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Open vs Closed Innovation: modelli di apertura

N.  Giugno
        

a cura di Francesco Manca 
Junior Analyst, The Innovation Group

 

Come noto con il termine Open Innovation si intende l’unione di idee interne ed esterne all’azienda, nonché dei percorsi interni ed esterni al mercato per promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie, con l’effetto di ridurre il time to market di una innovazione. In un mercato sempre più dinamico e veloce, rifiutare o posticipare strategie digitali per la propria offerta può rivelarsi uno svantaggio significativo per le aziende; l’Open Innovation, affrontando il tema dell’innovazione in maniera più collettiva istituendo partnership e collaborazioni interaziendali, può quindi essere una soluzione al digital divide che si sta creando in un mercato fortemente tecnologico, offrendo ROI meno aleatori e finanziamenti meno ingenti, ma producendo gli stessi effetti di una digital transformation con conseguenze meno disruptive sull’organizzazione aziendale.

In concreto, i principali modelli di Open Innovation variano a seconda del contesto di riferimento e vanno da partnership aziendali con centri di ricerca, incubatori o altre aziende, a sponsorizzazioni di competizioni tra start-up ad  hackaton o acquisizioni. Ma quali sono le principali variabili che fanno propendere per un modello o per un altro? Cosa è che determina i vari gradi di apertura di una relazione di Open Innovation?

Le principali esperienze di mercato offrono le due determinanti che definiscono il grado di  apertura di una azienda: il numero di partner con cui la azienda collabora e le fasi di innovazione in cui l’azienda si apre alla collaborazione. Il grado di apertura ha portato la letteratura a delineare quattro modelli:

  • Il modello degli innovatori chiusi è quello di coloro i quali costruiscono collaborazioni sporadiche con terzi a fini innovativi solo in fasi specifiche e circoscritte del processo di innovazione.
  • La collaborazione specializzata riguarda invece le aziende che lavorano con molti partner ma circoscrivono l’oggetto delle collaborazioni ad un solo ambito del processo innovativo, come ad esempio alla fase di ideazione del prodotto.
  • La collaborazione integrata corrisponde ai casi in cui la collaborazione è diffusa lungo tutto l’innovation funnel, ma le partnership collaborative riguardano solo poche selezionate imprese.
  • Il modello degli open innovators è quello invece di coloro che si aprono a partnership collaborative  con una pluralità di stakeolder lungo tutto l’innovation funnel.

Diversi gradi di apertura dell’impresa. Fonte: Lazzarotti, Manzini 2009.

L’innovazione più aperta necessita di una diversa mentalità e cultura aziendale rispetto all’innovazione tradizionale o chiusa: l’azienda che utilizza le innovazioni altrui per una crescita personale mette a disposizione le proprie per incentivare una crescita collettiva e facilitare una collaborazione fruttifera futura. Aprire il processo innovativo di impresa  può essere quindi un’opportunità di stare al passo con i tempi, rifiutando la mentalità conservativa della maggior parte delle aziende che intende condurre l’innovazione a porte chiuse, con la prerogativa di proteggere la proprietà intellettuale e superare i confini di impresa, creando un modello di conoscenza ed innovazione disciplinato e replicabile. Open Innovation può quindi essere intesa come la sharing economy degli asset intangibili di una azienda; rifiutare questa proposta di modello innovativo è per certi versi rinunciare ad una forma di progresso tecnologico che crea valore.

Un esempio che testimonia l’efficacia di queste strategie è P&G che, riconoscendo nell’innovazione il principale driver di crescita e progresso dell’azienda, ha creato il programma connect+develop che crea una rete innovativa tra clienti, fornitori, personale interno ed agenti di innovazione esterni istituendo uno scenario di Open Innovation. Gli strumenti proposti da P&G per favorire questa connessione tra i vari nodi della rete sono incorporati profondamente nella struttura, supportati da tecnologie ICT come piattaforme web e altri software che coordinano ed aiutano il lavoro dei ricercatori e degli imprenditori tecnologici. Open Innovation è quindi riconoscere, anche da parte di una grande impresa leader in più settori, che innovare insieme è più efficace e produttivo che innovare da soli.

Sebbene i modelli di Open Innovation presentano casi virtuosi come quello di P&G, la letteratura scientifica sottolinea come nessun modello di quelli descritti sopra sia univocamente migliore degli altri e che quindi la conclusione “the more opensess, the better” può essere fuorviante se non contestualizzata. Sistemi aperti richiedono infatti anche costi oltre che vantaggi come alte capacità manageriali o situazioni in cui ci sono rapporti impari di collaborazione con più follower che effettive partecipazioni. In contesti più piccoli, circoscritti ad un unico mercato, o non inseriti in un ecosistema florido, come possono essere la maggior parte delle realtà produttive italiane, alcuni ricercatori (Lazzarotti e Manzini, 2019) suggeriscono infatti livelli intermedi di apertura (collaborazioni specializzate o integrate), come giusto compromesso tra costi e benefici.

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