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La sostenibile pesantezza della transizione ecologica

N.  Luglio 2021
        

a cura di Ezio Viola 
Co-Fondatore, The Innovation Group 

 

All’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), una tra le missioni più complesse riguarda la transizione ecologica ed energetica, la quale, come si usa dire, non sarà un pranzo di gala. Il problema lo ha posto recentemente anche l’Economist, che in un recente numero, dedica ampio spazio ai problemi economici, finanziari, sociali e politici sottostanti alla trasformazione dei nostri sistemi energetici. In aggiunta, qualche settimana fa l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha tracciato lo scenario necessario a raggiungere nel 2050 la neutralità nelle emissioni di gas inquinanti.

Quanto previsto ha scatenato valutazioni controverse dal mondo dell’energia e dell’industria. Il raggiungimento di “net zero” al 2050 rappresenta la più grande impresa che l’umanità abbia mai af­frontato dice l’Aie. Si tratterà, infatti, di ridefinire completamente i nostri sistemi energetici (e con essi un pezzo significativo dell’economia globale) e al contempo proteggere il benessere dei Paesi avanzati e salvaguardare il diritto alla crescita di quelli meno sviluppati. Per il 2050 si prevedono due miliardi di persone in più a popolare il Pianeta, ma ciononostante i consumi energetici dovranno scendere del 10% circa.

Ancora più sfidanti sono gli obiettivi relativi alla CO2: le emissioni pro capite nelle economie sviluppate oggi si avvicinano alle 8 tonnellate e dovrebbero scendere a 0,5 nel 2040. Per dare un’idea, attualmente le emissioni sono già tornate ai livelli pre-Covid e si prevedono in crescita. Dal 1990 a oggi abbiamo immesso in atmosfera la stessa quantità di CO2 equivalente a quella rilasciata in tutti i secoli precedenti.

Quali sono le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi? Nello scenario tracciato dall’Aie, il menu compilato è ricco di tutte le tecnologie possibili. Le rinnovabili la fanno da leone, ma anche il nucleare deve raddoppiare. L’idrogeno verde ma anche quello viola (da nucleare) e blu. Le auto elettriche, ma anche tantissime bioenergie e il potenziamento delle reti elettriche. Le batterie per le auto, ma anche le fuel cells. L’impiego di combustibili fossili, responsabili del surriscaldamento globale, dovrà quasi estinguersi da qui al 2050 e perché ciò accada devono cessare fin da ora gli investimenti dell’industria energetica per la ricerca di nuovi giacimenti.

Per la sua “svolta green” l’Italia ha a disposizione quasi 70 miliardi di euro, cioè 59,5 miliardi stanziati dal Pnrr, cui si aggiungono le risorse del React-Eu (1,31 miliardi) e quelle del Fondo complementare (9,16 miliardi). Si tratta del 40% circa dei fondi complessivamente previsti dal Piano stesso. L’obiettivo generale è realizzare «la transizione verde ed ecologica della società e dell’economia per rendere il sistema sostenibile e garantire la sua competitività» su cui tutti concordiamo. Quattro le componenti della missione: transizione energetica e mobilità sostenibile (23,8 miliardi di euro); efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (15,36 miliardi); tutela del territorio e risorsa idrica (15,06 miliardi); agricoltura sostenibile ed economia circolare (5,27 miliardi).

La misura più finanziata è quella dell’efficientamento energetico e sismico dell’edilizia residenziale e pubblica, con 13,95 miliardi di euro di investimenti, dentro ai quali figura il sostegno al superbonus al 110%.  Il  supporto al 110% – si punta ad assicurare la ristrutturazione di oltre 100mila edifici a regime – è solo una delle 43 misure della missione 2 che destina il secondo più consistente pacchetto di fondi allo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile (8,58 miliardi), mentre gli investimenti più consistenti riguardano il rinnovo di flotte e bus verdi (3,64 miliardi, più 600 milioni del Fondo complementare, che serviranno anche ad acquistare 3360 bus a basse emissioni) e lo sviluppo del trasporto rapido di massa (3,6 miliardi per realizzare 240 chilometri di rete attrezzata tra metro, tram, funivie e filovie). Solo 40 milioni vengono esplicitamente allocati per progetti avanzati di mobility as a service!

Inoltre, c’è il capitolo delle riforme: tredici quelle necessarie, alcune delle quali già incluse nel recente “Decreto Semplificazioni” che prova a sveltire la transizione verde ma senza assicurare la velocizzazione necessaria per centrare i target “green” che l’Italia deve conseguire.  Anche il Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato recentemente in occasione della giornata mondiale degli oceani che “È più facile combattere l’ineluttabilità della natura che quella della burocrazia”.

Tra le riforme da fare, invece, ci sono quelle che dovranno assicurare la diffusione dell’idrogeno e la sua competitività. È previsto un pacchetto da oltre 3,6 miliardi di investimenti distribuiti tra sostegno alle aree industriali dismesse (500 milioni), e 2 miliardi per de carbonizzare alcuni settori, dal cemento all’acciaio, sperimentazione per il trasporto stradale (230 milioni) e ferroviario (300 milioni), ricerca e sviluppo (160 milioni), infine 450 milioni serviranno a creare una filiera nazionale.

Di certo, per raggiungere gli obiettivi ambientali dell’Unione Europea dovremo rivoluzionare il modo in cui produciamo, trasportiamo e consumiamo energia. Servono investimenti enormi, una forte virata sulle rinnovabili (decuplicando la potenza installata ogni anno da qui al 2030) e una riprogettazione delle infrastrutture di rete per farle diventare più digitali. Occorre intervenire sui macchinari industriali e i consumi domestici, e ripensare la mobilità. Inoltre, i soldi non bastano: serve anzitutto creare un contesto normativo adeguato affinché le aziende possano realizzare le opere necessarie con le tecnologie già esistenti e con quelle che saranno disponibili un domani. 

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