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Uscire dal limbo più forti

N.  Giugno 2020
        

a cura di Ezio Viola 
Co-Fondatore, The Innovation Group 

 

La pandemia ci ha colti impreparati, tutti. Ciò è comprensibile, ma non lo sarebbe,  così come neanche sarebbe giustificabile se la transizione per uscire dall’emergenza ci cogliesse di nuovo impreparati per gestire il dopo. La transizione non sarà breve ma sarà necessariamente graduale: dobbiamo convivere, o come ha detto qualcuno,  essere capaci di “ballare” con il virus come individui e cittadini, come aziende, come pubblica amministrazione.
Viviamo per ora in tempi molto interessanti in cui è in corso quasi una guerra ideologica tra le “forze” dell’apertura e quelle della “chiusura” ed è difficile provare a descrivere la mappa di questo conflitto.  Occorre incominciare a definire e capire i cambiamenti di ciò che sta accadendo o già è accaduto.
Il mondo “nuovo” che si aprirà dopo sarà diverso da quello di prima? Sì forse,  non completamente e non per tutti: navigare solo a vista, durante questa lunga transizione in attesa del dopo, senza pianificare come arrivarci e senza prepararci sarebbe esiziale come aziende, società e Paese.
Ora siamo come in un “limbo”, ecco dove esattamente siamo: un limbo in cui non sappiamo se le vite delle persone stanno esattamente tornando come quelle di prima, dopo questi tre mesi di surreale sospensione, oppure se invece verrà tutto spazzato via da quella che molti chiamano la “nuova normalità”.
Siamo per ora nel limbo della curva epidemica e quello che succederà dopo la fine del lockdown sembra  troppo aggrappato al buon senso civico delle persone e un po’ alla fortuna che non succeda nulla di grave che ci faccia tornare indietro. Dai media sembra che stiamo vivendo l’inizio di una festa di liberazione o forse stiamo muovendoci verso un nuovo punto di rottura? Dobbiamo fare uno sforzo di razionalità e cercare di mettere in fila cosa sicuramente cambierà totalmente o parzialmente del comportamento e del modo di agire delle organizzazioni e delle aziende che è stato sperimentato durante l’emergenza.
Alcune cose  ragionevolmente potranno subire una accelerazione e diventare parte del nuovo modo di lavorare, di vivere e di consumare con un impatto significativo su risorse, competenze, modelli operativi e di funzionamento delle organizzazioni e delle aziende. I due mesi di lockdown sono stati quasi un esperimento pilota forzato, ma  reale, per lo smart-working  (o meglio in molti casi è stato forse un remote working). Essi hanno fatto capire a molte aziende che non si potrà tornare indietro con tutto quello che ciò comporta sulla capacità di gestire la flessibilità degli orari, la mobilità e i trasporti, la logistica degli spazi esterni ed interni degli uffici e le facilities, la sicurezza e la salute del lavoro, la possibilità/necessità di utilizzo di tecnologie di contact tracing anche all’interno delle aziende, le minacce e i nuovi rischi cyber, la necessità di avere una infrastruttura di rete digitale estesa e performante.

L’utilizzo dei canali e delle piattaforme digitali per comprare e vendere ha fatto esplodere l’ecommerce, ha messo alla prova le capacità dei processi e delle catene distributive di fabbriche e del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Le piattaforme di  videocomunicazione  hanno permesso di mantenere il contatto e la relazione con le persone siano esse clienti, fornitori o colleghi.
Nuovi  segmenti di utenti  che prima erano restii ad usarle ne hanno apprezzato la convenienza e l’efficacia e hanno messo le basi per un modo di interagire più collaborativo, anche se a distanza,  ma anche  hanno messo alla prova la capacità di gestire una conversazione senza sfruttare l’empatia del contatto fisico.
Questo comporterà per le aziende di rivedere la customer/employee/citizen experience  tra digitale-fisico in modo continuo,  l’integrazione di processi in modalità end-to-end,  l’utilizzo più pervasivo di automazione intelligente attraverso la  capacità di raccogliere ed analizzare dati reali e di contesto,  per poter prendere decisioni real-time con o senza l’intervento dell’uomo.
L’automazione intelligente dei processi sarà il motore  alla base dei modelli operativi delle aziende  in futuro. Sarà alla base della revisione delle supply chain globali attuali che si sono mostrate fragili allo shock della pandemia. Riuscire a raggiungere una scalabilità digitale permetterà anche di utilizzare modelli operativi che permettano l’edging delle catene di produzione, garantire alle aziende, in particolare quelle manifatturiere,  la resilienza e la flessibilità necessarie per supportare la ripresa e la crescita economica in futuro.
La competitività dell’industria del nostro Paese si giocherà soprattutto nell’accelerare  il processo di trasformazione digitale utilizzando pienamente le capabilities che  Industria 4.0 aveva appena iniziato a portare nelle aziende più avanzate.  Se si fermasse sarebbe esiziale, ecco perché dovrà ritornare ad essere in tempi brevi una delle priorità  di intervento  anche della  politica industriale del dopo Covid-19.
Salute, ambiente, digitale, educazione, competenze dovranno ritornare al centro di politiche pubbliche di investimento e saranno le sfide per evitare il declino. Ci sarà quindi tanto bisogno di innovare, la creatività sarà fondamentale ma ci vuole una progettazione e una execution efficace e con tempi certi per non perdere l’opportunità di uscire dalla crisi più forti di prima.

 

 

 

 

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