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Saranno tempi duri per i BIG_TECH diventati ormai dei quasi-monopolisti digitali?

N.  Settembre 2019
        

a cura di Ezio Viola 
Managing Director, The Innovation Group 

 

L’ultima notizia di circa un mese fa è che il Dipartimento della Giustizia (DoJ) americano ha annunciato un’ampia investigazione antitrust verso le principali piattaforme online (Facebook, Amazon, Google e Apple) aumentando il livello di attenzione sul potere dei BIG_TECH e su spazi importanti dell’intera economia. Il  Dipartimento ha deciso di indagare su come queste piattaforme abbiano raggiunto il loro potere di mercato attuale e su come abbiano adottato pratiche che hanno ridotto la concorrenza e ostacolato l’innovazione. Dopo l’annuncio, le quotazioni di queste aziende ne hanno leggermente risentito.

La notizia da parte del DoJ arriva dopo che la Commissione Europea ha deciso di essere più “aggressiva” nel verificare il potere di mercato dei colossi del web e avendo già espresso, in un report dello scorso aprile (“Competition Policy for the Digital era”) , la sua preoccupazione per questi “giocatori dominanti” del mercato, prevedendo inoltre di assoggettarli a regole Antistrust più rigide. Questa è stata una delle ultime mosse del commissario alla concorrenza Margrethe Vestager (che forse rimpiangeremo) in attesa del nuovo commissario che prenderà il suo posto.

Questo annuncio è stato dato poco prima che la FTC (Federal and Trade Commission) avesse dato la multa più salata di sempre (5B$) a FB per avere utilizzato i dati dei consumatori in modo improprio e senza trasparenza. Qualche critica è emersa dal fatto che l’investigazione sarà realizzata da due diverse agenzie: la divisione Antitrust della FTC per FB e Amazon e il DoJ per Google e Apple, e che quindi si possa arrivare a due conclusioni diverse e contrastanti.

Il potenziale conflitto di interesse dei BIG_TECH che da un lato operano come Platform Provider a supporto di altre aziende e contemporaneamente offrono i propri servizi in concorrenza, è da tempo un tema molto critico nel dibattito politico americano, tanto che la senatrice Elizabeth Warren ha depositato una mozione per il break-up di questi colossi per farli diventare quasi delle utilities più regolate.

Nell’era di internet si rimette in gioco anche l’interpretazione dei controlli antimonopolistici, dove diventa meno rilevante l’accento sui prezzi da monopolio come danno principale per i consumatori. Il potere dei BIG_TECH, che offrono spesso servizi a basso costo o gratuiti, sta nella capacità di arricchire il proprio ecosistema inglobando business di altri settori e integrando facilmente tecnologie rivali facendo “fallire” di fatto la concorrenza.

Resta inoltre aperto il capitolo delle tasse pagate o eluse, in particolare in Europa, e la recente  legge promulgata in Francia che prevede una tassa del 3% sui ricavi oltre una certa soglia. L’impatto dell’indagine antitrust e delle multe è stato finora limitato, ma contrastare posizioni dominanti è un’evoluzione fisiologica dei meccanismi del mercato, almeno in USA e l’effetto sul medio termine sarà quello di indurre le società coinvolte ad accelerare la diversificazione del loro business, cosa che sta già avvenendo per alcune di loro.

Il timore che questo processo abbia evoluzioni imprevedibili in questo momento, verso un potenziale break-up di alcune aziende è un qualcosa che prima era impensabile, e che pone anche il problema di quale forma possa avere un break-up forzato. Le possibilità vanno dal far diventare società separate regolate come utilities, alcune delle piattaforme più grandi e potenti (basti pensare a FB per WhatsApp e Instagram  o YouTube, a Google search per Alphabet, il mobile app store per Apple o l’e-commerce market place di Amazon con dentro AWS) probabilmente questo non è sufficiente ad impedire che i dati dei consumatori delle diverse entità possano essere riassemblati. Nei diversi modelli di business che i BIG_TECH hanno costruito sulle loro piattaforme, che sono basati su software, dati e algoritmi il break-up è molto complicato e difficile da realizzare per essere efficace. Per esempio, Google non fa pagare l’utilizzo di Android che però viene usato per indirizzare gli utenti ai suoi servizi di ADV ma è proprio il fatto che Android sia gratis che permette di avere sempre a disposizione servizi come Maps e Gmail. In conclusione, decidere cosa costituisce una piattaforma digitale e definirne i confini estraendone le funzioni dedicate dalle operations, può essere un esercizio complesso e controverso.

Per quanto riguarda il break-up, un altro approccio potrebbe essere quello di limitare il numero dei mercati in cui queste aziende possano operare, come ad esempio quello dei servizi finanziari o dei trasporti, cosa che sta già avvenendo per alcune di esse. Una terza possibilità è “cancellare” le passate acquisizioni fatte da parte dei colossi, come prima accennato, potrebbero essere i casi di WhatsApp, Instagram e YouTube per FB e Google ma questo approccio si scontra con il processo già in atto di una maggiore integrazione dei diversi servizi per alcuni di essi, basti pensare a FB con WhatsApp e Instagram Messenger.

Come un possibile futuro break-up di uno dei colossi dei BIG_TECH possa impattare il valore e le quotazioni e quindi essere considerato un potenziale disastro per gli investitori è difficile ora prevederlo perché ci sono casi in cui la “somma delle parti può valere di più o di meno dell’intero”.

Quel che è certo è che la tecnologia digitale sta trasformando il concetto di posizione dominante L’effetto-rete porta i vincenti a vincere sempre di più. Come evidenziato anche in un recente articolo di Luca de Biase sul sole 24 ore “Occorrono regole davvero nuove che sappiano adeguare il paradigma al potere dei BIG_TECH e al significato di monopolio nell’era digitale ma salvaguardino l’innovazione. Regole che impediscano il controllo privato dei big data, che obblighino le piattaforme a essere interoperabili, che difendano la neutralità della rete, che garantiscano davvero la privacy e non affidino alle stesse aziende il compito di autocontrollarsi. Ma un fatto è certo: non basteranno mai le leggi se non ci sono alternative a ciò che viene offerto dai giganti del web. Ciò che le regole antitrust devono difendere è la possibilità di innovare. I giganti non subiscono sconfitte decisive in tribunale: le trovano quando incontrano chi interpreta meglio di loro le opportunità offerte dalla tecnologia”.

 

 

 

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