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Perché il sustainable investing non è (solo) CSR

Finanza digitale e sostenibile sì, ma come? Se gli investimenti alternativi sono il nuovo trend del mercato finanziario, questo vuol dire che si tornerà a competere ad armi pari? Se ne parlerà il prossimo 27 febbraio al Digital Investment Management di The Innovation Group.

La nuova tendenza della finanza è green. La necessità di adottare un’impronta sostenibile si è, infatti, estesa anche a banche e investitori che stanno mostrando un crescente attivismo ed interesse verso la finanza sostenibile, una tendenza confermata dal fatto che l’industria finanziaria si sta orientando verso una sempre più sistematica integrazione del sustainable investing nei processi e nei prodotti di investimento.

A tal proposito è fondamentale introdurre tre concetti che assumono rilevanza quando si parla di finanza “alternativa”:

 

  • Sri – Sustainable and Responsible Investment: nuovo approccio di investimento etico che prevede l’esclusione dai portafogli di aziende operanti in settori non considerati ad impatto sociale (quali ad esempio l’alcool, il tabacco, le armi).
  • Esg – Environmental, Social and Governance: criteri che certificano l’impegno di un emittente, un titolo o un fondo dal punto di vista ambientale, sociale e di governance. Tali criteri vengono elaborati da agenzie che si occupano di analisi e raccolta dati sugli aspetti di sostenibilità delle attività delle imprese.
  • Impact Investing (anche Social Impact Investing): ampia gamma di investimenti basati sul presupposto che i capitali privati possano contribuire a creare, anche in combinazione con i fondi pubblici, impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici privati.

 

La forte attenzione a tematiche di questo tipo deriva anche dalla correlazione positiva, accertata da diversi studi in materia (come, ad esempio, il Rapporto annuale GreenItaly di Unioncamere e Fondazione Symbola), tra il sempre maggiore interesse da parte delle aziende a tematiche di rilevanza sociale e la loro performance finanziaria. Al riguardo un mercato in costante crescita è quello dei green bond: come riportato da S&P, ad ottobre 2019, erano stati emessi 212 miliardi di Green Bond mentre, secondo l’organizzazione Climate Bonds Initiative (CBI), entro la fine dell’anno l’emissione annuale di obbligazioni verdi avrebbe avuto un valore compreso tra 230 e 250 miliardi di dollari. Pur trattandosi di numeri importanti (secondo S&P la crescita nel 2019 sarebbe stata del 45% rispetto al 2018), si tratta di valori ancora piccoli se paragonati al mercato globale delle obbligazioni e comunque non in grado di supportare le istituzioni e i Paesi nel raggiungimento dei Sustainable Development Goals dell’Onu.

E per quanto riguarda l’Italia?

Come riportato dal Sole 24 Ore, in Italia, a novembre 2019, risultavano essere stati emessi titoli verdi per un valore di 5,4 miliardi di euro (contro i 2,8 miliardi del 2018), pari a nove obbligazioni di cui quattro da nuovi emittenti (Assicurazioni Generali, A2A, ERG e UBI) e cinque da società che avevano già adottato questa tipologia di finanziamento (Enel, Iren, Ferrovie dello Stato, Hera e Terna).

Secondo le stime della Climate Bond Initiative, il 3,6% delle emissioni globali totali di Green Bond proviene dal mercato italiano che si colloca, così,  al sesto posto in Europa (dopo il Francia, Germania, Olanda, Svezia e Spagna).

 

Il valore dei Green Bond in Italia

(valori espressi in milioni di euro)

Green Bond

Fonte: Banca Imi, Il Sole 24 Ore, 2019

 

L’Italia ha comunque sempre mostrato particolare interesse e attenzione alle iniziative sostenibili: non a caso lo scorso ottobre il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, nella nota di aggiornamento al Def, ha annunciato la volontà di emettere dei Green Bond italiani destinati a sostenere investimenti green.

Particolarmente attivo è anche l’impegno della Commissione Europea che ormai da tempo promuove e sviluppa iniziative su queste tematiche: dal Piano d’azione per un’economia più verde e più pulita adottato nel 2018 per realizzare un sistema finanziario volto a sostenere il programma europeo per lo sviluppo sostenibile al recentissimo Green New Deal che tra le priorità prevede l’introduzione di adeguati incentivi normativi per consentire la diffusione degli investimenti verdi.

Tuttavia, non va dimenticato che la transizione verso un’economia e una finanza green è fortemente favorita e supportata dalla rivoluzione digitale: del resto obiettivo ultimo delle iniziative citate finora è una finanza che si definisca “digitale” oltre che, appunto, “verde” e “sostenibile”. Il tema pone comunque delle questioni ancora irrisolte: ad esempio, quali applicazioni concrete per le tecnologie digitali alla finanza sostenibile? Ma soprattutto, quali vantaggi per un suo maggiore sviluppo? E se la tanto auspicata finanza digitale e sostenibile mettesse ulteriormente in crisi gli istituti di credito tradizionali sancendo una volta per tutte il successo dei nuovi operatori (Fintech, Challenger banks, OTT)? In questo senso il sustainable investment non rappresenterebbe soltanto un’iniziativa dell’impresa responsabile e attenta ai temi sociali ma una nuova occasione di riqualificazione per l’intero mercato finanziario.

Una parte di questi temi verrà affrontata il prossimo 27 febbraio in occasione del Digital Investment Management organizzato da The Innovation Group, primo workshop nell’ambito del Banking Program 2020 in cui si cercherà, tra le altre cose, di comprendere come evolverà, a fronte di queste trasformazioni, l’architettura di offerta degli asset manager, come dovranno essere costruiti portafogli ed asset di investimento per i risparmiatori e come il digitale potrà sviluppane una gestione efficace.

 

 

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