per trarne le migliori opportunità, evitando che lo smart working diventi un mezzo attraverso cui accentuare i divari sociali ed economici già presenti nel Paese rendendolo piuttosto un’occasione per coniugare innovazione digitale, progresso e giustizia sociale.

Nel 2020 i maggiori ambiti di investimento per le aziende sono stati PC, software/strumenti di collaboration ed applicativi web, una tendenza spinta dalla necessità di implementare lo smart working a seguito del diffondersi della pandemia e che in parte sarà riconfermata per l’anno in corso. È quanto emerge dalla survey annuale “Digital Business Transformation” condotta da The Innovation Group tra dicembre 2020 e febbraio 2021 su un campione di 181 aziende italiane.

Nel dettaglio l’analisi rileva come il 59% del campione abbia dichiarato di aver investito nel 2020 in PC (un investimento che viene confermato dal 32% dei rispondenti nel 2021), il 48% in software e strumenti collaborativi (49% nel 2021 – principale ambito di investimento per l’anno in corso) e il 36% in applicativi web (41% per quest’anno). Sempre per quest’anno è atteso, inoltre, un notevole aumento di chi dichiara di investire in software per document/workflow management system (+63%) e in servizi di outsourcing (+44%).

La tendenza di prestare attenzione a strumenti e soluzioni che facilitino il lavoro agile viene confermata anche limitando l’analisi al solo campione IT: nell’ambito di una più ampia strategia di Digital Workspace, il 70% dei rispondenti si aspetta, per l’anno in corso, un maggiore interesse alla sicurezza dei dati, applicazioni e dispositivi (63% nel 2020). Per quest’anno è atteso, inoltre, un incremento dell’attenzione al ridisegno della UX dei dipendenti (+87% dei rispondenti) e della misurazione/revisione dell’uso di soluzioni di digital workspace (+94% dei rispondenti).

Entrando nel dettaglio del livello di maturità digitale e cultura aziendale percepito dai rispondenti, l’analisi mostra come il campione reputi la propria azienda ad uno stadio avanzato nell’ambito dell’ “always connected” del dipendente (il 53% attribuisce alla propria azienda un punteggio pari a “Molto”/ “Moltissimo”) e del “knowledge sharing” (33% di chi dichiara “Molto”/ “Moltissimo”). Ancora poco sviluppata, invece, la cultura data driven (47% di chi risponde “Per niente” e “Poco”) e l’engagement del dipendente (61%).

Si tratta di aspetti su cui si dovrà lavorare a lungo, soprattutto se (come si stima) lo smart working rappresenterà una tendenza sempre più diffusa all’interno delle aziende e da cui dipenderà in buona parte il successo di simili iniziative. Del resto, che il lavoro agile si candida a non essere più un fenomeno passeggero dovuto alla necessità di reagire all’emergenza è dimostrato anche dagli ultimi dati trimestrali di Microsoft, Google ed Alphabet i cui ricavi sono stati trainati dal cloud computing, un successo notevolmente determinato dal proseguimento per molte aziende del lavoro agile (nonostante le parziali riaperture a cui si è assistito nei mesi scorsi e si sta tuttora assistendo).

Il passaggio dal “remote working emergenziale” allo “smart working strutturale” comporta, tuttavia, una serie di implicazioni economiche e sociali di cui aziende, organizzazioni ed istituzioni dovranno tener conto.

Innanzitutto bisogna chiedersi quanto siano sostenibili le nuove forme di lavoro agile: una più ampia diffusione dello smart working comporterebbe il rischio di accentuare disuguaglianze economiche e sociali già forti all’interno del Paese. Il riferimento è sia al digital divide sia allo status sociale dei lavoratori: sebbene, infatti, nella fase più acuta dell’emergenza sia stata ampliata la platea di lavoratori coinvolti nel lavoro agile (attività di call center, operatori di sportello, ecc..), si tratta comunque di una condizione che dipende in gran parte dalla specializzazione produttiva e dal tipo di mansioni svolte: alcuni contesti lavorativi potrebbero essere sovrarappresentati (attività svolte nell’ambito della finanza, della comunicazione ed informazione) a differenza di altri (manifattura/costruzioni). Non va dimenticata, inoltre, la presenza di alcuni settori e professioni che per loro natura possono essere erogati solo in presenza (ad esempio, turismo, ristorazione, spettacolo, sport, trasporti).

Per quanto riguarda il digital divide, è ormai risaputo che nello scorso anno il massiccio ricorso a telelavoro e teledidattica ha portato alcune aree geografiche a performare meglio di altre. Come garantire condizioni infrastrutturali omogenee per tutto il territorio nazionale? A crescere è, del resto, anche l’aspettativa della domanda: come rileva l’ultimo bollettino dell’Osservatorio sulle comunicazioni Agcom (pubblicato lo scorso 21 aprile), a fine dicembre 2020 gli accessi alla rete in rame sono scesi del 36,3% (con una flessione di 9,78 milioni di linee) rispetto all’83,4% registrato a dicembre 2016 a fronte del significativo aumento degli accessi

tramite tecnologie qualitativamente superiori, in particolare FTTC (+7,06 milioni di unità, +16,4% su base annua), FTTH (+1,38 milioni mila, +48,6% su base annua) e FWA (+0,69 milioni, +16,3% su base annua).

Un’ulteriore problematica da affrontare riguarda le differenze rilevabili tra aziende private ed organizzazioni pubbliche: allo stato attuale si assiste, infatti, allo sviluppo di uno smart working “a due velocità”, dove, se da un lato, molte aziende si stanno attrezzando per supportare una più ampia implementazione dello smart working al proprio interno, dall’altro si rileva la recente decisione di abolire nella Pubblica Amministrazione la soglia minima delle forme di lavoro agile al 50%. Si ricorda, inoltre, che a partire dal 1 gennaio 2022 all’interno dei Piani organizzativi del lavoro agile (Pola) l’obbligo della quota minima di personale passerà dal 60 al 15% dei dipendenti di tutte le amministrazioni.

Infine, quali modifiche sono attese all’interno degli spazi aziendali? Come sarà l’ufficio del futuro? Molti esperti del settore convengono nel ritenere che la nuova frontiera dello smart working sarà lo “smart office” o “office as a service”, espressione con cui si indica il cambiamento nel modo di concepire l’ufficio tradizionale, non più considerato come il luogo in cui svolgere il proprio lavoro ma come un ambiente di socializzazione e relazione in cui recarsi solo se strettamente necessario e dove promuovere l’identità aziendale e il senso di appartenenza (una delle principali problematiche che i dipendenti considerano dello smart working).

In questo senso, dunque, la crisi pandemica è stata la causa scatenante di moltissimi cambiamenti tecnici ed organizzativi rilevati nell’ultimo anno (tra cui appunto lo sviluppo del lavoro agile), abbattendo resistenze culturali ed organizzative e facendosi promotrice del ridisegno di assetti sociali, urbanistici ed economici. A partire da tali trasformazioni, adesso la sfida sarà governare tali processi per trarne le migliori opportunità, evitando che lo smart working possa diventare un mezzo attraverso cui accentuare i divari sociali ed economici già presenti nel Paese rendendolo piuttosto un’occasione per coniugare innovazione digitale, progresso e giustizia sociale, nella consapevolezza che, come affermato dal giornalista Maurizio Molinari in un suo recente editoriale, «è nello spazio digitale la nuova frontiera del lavoro».

Per approfondire tali tematiche ti invitiamo a partecipare alla web conference organizzata da The Innovation Group dal titolo “IL FUTURO DEL LAVORO E IL DIGITALE” che si terrà il prossimo 27 maggio dalle 10.00 alle 13.00. Per registrarti all’evento clicca qui.

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