17.06.2022

Tecnologia ostile o responsabile? Dipende da noi

Il Caffè Digitale

 

Dalla sanità all’agroalimentare, dalle Internet company alla Pubblica Amministrazione, passando per i vendor Ict: gli esempi di tecnologia “amica” della società e delle persone non mancano, anche in Italia.

Come poter creare tecnologia nel modo giusto, responsabile, rispettoso dei singoli e teso al progresso? In un momento storico in cui i temi dell’inclusione, della privacy e della sostenibilità finalmente fanno parte del dibattito mediatico, queste domande non sono materia da filosofi. Perché ogni scelta relativa alla tecnologia – come crearla, utilizzarla, diffonderla – ha delle conseguenze concrete sulla vita delle persone.

Rebecca Parsons
CTO, ThoughtWorks

“Gli hackeraggi, i ransomware, le violazioni dei dati e gli attacchi DDoS sono protagonisti del racconto mediatico sulla tecnologia ostile”, ha spiegato Rebecca Parsons, chief technology officer di Thoughtworks. “Ma esiste una tecnologia ben più ostile di quella degli attacchi informatici”.  Gli esempi di danni involontari causati dall’informatica sono innumerevoli: software di intelligenza artificiale viziati dal bias (il pregiudizio insito nei dati), sistemi di riconoscimento biometrico che operano discriminazioni etniche, siti di e-commerce che propongono raccomandazioni personalizzate di farmaci o altri prodotti potenzialmente pericolosi, per citarne solo alcuni. Spesso, ha sottolineato Parsons, è difficile comprendere quali saranno le conseguenze di una tecnologia sbagliata perché ci focalizziamo solo sui diretti destinatari o sul singolo problema da risolvere. Bisogna invece allargare lo sguardo, valutando tutti i possibili impatti sulle persone, quelle che non sembrano direttamente coinvolte. Porsi le giuste domande è un buon punto di partenza. I gruppi di persone che testano un nuovo software riflettono gli utenti finali effettivi? C’è un’adeguata rappresentanza? I dati di partenza sono sufficienti? Quale sarà l’impatto ambientale della soluzione?

#MomentiColazioneDiLavoro

In visita in Italia, la Cto di Thoughtworks ha incontrato un gruppo di dirigenti e IT leader, tutte donne, per confrontarsi con loro sul tema della tecnologia responsabile. E dalla colazione di lavoro è emersa un’idea comune: per un uso del digitale teso alla sostenibilità, all’inclusione e al progresso, bisogna ragionare in ottica di collaborazione multidisciplinare e di ecosistema. Il ruolo dei vendor Ict, indubbiamente, è centrale. “Per le aziende la green line sta diventando sempre più importante, e da ottimista penso che la tecnologia possa avere un impatto trasformativo e che questo sia il momento giusto”, ha sottolineato Carla Masperi, Coo & acting country Manager di Sap Italia. “La sostenibilità è al centro della nostra strategia e si declina nel raggiungimento di un triplo zero: zero rifiuti, zero emissioni e zero disuguaglianze. Il 77% delle transazioni di business tocca un sistema Sap, dunque abbiamo una grande responsabilità e un grande impatto trasformativo sul Pianeta. Ma la sostenibilità è una partita che dobbiamo giocare insieme, come ecosistema”. Altra riflessione interessante, fatta dal punto di vista di un vendor, è quella di Mirella Cerutti, amministratore delegato di Sas Institute Italy: “Il concetto di tecnologia responsabile per noi si declina su tre dimensioni. Innanzitutto il rapporto con i nostri clienti: nel portare avanti un progetto, cerchiamo di far capire che bisogna considerare tutte le sue implicazioni e non solo l’obiettivo specifico del progetto stesso. In secondo luogo l’ecosistema: lavoriamo, per esempio con le università, per promuovere la presenza delle donne negli ambiti Stem. Infine i dati: oggi è diventato molto più facile condividerli ma è importante farne un uso responsabile”. A rappresentare la Pubblica Amministrazione, al tavolo della colazione di lavoro di Thoughtworks, c’era Layla Pavone, Innovation Technology and Digital Transformation Board Coordinator del Comune di Milano. “Negli anni Novanta ero tra quei pionieri convinti che Internet e il digitale avrebbero cambiato il mondo”, ha raccontato. “Oggi, a distanza di quasi trent’anni, discutiamo ancora di come la tecnologia possa aiutare le persone. Ancora non abbiamo risolto il problema del digital divide e dell’inclusione di chi ancora oggi non è connesso alla rete o non può permettersi l’acquisto di tecnologie hardware, e per questo è escluso dalle opportunità del digitale. Credo oggi sia importante definire delle regole comuni, una sorta di manifesto sull’utilizzo responsabile della tecnologia, che abbia al centro il bene delle persone”. A proposito dell’ipotetico “manifesto”, Parsons ha suggerito che si potrebbe cominciare definendo le diverse dimensioni da considerare e criteri per tracciare un confine tra gli interessi delle aziende e i diritti degli individui. “Sulla tecnologia responsabile è cruciale, secondo me, cercare di creare una community e avere un manifesto comune”, ha osservato Azzurra Ciraci, head of technology post trade, Chief Information Officer di Euronext Securities. “Le singole iniziative rischiano di avere uno scarso impatto e di richiedere investimenti troppo elevati, non sostenibili dalla singola azienda. Ecco perché, come Cio, dobbiamo lavorare insieme”. Le singole aziende, tuttavia, possono fare le proprie parte anche individualmente. “Lavorare in modo responsabile in azienda per me significa creare valore per i clienti e per gli stakeholder”, ha proseguito Ciraci. “Qualche volta si mobilitano investimenti per progetti che poi dimostrano di non aver risposto a delle necessità reali. Bisogna utilizzare bene le risorse, ma l’altro asset rilevante sono le persone”.
Nel campo del made in Italy agroalimentare c’è un esempio di tecnologia responsabile che rappresenta un modello esportabile anche all’estero: l’uso della blockchain come garanzia di qualità e trasparenza per il consumatore, e come strumento utile per i produttori agricoli. Ci siamo accorti, ultimamente, che il principale interesse del consumatore è la salubrità del prodotto, per cui abbiamo voluto dare indicazioni sull’origine, sulla produzione e sulla qualità delle nostre arance”, ha detto Elena Eloisa Albertini, vicepresidente del Consorzio Arance Rosse di Sicilia. ROUGE (acronimo di Red Orange Upgrading Green Economy) è una piattaforma blockchain per la tracciabilità che mette insieme dati produzione, distribuzione e attività logistiche, mentre un’app fornisce dati di geolocalizzazione in base ai tag e chip Nfc apposti sulle cassette di arance. Il progetto è stato presentato agli standard ISO e potrà essere utilizzato come modello nella supply chain alimentare anche fuori dall’Italia. “Il consorzio di tutela”,  ha spiegato Albertini, “deve vigilare sui prodotti ma anche dare servizi ai suoi associati, 600 produttori tra grandi e piccoli. La tecnologia blockchain è stata la più favorevole alla nostra realtà. L’abbiamo voluta provare e testare ma è difficile perché nelle zone rurali del Meridione persistono problemi di infrastruttura, quindi di connettività, ma anche di disponibilità ad adottare le tecnologie digitali”. E quello della copertura infrastrutturale in Italia è notoriamente un punto dolente, che dovrà essere affrontato per garantire il pieno accesso alle tecnologie e l’assenza di discriminazioni. A proposito di inclusione, una testimonianza interessante è stata quella di Marianna Bruzzese, engineering manager di lastminute.com: “Per noi è importante che il consumatore sia al centro, e questo significa non solo assicurare il rispetto del Gdpr ma anche considerare i diritti delle persone. In lastminute.com lavoriamo secondo logiche di inclusione, valorizzando le diversità, e cerchiamo di avere una visione sul problema del bias inconsapevole”. Dal 2016 lastminute ha anche una sua fondazione, con cui porta avanti iniziative di sostegno a no-profit e startup a impatto sociale. Parlando di tecnologia responsabile, è impossibile ignorare un ambito tanto delicato e sempre più digitalizzato come quello della sanità. “Per aumentare l’accesso all’innovazione nel settore healthcare è necessario coinvolgere i policy-maker, i professionisti della sanità di diverse categorie, per assicurarsi che la tecnologia risponda a vere necessità e che possa essere integrata nei sistemi esistenti”: questa la visione di Alberta Spreafico, global head of digital health, innovation & strategy di Healthware Group, società che sviluppa soluzioni e servizi IT per il settore sanitario. “La dimensione ambientale è solo un aspetto della sostenibilità”, ha proseguito Spreafico. “Bisogna considerare anche la questione dell’impatto sociale, dell’inclusione e dell’accesso alla tecnologia, specie per un settore come quello dell’healthcare. Inoltre credo oggi ci sia bisogno di un approccio olistico all’innovazione, focalizzato sull’esperienza dell’utente finale”. Camilla Ziliani, chief information officer di LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), ha sottolineato quanto la digitalizzazione stia aiutando il settore no-profit a guadagnare efficienza. “Oggi il servizio che offriamo ai pazienti affetti da cancro è totalmente elettronico, ma in passato non lo era e non è stato facile per il personale medico e amministrativo abituarsi al cambiamento”, ha raccontato Ziliani. “All’interno di LILT oggi è diventato chiaro come il digitale possa aiutare a migliorare l’efficienza dei processi. Questo si traduce in un miglior uso delle risorse, che devono essere dedicate in massima parte alla missione della nostra associazione, che è quella di promuovere ed effettuare la prevenzione oncologica, l’assistenza ai pazienti che si trovano in condizioni sociali ed economiche svantaggiate e la ricerca sul cancro”.

in alto da sinistra:
Alberta Spreafico – Healthware Group, Mirella Cerutti – SAS;
Azzurra Ciraci – Euronext Securities, Marianna Bruzzese – LastMinute Italia;
Camilla Ziliani – Lega Italiana Lotta contro i Tumori, Layla Pavone, Comune di Milano;
Carla Masperi – SAP, Elena Eloisa Albertini – Arance Rosse di Sicilia.

 

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