Hosting provider: responsabile sì o no?
Il Caffè Digitale
N. Novembre 2019
a cura di Yuri Monti
Consultant, Colin & Partners
Si aggiunge un nuovo capitolo ed arrivano interpretazioni di rilievo in tema di responsabilità del fornitore di servizi di hosting. È il turno stavolta del Tribunale di Roma – Sezione XVII civile ad esprimersi sul tema, prospettando una responsabilità diretta del provider con riguardo ai contenuti ospitati a fronte di specifiche circostanze, tali da rendere non configurabili i motivi di esclusione della responsabilità stessa in capo al fornitore.
Nei fatti, il Tribunale è intervenuto a seguito della citazione da parte di R.T.I. – Reti Televisive Italiane S.p.A. avverso la società americana Bit Kitchen Inc., titolare della piattaforma online “Vid.me”. R.T.I., infatti, lamenta l’illecita diffusione attraverso tale piattaforma di estratti audiovisivi di programmi di propria titolarità esclusiva, con conseguente violazione del diritto d’autore e dei diritti di proprietà intellettuale. Sullo stesso tema gli Ermellini erano stati chiamati a pronunciarsi pochi mesi prima (Sentenza n. 7708 del 19 marzo 2019); gli elementi interpretativi resi in tale sede hanno fornito la base sui cui si è fondata la sentenza in esame, che ha confermato l’orientamento della Corte di Cassazione in tema di hosting c.d. “attivo” e ha dato ragione alle istanze della R.T.I..
Il contesto normativo, all’interno del quale si inquadra la vicenda, è quello del D.lgs. 70/2003, ovvero il decreto di “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”: nello specifico, l’art. 16 disciplina la “Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – Hosting”, prevedendo che il prestatore di tali servizi non possa essere considerato responsabile dei contenuti memorizzati. Si esonera così il provider da qualsiasi responsabilità derivate da condotte illecite del destinatario del servizio, fatte salve ipotesi specifiche, quali la diretta conoscenza della natura illecita dei contenuti memorizzati e l’”inerzia” nella rimozione degli stessi a fronte di tale conoscenza. In questo senso, la figura del provider prevista dalla normativa sarebbe quella del c.d. “provider passivo”, erogatore di meri servizi tecnici di memorizzazione.
In tale ottica e a conferma di ciò si esprime anche il Considerando 42 della Direttiva 2000/31/CE, ove si prevede che “le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate”. L’applicabilità, dunque, delle cause di esclusione ex art. 16 è circoscritta alla sola dimensione “passiva” del fornitore.
Di contro, e sempre nella fondamentale pronuncia n. 7708/2019 richiamata in maniera diretta sul punto dal Tribunale, vengono anche definite le caratteristiche dell’”hosting attivo”, elemento cardine della pronuncia in esame. In particolare, la Cassazione aveva affermato che “gli elementi idonei a delineare la figura o “indici di interferenza”, da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono – a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti – le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati”. A tali tipologie di servizi sono ascrivibili, a giudizio del Tribunale, le attività condotte dalla Bit Kitchen Inc. sulla piattaforma: la gestione e l’ottimizzazione della fruizione di contenuti da parte degli utenti operati dalla società americana fanno sì che questa si configuri a pieno come fornitore di hosting “attivo”.
Le conclusioni sul punto a cui giunge il Giudice di merito romano si rilevano di notevole impatto: si afferma infatti che ogni qualvolta ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di “hosting attivo”, “[…] deve ritenersi la conoscenza dell’illiceità dei contenuti da parte del gestore del Portale prescindendo dalla comunicazione di essa da parte del danneggiato”. Una presunzione molto forte, cui conseguirebbe un ampliamento pressoché totale del profilo di responsabilità dell’hosting provider “attivo” dunque, con potenziali ripercussioni sui profili di controllo e supervisione dei contenuti ospitati da parte del fornitore di tali servizi.