Il Ministero dell’Innovazione ha pubblicato pochi giorni fa i documenti a supporto della scelta della app di contact tracing da utilizzare nella fase 2 dell’emergenza Covid-19.
A seguito della pandemia di Coronavirus in corso, l’Italia, oltre alle terribili perdite in capitale umano, è destinata ad attraversare la crisi più difficile dal secondo dopoguerra, peggio di quella del 2008 nata dalla crisi dei mercati finanziari e poi trasferita nell’economia reale.
Dopo Davos abbiamo visto la conversione anche della business community e delle elite mondiali ai temi della sostenibilità considerati elementi fondamentali del nuovo e prossimo modello di capitalismo degli stakeholder e come evoluzione del tradizionale (e tuttora dominante) capitalismo degli azionisti.
La recente presentazione del piano industriale di Unicredit conferma e prosegue la direzione del cambiamento in cui è impegnata una delle più grandi banche italiane, tenendo presente due fattori condizionanti: l’invasività e pervasività delle tecnologie digitali e un perimetro normativo in evoluzione.
La trasformazione digitale delle imprese e l’innovazione tecnologica ci hanno insegnato che ogni business è in una forma o nell’altra anche un business digitale.
L’industria manifatturiera è un asset importante dell’economia europea con 2 milioni di imprese, 33 milioni di addetti e l’Italia ne rappresenta la seconda dopo la Germania.
L’ultima notizia di circa un mese fa è che il Dipartimento della Giustizia (DoJ) americano ha annunciato un’ampia investigazione antitrust verso le principali piattaforme online (Facebook, Amazon, Google e Apple) aumentando il livello di attenzione sul potere dei BIG_TECH e su spazi importanti dell’intera economia.
Siamo nel mezzo di un grande ciclo di profondo di cambiamento dell’industria bancaria e i nuovi entranti, abilitati dalla rivoluzione digitale, stanno crescendo e diversificandosi. Le banche tradizionali fanno fatica a comprendere che digitalizzare non è sinonimo di trasformazione digitale