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Una nuova etica digitale o un digitale più etico? Discutiamo senza doppie morali

N. Novembre 2018

a cura di Ezio Viola
Managing Director, The Innovation Group

 

Recentemente sono venuti alla ribalta sui media alcune notizie significative che se riusciamo a spostare per un attimo la nostra attenzione dalle vicende interne quotidiane, ci possono fare riflettere su alcuni temi che riguardano il futuro di quella che chiamiamo digital o data economy e digital life.

Prima notizia: il New York Times ha rivelato che le agenzie di intelligence russa e cinese ascoltano le conversazioni telefoniche del Presidente Trump.
Gli americani lo sanno perché hanno intercettato cinesi e russi a commentare il contenuto delle conversazioni ma pur sapendolo non possono intervenire perché Trump non vuole rinunciare ai suoi iPhone, per parlare in santa pace con i suoi confidenti, e non gli importa niente se le spie lo ascoltano: qui sembra che al capo degli USA non gli importi molto della privacy e che le comunicazioni cellulari non sono mai completamente sicure.

Seconda notizia: sempre questa settimana il New York Times ha rivelato che Google ha protetto tre manager molestatori, accusati in maniera credibile di abusi da alcune colleghe e che anziché essere cacciati, sono stati coperti e protetti: in questo caso la privacy è stata fin troppo tutelata.

Terza notizia: il Regno Unito ha multato Facebook per mezzo milione di sterline per caso Cambridge Analytica, il massimo della pena prevista dalla legge inglese: qui forse la legge non riconosce ancora la gravità di questo tipo di incidenti e reati.

Quarta notizia: riguarda il caso di Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington Post fatto a pezzi in un’imboscata organizzata dall’Arabia Saudita. Mentre tutto il mondo boicotta Riad, il regime ha usato i social network (soprattutto Twitter) come un’arma propagandistica e da anni regala alle aziende tecnologiche miliardi di finanziamenti.

Orbene, che cosa hanno in comune queste notizie? Il “file rouge” che sta diventando nero è che privacy, sicurezza, utilizzo indiscriminato delle informazioni e delle tecnologie digitali stanno generando la necessità, ormai improrogabile di affrontare il grande tema, forse “il tema dei temi”, cioè se e come il digitale stia veramente migliorando il mondo e le persone e incominciare a dibattere  su che cosa significhi etica nell’era del digitale.

Questo grande tema, e le sue varie implicazioni sono state  recentemente affrontate in una importante conferenza internazionale, (che però non ha avuto grande risonanza sui media del nostro Paese), che si è tenuta a Bruxelles presso il parlamento europeo (https://www.privacyconference2018.org/en)  dal titolo emblematico “Debating Ethics: Dignity and Respect in a Data Driven Life” organizzata dalla Commissione per la Privacy e la Data Protection, la stessa commissione che ha scritto ed emanato il famoso GDPR.

E’ stata l’occasione per  incominciare a discutere a livello globale, perché altrimenti non avrebbe senso, se occorra pensare ad una nuova etica digitale che guidi la definizione di regole e leggi, che nasce dai cambiamenti che il digitale sta introducendo nella nostra vita, nella società, nei comportamenti, oppure  che l’etica, i principi etici fondamentali sono sempre gli stessi e quindi è l’etica esistente, che è alla base della convivenza civile e democratica delle persone e degli stati, che deve guidare i cambiamenti che il digitale sta portando affinché vi sia un progresso per l’umanità.

Hanno partecipato personaggi illustri tra cui anche alcuni CEO di grandi aziende del web quali Apple, Google e Facebook. E ‘sicuramente positivo che questi signori incomincino a preoccuparsi e riflettere sulle conseguenze dei loro servizi, sul modo con cui li erogano e sullo sfruttamento dei dati delle persone e si confrontino in Europa, che ha la leadership culturale su questi temi e sta mettendo a punto regole che possano avere validità globale.

In particolare, ha avuto grande risalto l’intervento di Tim Cook che potete riascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=kVhOLkIs20A&feature=youtu.be

Cook, tra le altre cose, ha detto che nel mondo della tecnologia il più grande pericolo è dato da un “complesso informativo-industriale” (“data-industrial complex”) che trasforma i dati in “armi da usare contro di noi con efficienza militare”. È inutile indorare la pillola: “questa è sorveglianza, e le enormi quantità di dati personali immagazzinati servono soltanto ad arricchire le aziende che li raccolgono”, ha detto sempre Cook con grande enfasi, aggiungendo che il mondo dovrebbe prendere esempio dall’Unione europea, che con regolamentazioni stringenti come il Gdpr ha mostrato la via per proteggere la privacy dei cittadini contro i business occhiuti e dannosi.

Indubbiamente Cook ha molte ragioni e il suo discorso è da applausi. Meno convincente, anche se vero, è che Cook indichi il “data industrial complex” come nemico del quale fanno parte i suoi diretti concorrenti. Tim Cook si tira fuori dal “complesso informativo-industriale” perché Google e Facebook (e in parte minore Amazon e Microsoft) commerciano in dati, sono loro che praticano la “sorveglianza” di cui parla Cook. Apple, invece, fa smartphone e computer, ma bisogna considerare che, anche se il suo settore di servizi (quello per cui servono i dati), è ancora limitato, è comunque in forte crescita.

Ma è proprio vero che Tim Cook, così come tutti gli altri che sono cresciuti e diventati potenti raccogliendo quantità enormi di dati da rivendere o su cui costruire i loro profitti, può fare il moralista e lanciare le sue accuse da un piedistallo inattaccabile?

Cook può fare il moralista qui in occidente, ma si è arreso al regime cinese dove ha acconsentito ad eliminare dall’App Store della Cina delle app che venivano usate dai dissidenti per evitare la censura e per “proteggersi” e ha consentito che tutto il sistema iCloud per gli utenti in Cina sia gestito da un partner locale su server locali. Le conseguenze di questa concessione non sono ancora chiare, ma comunque significa che Apple, che tanto difende la privacy degli utenti occidentali, ha ceduto al governo la privacy degli utenti cinesi.

I grandi del web dovrebbero imparare a fare meno i moralisti e non utilizzare la doppia morale a seconda del paese in cui operano e di chi hanno davanti e guardare con molta attenzione la “vecchia” Europa che può insegnare ancora molte cose in termine di ETICA.

 

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