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FINTECH: dalla regolamentazione al SANDBOX

simona_macellariA cura di Simona Macellari, Associate Partner, The Innovation Group

Il settore finanziario è fortemente regolato, quasi “strangolato” dalle attività, processi e costi che implicano l’adempimento alla normativa. La stratificazione infinita di norme ha delle fondamentali motivazioni, come la centralità del sistema finanziario nelle economie moderne e il rischio sistemico o effetto domino, cioè il fatto che la crisi di un intermediario finanziario ̀ possa velocemente contaminare altri intermediari e causare così una crisi del sistema nel suo complesso, con conseguente perdita della ricchezza finanziaria, crollo dei consumi e recessione economica.

Per illustrare, dare il senso e le proporzioni del problema, ecco degli esempi di leggi: Regolamento dei servizi di pagamento (PSD e PSD2) e di emissione di moneta elettronica (istituti di pagamento e IMEL) – Regolamento per l’uso di carte di credito e bancomat – Regolamento italiano (Consob) sull’equity crowdfunding – Regolamento UK (Fca) del crowdfunding e del p2p lending – Disciplina del credito al consumo (applicabile al p2p lending in caso di prestiti non finalizzati ad uno scopo vincolato) – Disciplina della mediazione creditizia o dell’intermediazione in attività finanziaria – Direttive antiriciclaggio – AML USA – Anti Money Laundering – AML – Bank Secret Act (BSA) – Patriot Act – Know Your Client (KYC) – Electronic Fund Transfer Act (EFTA) – Telephone Consumer Protection Act (TCPA) – Truth in Lending Act (TILA) – Dodd Frank ACT – Wall Street and Consumer Protection ASIA, etc.

Un simile elenco è impressionante e demotivante. Pure Se non possiamo fare a meno di questo corpo normativo, va comunque sottolineato che i costi della “compliance” sono andati fuori controllo, così come la gestione dei processi sottostanti e delle risorse umane occupate in questa attività. Le istituzioni finanziarie riescono a malapena reggere il peso della normativa, mentre per le società Fintech emergenti è impossibile sopportare i costi di un contesto così regolamentato.

Se il pensiero dominante ritiene che le Fintech siano un elemento necessario per la sopravvivenza delle banche tradizionali, è necessaria una convergenza per una condivisione di tecnologia, talenti e know-how per abbattere i costi di struttura e colmare i buchi di prodotto e servizio delle banche tradizionali; come bypassare i costi e la complessità dei dettami normativi imposti su questi operatori? Come coniugare la necessità di essere veloci e investire continuamente in sviluppo per acquisire quote di mercato e prosperare se si è zavorrati da miriadi di leggi? Deregolamentare il Fintech sembrerebbe la scelta, ma questo significherebbe falsare la competizione a sfavore delle banche ed esporrebbe i consumatori a troppi rischi.

Al contempo, lacci legali troppo restrittivi e vincolanti deprimerebbero il comparto Fintech, che non solo attrae moltissimi investimenti e talenti, ma sta anche apportando importanti innovazioni che sono divenute l’ossigeno della sopravvivenza delle istituzioni finanziarie.

Il dilemma del regolatore è di difficile soluzione, il dibattito è molto vivace e l’approccio che ora prevale è quello delle “sandbox” [1]. A fare da apri-pista è statoil Regno Unito, dove la Financial Conduct Authority (FCA) ha elaborato a fine 2015 un documento programmatico per nuovo tipo di regolamentazione denominata #sandbox, per cui ora la FCA ha un programma incentrato sulle sandbox, che consente alle aziende di testare nuovi prodotti.

La “deregolamentazione” è ampia e alle imprese si chiede solo di fornire garanzie a tutela dei consumatori, ad esempio dare prova dei mezzi finanziari per risarcire i consumatori che sarebbero danneggiati. A ruota Singapore ed Hong Kong hanno annunciato il loro programma, Fintech “sandbox”; anche i paesi del Golfo , che hanno la necessità di costruire e mantenere le economie diversificate per ridurre l’esposizione al petrolio, hanno adottato “sandbox” per aiutare Fintech start-up a testare i propri prodotti. Ed è di questi giorni, la notizia che Federal Council svizzero ha alleggerito il quadro normativo per i fornitori di tecnologie finanziarie, sia per ridurre le barriere all’ingresso sul mercato e sia per aumentare la certezza giuridica per il settore nel suo complesso.

Questa corsa al “recinto di sabbia” è osteggiata da molti, perché viene letta come un modo per favorire esperimenti ed evitare le leggi di tutela dei consumatori, in quanto non comprendono che invece è solamente uno perimetro protetto e definito, in cui le aziende possono provare nuove idee, sotto il costante controllo delle autorità di regolamentazione.

In ultima istanza il sandbox regolamentare va soprattutto a vantaggio del regolamentatore stesso. Infatti, lasciando esprimere le startup in un ambiente protetto, le autorità di vigilanza/regolamentazione riescono a comprendere i processi, i mille rivoli della tecnologia e i relativi sviluppi.

In questo modo questi ultimi riescono a calibrare il corpus legislativo, invece di rincorrere con norme e regolamenti che sono già obsoleti e non applicabili, ancora prima di essere scritti, come accadde , ad esempio, alla proposta di legge sulla sharing economy in Italia.

 


[1] WIKIPEDIA: Sandbox, termine inglese con cui si indica il recinto della sabbia destinato ai giochi dei bambini (sabbionaia o sabbiera), in ambito informatico identifica un ambiente di test, di prova, spesso slegato dal normale flusso di ambienti predisposti per lo sviluppo e il test delle applicazioni.

 

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