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Il futuro del lavoro? Dallo smart all’hybrid working

Come sarà il futuro del lavoro? Dopo il massiccio ricorso allo smart working rilevato nell’ultimo anno adesso è possibile ipotizzare che la nuova tendenza sarà quella dell’hybrid working, dove modalità di lavoro agile si accompagneranno a quelle più “tradizionali”.

Nell’ultimo anno il mondo del lavoro ha subito una trasformazione radicale, un fenomeno che non sarà passeggero ma che ridisegnerà notevolmente i modelli organizzativi e le modalità di svolgimento del lavoro con significativi impatti economici e sociali, oltre che all’interno degli attuali modelli urbani (si pensi, ad esempio, all’economia di prossimità). Il tema è stato affrontato nel corso della web conference “Il futuro del lavoro e il digitale”organizzata lo scorso 27 maggio da The Innovation Group nell’ambito del Digital Italy Program.

Come, infatti, è emerso dalla Digital Business Transformation survey di The Innovation Group[1], nel 2021, rispetto al 2020, si prevede un notevole incremento di chi dichiara di prestare attenzione al ridisegno della user experience dei propri dipendenti (+87%) e alla misurazione/revisione dell’uso di soluzioni di Digital Workspace (+94%), a conferma della grande attenzione da parte delle aziende verso la ridefinizione dei layout aziendali e alla necessità di soddisfare le nuove esigenze.

L’attenzione allo smart working viene confermata anche soffermando l’attenzione al solo campione IT secondo cui, tra le principali iniziative per la funzione ICT nel 2021, rientra l’attenzione alla Security/Risk Management (71% del campione) e allo Smart Working/digital workspace e strategia Cloud (iniziative indicate entrambe dal 48% del campione).

Siamo, quindi, ad un punto di non ritorno dove lo smart working sarà sempre più parte integrante delle strategie aziendali accompagnandosi al lavoro svolto in presenza: la tendenza attesa per i prossimi anni è, infatti, quella dell’ “hybrid work”, dove modalità di lavoro asincrone e asimmetriche si alterneranno ai “tradizionali” metodi di svolgimento del lavoro.

Come, del resto, affermato da Federico Butera, Presidente, IRSO, oggi si sta consolidando un «new way of working» che implica una nuova concezione del lavoro, un fenomeno che richiede una necessaria diffusione delle best practices, oltre che il contributo alla promozione di politiche trasversali». Per Butera, inoltre, «il cambiamento profondo dell’organizzazione e del lavoro a cui si sta assistendo richiede, da un lato, la presenza di tecnologi, dall’altro, un’ampia applicazione delle competenze legali». Sul tema è intervenuta anche Valentina Frediani, CEO, Colin & Partners, secondo cui in questo ampio percorso trasformativo del mondo del lavoro, la parte legale non viene valorizzata in maniera adeguata. Per la Frediani, inoltre, «c’è una cultura “inquinata” del concetto di Smart Working: nell’ultimo anno si è assistito ad una remotizzazione del lavoro, concezione lontana da quella prevista dalla norma sullo smart working che si basa sulla performance, non su fasce orarie concordate»; fondamentale è il diritto alla disconnessione. Su quest’ultimo tema è intervenuto anche Marco Bentivogli, Esperto di lavoro e innovazione industriale, Worktect, Coordinatore Base Italia, che ha ricordato come l’essenza dello smart working sia la possibilità di svolgere il proprio lavoro basandosi sui progetti e gli obiettivi da realizzare: in questo senso bisogna, da un lato, far sì che «lo smart working non si trasformi in smart holidays» e, dall’altro, «organizzare bene lo spazio e il tempo del lavoro ibrido». Fondamentale, inoltre, focalizzarsi sulla capacità di lavorare in gruppo e sapersi coordinare e cambiare il paradigma di riferimento della governance aziendale, perché ormai «è sempre più chiaro che il controllo soffoca la produttività». Verso cosa ci muoviamo? Verso quello che Bentivogli ha definito «l’umanità aumentata del lavoro» che richiede il riassetto sia degli spazi aziendali sia di quelli urbani.

Va, tuttavia, ricordato che se da un lato, come ricordato da Stefano Brandinali, Group CIO and Chief Digital Officer, Prysmian Group, grazie allo smart working è stato possibile scoprire il concetto di accountability e il senso di responsabilizzazione», dall’altro «lo smart working deve essere considerato uno strumento e non uno scopo». Ad affermarlo è stata Francesca Masiero, Presidente, PBA, secondo cui il lavoro dell’imprenditore è anche quello di «cercare di sentire il suono di ognuno attraverso il dialogo e la presenza».

Un’ulteriore problematica emersa in seguito al massiccio ricorso allo smart working riguarda la privacy degli utenti: per tali ragioni, come riportato da Enza Truzzolillo, Large Enterprise Country Leader, Lenovo che ha presentato i risultati di una recente ricerca Lenovo sullo smart working, «alle aziende viene richiesto di avere un approccio alla sicurezza più agile e incentrato sul business, a cui non andranno sostituiti i modelli di sicurezza esistenti ma integrati». Secondo lo studio, inoltre, un ulteriore elemento di cui tener conto è quello della connettività, un tema su cui è intervenuto anche Marco Pasculli, Managing Director, NFON Italia, secondo cui «in Italia si rileva una forte crescita del ricorso a servizi cloud nonostante vi siano delle difficoltà dovute principalmente ai servizi di connettività e all’affidabilità dei dati che non trovano giustificazione completa nel mondo delle applicazioni in cloud».

Quale sarà, dunque, il futuro del lavoro? Prendendo in prestito le parole di Paolo Bergamini, Southern Europe Sales Engineer Director, Avaya, il concetto che caratterizzerà il futuro sarà quello di «fluidità». Come arrivare preparati a questo cambiamento? Mostrando la capacità di avere un parco tecnologico di best practice e utilizzare roadmap credibili e supportate da investimenti consistenti. Necessario, inoltre, avere una value proposition molto flessibile dal punto di vista finanziario e non tentare di essere autoconsistenti.

Lo smart working nella Pubblica Amministrazione italiana

Promuovere lo smart working all’interno della PA vuol dire progettare un’organizzazione smart e investire molto sulle competenze e sul cambiamento organizzativo a cominciare dal middle management. Ad affermarlo è stato Alessandro Bacci, Direttore Risorse Umane e Sistemi Informativi, Regione Lazio. Sul tema è intervenuto anche Francesco Raphael Frieri, Direttore Generale, Regione Emilia-Romagna secondo cui «in realtà lo smart working è la punta dell’iceberg di un più ampio percorso di trasformazione digitale che comporta un cambiamento organizzativo importante dei processi e delle dinamiche pubbliche».

Per Frieri, inoltre, smart working vuol dire anche assimilare dei concetti diversi nell’ambito della gestione del team, comportando l’introduzione di nuovi modelli culturali (è il passaggio dalla cultura degli adempimenti a quella degli obiettivi) e di nuovi stili di leadership (l’e-leadership).

Anche per Paolo Sottili, Direttore Generale, ALFA – Agenzia regionale per il Lavoro, la Formazione e l’Accreditamento – Regione Liguria, «smart working non è lavoro a distanza (come invece è avvenuto nelle fasi più acute dell’emergenza), piuttosto implica una forte focalizzazione su obiettivi e risultati». In questo senso diventa fondamentale rendere più stringente il sistema di gestione di valutazione della performance e definire un preciso modello manageriale della PA. Sulla tematica è intervenuto anche Daniele Crespi, Responsabile Sviluppo Servizi Innovativi ed eGov, Gruppo Maggioli, secondo cui «parlare di smart working vuol dire innanzitutto parlare di smart manager». In questo senso per Crespi la priorità per la PA dovrà essere identificare progetti che non facciano perdere il senso di coesione e appartenenza e promuovere un ampio cambiamento culturale che deve coinvolgere, oltre che i dipendenti, anche il rapporto con i cittadini, essendo in grado di anticiparne i bisogni e le esigenze. Come ricordato, infine, da Alberto Bonisoli, Presidente, Formez PA, promuovere lo smart working all’interno della PA vuol dire considerare «un tema di hardware, fisico e tecnologico, non pensato per un lavoro a distanza; un tema di accesso ai sistemi, in parte basati su carta e pensati in tempi remoti ed un tema di obiettivi, un sistema di rilevazione degli obiettivi, in precedenza solo in parte basato sulla performance».


[1] L’indagine è stata condotta  tra dicembre 2020 e febbraio 2021 su un campione di 181 aziende italiane.

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