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Smart working: oltre l’emergenza?

N. Giugno 2020
        

tratto da un intervento di
Paolo Sottili
Direttore Generale, Direzione Centrale Organizzazione, Regione Liguria

 

Intervento effettuato durante la Web Conference del 5 Giugno “SMART WORKING: TECNOLOGIE, ORGANIZZAZIONE, RISORSE UMANE”, appuntamento del Digital Italy Program 2020

#LaVisioneDeiLeader

 


All’interno della Regione Liguria lo smart working è nato in un momento di emergenza. Nonostante la Regione avesse già dato avvio alla definizione del progetto, in realtà, il primo vero forte impulso è venuto dal crollo del Ponte Morandi; l’implementazione del lavoro agile è così partita celermente con priorità per le aree urbane ed extra urbane maggiormente impattate dal crollo per poi essere estesa come opportunità a tutti i lavoratori dell’Ente. Lo smart working è stato concepito da subito in Regione non come un diritto sociale dei lavoratori ma come uno scambio: flessibilità, autonomia e benessere per il lavoratore a fronte di maggiore responsabilizzazione, iniziativa e risultati per l’Amministrazione. I primi dipendenti in smart working vengono attivati a inizio novembre 2018 e si cerca di promuovere quanto più possibile questa nuova cultura manageriale e organizzativa. Si è trattato, tuttavia, di progetti limitati che hanno coinvolto meno di 100 dipendenti (su un totale, allora, di oltre 1200 unità); a seguito della pandemia, invece, in pochi giorni, sono stati messi in smart working “emergenziale” oltre 1200 lavoratori (circa l’80% dell’organico). Non si è trattato propriamente di smart working, è stato più volte detto (infatti, si è stati costretti a lavorare soltanto da casa dove si era confinati, il tempo risparmiato non andando in ufficio difficilmente si è tradotto in benessere personale) anche se è stata apprezzata una certa conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (si pensi ai lavoratori con i figli a casa per la chiusura delle scuole).

Il primo effetto positivo dello smart working emergenziale è stato quello di abbattere schemi mentali e resistenze culturali esistenti a tutti i livelli dell’organizzazione, facendo cambiare punto di vista a persone sino ad allora diffidenti o addirittura palesemente contrarie, che mai avrebbero fatto questa esperienza. In questo contesto sono nate delle nuove alleanze che aiutano a proiettare lo smart working oltre la fase emergenziale. In molti hanno riconosciuto che il lavoro agile ha funzionato, ha consentito la sostanziale continuità delle attività, spesso con incrementi di produttività attraverso una maggiore focalizzazione sui risultati. Lo smart working emergenziale ha inoltre dato una forte spinta alla digitalizzazione delle attività e allo sviluppo delle relative competenze in una PA certamente non fatta da nativi digitali.

Lo smart working richiede un particolare sforzo, prima in termini di programmazione delle attività e di definizione degli obiettivi e poi in termini di monitoraggio e controllo dei task svolti da remoto dai collaboratori ma chi ha sperimentato questo cambiamento vuole far sì che il lavoro agile diventi un modo di essere diffuso e strutturale dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione: si sono create tutte le condizioni perché, una volta terminata la fase emergenziale, ciò accada. In primo luogo, si rileva una forte domanda da parte dei lavoratori (le resistenze culturali di cui si parlava in precedenza riguardavano anche gli impiegati, in una PA con una età media elevata) e, di conseguenza, da parte delle organizzazioni sindacali. Ma anche buona parte del management, il Ministero della Pubblica Amministrazione, Amministratori regionali e comunali, lavorano in questa direzione. I nuovi trend che si stanno affermando potranno anche essere supportati da cambiamenti nell’attuale quadro normativo nazionale di riferimento, come è stato detto, ma richiedono in primo luogo una forte adesione, un forte impulso da parte del management pubblico.

Oltre ai già noti vantaggi dello smart working (aumento della produttività, riduzione delle assenze, contenimento dei costi anche attraverso la razionalizzazione degli spazi fisici, maggiore appeal della Pubblica Amministrazione verso giovani di talento, città più sostenibili), esistono specifiche valide ragioni perché tale filosofia manageriale si diffonda nel settore pubblico. Infatti:

  • supporta un cambiamento culturale ad oggi necessario nella Pubblica Amministrazione, ovverosia il passaggio dalla cultura della presenza e dell’adempimento, alla cultura dell’iniziativa e della gestione per obiettivi;
  • richiede maggiori investimenti nello sviluppo delle competenze manageriali e organizzative trasversali, rimaste sempre in secondo piano nella PA ma che sono essenziali per governare il cambiamento e meglio focalizzare l’organizzazione verso il conseguimento dei risultati attesi da cittadini e imprese;
  • promuove la reingegnerizzazione dei processi in un’ottica di semplificazione, digitalizzazione e remotizzazione dei servizi;
  • infine lo smart working, sostenendo la cultura del risultato e la reingegnerizzazione dei processi, è un grande alleato di un’altra importante trasformazione in atto nella Pubblica Amministrazione: la valutazione partecipativa ovvero la valutazione della performance organizzativa degli enti pubblici da parte di utenti finali, cittadini e altri stakeholders. In questo senso lo smart working, sia pur indirettamente, lavora per arginare il rischio dell’autoreferenzialità della PA.
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