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Affrontare una crisi mantenendo il controllo

N.  Settembre 2020
        

a cura di Elena Vaciago 
Associate Research Manager, The Innovation Group

 

Intervista a Vittoria Pietra, Psicologa Psicoterapeuta

L’emergenza dell’ultimo periodo, collegata alla diffusione della pandemia da Covid19, ha messo in luce l’importanza di considerare la resilienza di reti e infrastrutture informatiche, nel preservare la continuità di processi e attività. Ma cosa dire delle persone? Quali sono state le conseguenze della crisi e che cosa abbiamo imparato sulle “emozioni” e sulla nostra capacità di far fronte ad eventi di questa portata? Anticipiamo in questa intervista alcuni dei temi su cui si soffermerà Vittoria Pietra, Psicologa Psicoterapeuta durante la Web Conference “L’esperienza della cybersecurity in tempi difficili: cosa abbiamo imparato” organizzata da The Innovation Group per il prossimo 10 settembre 2020.

 

Cosa ci ha insegnato lo “stress Test Covid” sulla capacità delle persone di rispondere a una grave crisi come l’evento eccezionale che abbiamo vissuto negli ultimi mesi?

Partiamo dal fatto che l’etimologia della parola “crisi” vuol dire “scelta”.  Nella nostra esperienza, le crisi ci toccano come individui: devo scegliere tra un lavoro o un altro, se sposarmi, se fare un figlio e così via. Quella che abbiamo attraversato è stata a tutti gli effetti una crisi, ma con delle caratteristiche molto diverse: da un lato, perché ha avuto un impatto globale, non ci ha riguardato come singoli individui ma come intere comunità.  È arrivata a toccare ogni paese nel mondo, imponendogli di fermarsi. Se vogliamo è già accaduto nel corso della storia (guerre, terremoti, carestie, pandemie) ma non con questa portata globale.

Dall’altro lato, mentre la crisi richiede di fare delle scelte, in un verso oppure in un altro, in questo caso abbiamo potuto e dovuto seguire delle linee guida che ci venivano impartite su quasi tutto: come lavorare, come comunicare, come muoverci o fare acquisti. Le decisioni che abbiamo preso non sono state private ma molto comunitarie. Ognuno poi si è arrangiato a modo suo, lavorando in smart working da una stanza o sul balcone o in cantina, ma in sostanza ci è stato spiegato quasi tutto quello che dovevamo fare.

 

Cosa abbiamo imparato dalla situazione che si è andata creando con il diffondersi della pandemia?

Il lockdown è stato di fatto una variante della nostra vita, ma non abbiamo cambiato i nostri obiettivi abituali, semplicemente ci siamo adattati (e in questo la tecnologia ha avuto un ruolo importantissimo, che non aveva mai raggiunto in precedenti momenti di emergenza globale).

Non abbiamo sospeso le attività (dove ci è stato permesso grazie allo smart working) ma semplicemente abbiamo proseguito in modo diverso: è quello che si chiama Resilienza.

Un termine oggi abusato, di cui non si conosce il reale significato.

Per essere definiti resilienti bisogna che vengano mantenute due caratteristiche:

  • Modificare la propria forma (“deformarsi”)
  • Mantenere lo scopo prefissato.

Se punto a non modificare i miei comportamenti, non è resilienza ma “resistenza”. Mentre se modifico i miei piani, di nuovo non è resilienza. Lo è solo quando unisco la capacità di adattamento al perseguimento del mio scopo, passando anche attraverso una deformazione importante.

Quella che abbiamo vissuto è stata, più che in altre occasioni (dove magari prevaleva l’aspetto di resistenza) una prova di resilienza, in quanto le persone, per mantenere il proprio programma di vita, hanno deformato sé stesse, i propri comportamenti e le abitudini quotidiane, continuando a lavorare ma con orari diversi, in condizioni diverse, con dinamiche e ruoli diversi.

 

Cosa è cambiato nel nostro rapporto con le tecnologie digitali?

Se qualcuno cercava di tenerle fuori, io per prima, non c’è più riuscito, perché la tecnologia ha reso possibile fare qualunque cosa ed è stato anche l’unico mezzo lecito per poterle fare. Inoltre, ha giocato un ruolo fondamentale nel togliere il singolo dalla solitudine: in uno scenario di crisi globale, la comunicazione è stata capillare e ha raggiunto immediatamente tutti, rendendo pubblico cosa fare e cosa no. Più che di una crisi individuale si è trattato di una crisi globale, di decisione comunitaria che ha coinvolto intere comunità piuttosto che singoli individui. A livello globale, il numero dei decisori, dei capi, è diminuito. Inoltre, abbiamo introdotto un elemento fondamentale per tenere sotto controllo l’emotività: quello del conforto e della condivisione.

Il controllo delle emozioni non è semplice quando la crisi riguarda molti, perché le emozioni sono contagiose: è importante allora avere un leader, che a sua volta è un portatore di emozione, a cui tutti guardano e a cui si adeguano. La calma e il controllo del leader abbassa l’emotività collettiva.

Per capire quanto conta la condivisione in momenti come questi basti pensare a quante sono state le videocall fatte durante il lockdown, quando tutti volevano vedersi in faccia per capire quello che provavano gli altri. In sostanza la tecnologia ci è venuta in aiuto e ci ha anche permesso di rimanere umani, di contagiarsi emotivamente gli uni con gli altri, di provare un gran sollievo vedendo qualcuno sorridente e tranquillo.

 

  • Quali sono gli ulteriori risvolti positivi delle emozioni?
  • Come interpretarle e come reagire?
  • Cosa abbiamo appreso dall’esperienza vissuta?

Di questi temi parleremo durante la Web Conference “L’esperienza della cybersecurity in tempi difficili: cosa abbiamo imparato” del prossimo 10 settembre 2020.

 

 

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