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Manutenzione 4.0 nell’industria Italiana: il caso VHIT – Gruppo Bosch

Lo slogan di Bosch è semplice e quanto mai attuale nel contesto dell’Internet of Things: Invented for Life, ovvero soluzioni e tecnologie che supportino e migliorino le attività e il vivere quotidiano, in ogni sua manifestazione. A partire da questo presupposto, Bosch è stato uno dei primi gruppi internazionali ad avvicinarsi alle tematiche dell’IoT e dell’Industria 4.0, intese come un’opportunità per portare innovazione nelle aziende e migliorarne i processi e le attività: oggi in molte delle sedi locali del gruppo tedesco sono stati infatti creati dei team specializzati sul tema e ad oggi sono stati implementati più di 100 progetti pilota in ambito Industria 4.0, che – nella declinazione di Bosch – viene definita Connected Industry.

Tra le aziende leader nell’industria manifatturiera, attualmente Bosch è uno dei principali utilizzatori della tecnologia IoT. Proprio questo è emerso dall’intervista all’ing. Vito De Gaetano, Responsabile del reparto ICO (IT Coordination and Organisation), presso VHIT SpA, azienda di Offanengo (CR) del Gruppo Bosch attiva nella progettazione, produzione e vendita di pompe del vuoto e pompe idrauliche. In Bosch una delle principali e più rilevanti applicazioni del paradigma della Connected Industry riguarda la manutenzione. Questo infatti è un tema cardine all’interno delle aziende manifatturiere, che tocca differenti aspetti: tra gli altri, la catena produttiva, la logistica, e l’organizzazione. Anche le soluzioni di ERP sono ad esempio coinvolte nelle attività di manutenzione e nella loro gestione all’interno dei processi aziendali.

A questo proposito, adottare il paradigma dell’Industria 4.0 nell’ambito della manutenzione industriale può essere un modo per facilitare e promuovere la diffusione, all’interno dei processi aziendali, delle tecnologie IoT e digitali, e uno degli ambiti in cui il ritorno degli investimenti è più visibile e facilmente stimabile. Molte delle attività di manutenzione si basano infatti sulla reperibilità delle informazioni: più elevato è il volume delle informazioni messe a disposizione in relazione ad impianti, macchinari e singole componenti all’interno della catena di produzione, maggiori sono la rapidità e la precisione con cui possono essere svolte le attività di manutenzione su di essi. Per l’ing. De Gaetano, nelle attività di manutenzione, “l’ottimo sarebbe avere la persona giusta, al momento giusto, con gli strumenti giusti, prima che il danno avvenga” e le tecnologie IoT sono sicuramente uno degli strumenti che, ad oggi, consentono alle aziende di avvicinarsi maggiormente a questa situazione ottimale: l’IoT permette infatti di raccogliere informazioni dettagliate in tempo reale, sia dai macchinari sia dall’esperienza umana, e implementare soluzioni di data mining, facendo leva sulle giuste correlazioni e costruendo algoritmi finalizzati a costruire, nel lungo periodo, un impianto di Machine Learning.

Nello specifico, promuovere un modello di Manutenzione 4.0 significa intraprendere un percorso evolutivo che parte dai servizi di manutenzione preventiva fino ad arrivare a soluzioni di manutenzione predittiva. Da un lato, infatti, l’implementazione di soluzioni e servizi che consentono la manutenzione preventiva portano alla riduzione dei costi elevati delle attività di manutenzione (dovuti alla scarsa prevedibilità degli eventi critici e ai conseguenti tempi di fermo degli impianti e della produzione), mentre il raggiungimento di un modello di manutenzione predittiva consentirebbe di raggiungere quell’ottimo nella manutenzione a cui si è accennato poco sopra.

A fronte della rilevanza data al tema della Manutenzione 4.0, molti stabilimenti Bosch hanno deciso di intraprendere, in linea con la strategia e la visione della casa madre tedesca, diversi progetti per inserire all’interno delle proprie fabbriche la tecnologia IoT, connettendo tramite rete intranet i macchinari di produzione per monitorarne il funzionamento e generare informazioni utili alle attività di manutenzione.

Da un punto di vista tecnologico, per supportare questo progetto, VHIT si avvale sia della rete locale LAN sia della rete geografica WAN di Bosch. In questo senso, la sfida è quella di collegare alle reti non solo uffici e device mobili e desktop, ma anche impianti e macchinari di produzione. In fase di start-up del progetto, VHIT si trova infatti a dover connettere in una rete condivisa a tutta la catena di produzione sia macchinari “informatizzati” e tecnologicamente predisposti (ad esempio con soluzioni di Manufacturing Execution System – MES) sia impianti di vecchia generazione che appaiono come “isole” in termini di comunicazione con il resto della catena produttiva. Parliamo di “Digital Transformation” dell’industria.

Oltre alla problematica della connettività di impianti con diversi gradi di innovazione, un altro tema che il gruppo tedesco nella sede di Offanengo si trova a dover affrontare riguarda l’individuazione e l’adozione di uno standard di comunicazione unico all’interno della rete aziendale e industriale. L’azienda infatti, a fronte della necessità di trarre pieno vantaggio dai dati che vengono raccolti (e potenzialmente potranno essere raccolti in futuro), si trova nella necessità di mettere in comunicazione banche dati disomogenee e dati strutturati in maniera non univoca. A questo proposito, diventa quindi fondamentale incominciare un percorso di studio e di analisi della semantica e della struttura delle banche dati, percorso in cui possono essere coinvolti anche università e centri di ricerca specializzati: “la cooperazione tra università e industria è sicuramente qualcosa che in Italia deve essere maggiormente coltivata”, afferma l’ing. De Gaetano, “in relazione a tematiche come quella dell’Industria 4.0 e di tecnologie di frontiera”.

Se esistono pertanto progetti per trasformare le fabbriche Bosch in esempi concreti di Connected Industry, la sfida più grande che deve essere affrontata, e che interessa anche VHIT, riguarda il trasferimento e la diffusione delle tecnologie IoT a tutta la supply chain, in ottica B2B, che coinvolga tutti gli stakeholder, dai fornitori ai rivenditori, fino agli operatori dell’aftermarket. Molto spesso infatti ci si trova ad operare, soprattutto in Italia, all’interno di supply chain caratterizzate da orientamenti tecnologici differenti. La mancanza di una visione condivisa all’interno della supply chain comporta una ridotta portabilità delle soluzioni IoT tra i vari anelli della catena, limitando il potenziale e l’efficacia dell’adozione di queste tecnologie. Secondo l’ing. De Gaetano, perché l’innovazione venga trasferita anche alle altre imprese, occorre che ci sia un soggetto traino all’interno della supply chain che faccia da “buon esempio” e che dia evidenza dei vantaggi e delle possibilità che l’innovazione può portare all’interno delle aziende.

D’altra parte, perché la traduzione del paradigma Connected Industry avvenga in maniera effettiva, diventa sempre più necessario il ruolo di System Integrator delle soluzioni IoT, dal momento che occorre creare una tendenza condivisa nell’adozione e nell’implementazione di nuove tecnologie e nella generazione di servizi correlati. Secondo l’intervistato, due sono le entità che potrebbero svolgere questo ruolo: da un lato, un’azienda “illuminata” in posizione intermedia all’interno della supply chain, che, data la sua posizione, riesca a trascinare imprese sia a monte sia a valle; dall’altro, una società di consulenza esterna che coordini i progetti e le interazioni e che tracci un piano condiviso lungo tutta la catena di produzione. In entrambi i casi, quello che sempre più viene richiesto è la capacità di creare sistemi ed esperienze condivise, verso una vera innovazione dell’industria.

A cura di: Camilla Bellini, @camilla_bellini

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