Questo braccialetto non s’ha da fare!
Il Caffè Digitale
N. Marzo 2018
a cura di Yuri Monti
Consultant, Colin & Partners
Tra rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e tutela dei lavoratori, a tenere banco negli ultimi tempi è la spinosa questione circa il possibile utilizzo di un braccialetto elettronico (al momento solamente oggetto di brevetto) da parte degli operatori all’interno degli stabilimenti italiani di Amazon. In particolare, il device ideato dal colosso americano sarebbe volto a ottimizzare il lavoro dei dipendenti: esso infatti sarebbe una delle componenti di un sistema di trasponder, in grado di individuare la merce presente nei magazzini a fronte degli ordini, comunicati proprio al braccialetto. In altre parole, una ricerca pressoché automatizzata con conseguenti riduzioni di tempi nella gestione del prodotto; la tracciatura dei movimenti è parte integrante di tale meccanismo e, inevitabilmente, crea una situazione di potenziale controllo sulle attività dei lavoratori che indossano la strumentazione.
Gli schieramenti si sono ben presto formati attorno alla prospettiva di utilizzo del braccialetto, con una pluralità di voci di dissenso proveniente dal versante politico, sindacale ed istituzionale. In tal senso è intervenuto anche Antonello Soro, attuale presidente dell’Autorità garante della privacy, affermando la piena incompatibilità tra il ricorso al braccialetto e “l’ordinamento in materia di protezione dati, non solo in Italia ma anche in Europa”. Meno “rigidi” nella condanna, invece, sembrano essere i direttori italiani del personale, che in larga maggioranza vedono nella famigerata strumentazione un’opportunità di incremento della produttività, laddove inquadrata in un corretto contesto normativo che eviti qualsiasi forma di abuso.
Riconducendo il dibattito ad una valutazione di tipo strettamente giuridico, la questione di fondo rimane però una soltanto: può lo strumento dell’azienda di Jeff Bezos essere compatibile con le regole del nostro ordinamento?
La normativa direttamente chiamata in causa è ovviamente quella della L. 300/70, meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”. L’art. 4 di tale Legge rappresenta il fondamentale punto di contatto tra salvaguardie giuslavoristi che e protezione dei dati personali dei lavoratori, disciplinando proprio il ricorso a “impianti audiovisivi e altri strumenti” da cui possa derivare un controllo dei lavoratori nell’esecuzione della prestazione professionale. E proprio l’articolo 4 ha rappresentato uno dei campi di maggior intervento della riforma apportata dal c.d. “Jobs Act”, che ne ha ridisegnato la struttura e modificato i tratti essenziali:
- Nella precedente formulazione erano previsti:
- Un espresso e diretto divieto dell’uso di “impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”;
- Il permesso al ricorso di impianti ed apparecchiature da cui derivi un potenziale controllo dei lavoratori, purché accompagnato da specifico accordo sindacale o da espressa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro competente.
- Nella nuova formulazione, viene ora previsto:
- Il solo permesso al ricorso di impianti ed apparecchiature da cui derivi un potenziale controllo dei lavoratori previo accordo sindacale o autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro, con il venire del divieto generale;
- L’eventualità, al nuovo comma 2, di disapplicare tale regime condizionato a fronte del ricorso a “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
Quest’ultima previsione è sicuramente la più rilevante nell’ottica del braccialetto elettronico: prefigurando tale strumento come utile a rendere la prestazione lavorativa – così come suggerito dal tenore della documentazione brevettuale –, si sembra ricadere nell’ipotesi di esclusione prevista al già citato comma 2. Definire a pieno la natura del dispositivo di casa Amazon non è dunque mero esercizio finalizzato ad una querelle dai contorni indubbiamente anche “politici”, ma diventa elemento fondamentale per poter garantire l’applicabilità della normativa in materia e l’effettiva difesa dei diritti dei soggetti coinvolti.