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Il Digitale e le radici della Gig Economy e del lavoro 4.0

N.  Luglio 2018
        

a cura di Roberto Masiero 
Presidente, The Innovation Group 

 

“Decreto Dignità” e politiche attive

Il passaggio da analogico a digitale ha generato da una parte grande valore, e sempre più ricchezza verrà creata con meno lavoro; ma dall’altra sta creando una drammatica redistribuzione di reddito e una crescente polarizzazione sociale.

Vediamo un po’ di dati, precisando che sono relativi al mercato USA – anche se certe tendenze sono ormai globali (1):

 

Il reddito mediano è cresciuto molto poco a partire dal 1979, e sta anzi decrescendo a partire dal 1999. Al contrario la produttività è molto aumentata (dell’1,56% annuo nel periodo, e dell’1,88% annuo a partire dal 2000), come risultato della progressiva iniezione di tecnologia digitale.

In sintesi: la maggior parte della crescita di produttività si è tradotta in un aumento del reddito medio, mentre il reddito mediano è cresciuto molto meno come risultato della crescita delle disuguaglianze (segno anche di una crescente polarizzazione sociale)

Interessante è anche confrontare il rapporto tra produttività del lavoro e impiego privato:

 

Vediamo dunque che mentre produttività del lavoro e occupazione sono cresciute parallelamente nel periodo del dopoguerra, a partire dalla fine degli anni 90 la produttività del lavoro ha continuato a crescere, mentre l’occupazione ha cominciato a flettere. Cosicchè oggi la percentuale degli occupati sul totale della popolazione e il reddito reale del lavoratore mediano sono più bassi che negli anni 90, mentre produttività, GDP, investimenti e profitti sono a livelli record.

L’innalzarsi della marea digitale non ha quindi sollevato insieme tutte le barche, ma ha accresciuto la domanda per lavoratori con nuove competenze, sostituendo rapidamente le mansioni intellettuali e manuali più ripetitive.

D’altra parte l’economia digitale vede il diffondersi di piattaforme che favoriscono l’incontro diretto di domanda e offerta, e con ciò riducono drasticamente le intermediazioni e determinano non solo la crisi di figure professionali che divengono rapidamente obsolete, ma di interi comparti ( vedi la chiusura della catena  di negozi di TOYS R US, o la caduta delle azioni dell’intero comparto farmaceutico quando Amazon entra direttamente nel settore)

Abbiamo già trattato nei numeri precedenti il tema delle politiche per affrontare il “digital skill mismatch” che ne deriva. Qui vorremmo focalizzarci su due aspetti: la “GIG Economy” e il Lavoro 4.0

Come dice Luisa Leonini sul “Mulino”: “Si diffonde quella che gergalmente viene definita la «gig economy» (dall’inglese lavoretto, compito o lavoro temporaneo e occasionale), ovvero un insieme di relazioni economiche dove le prestazioni lavorative continuative tendono a diminuire e dove sempre più si lavora on demand: Airbnb, Uber, Deliveroo, Foodora, ecc. sono tutti esempi di lavoratori coinvolti in questo nuovo tipo di economia.” (2)

Il tema dei lavoratori della Gig economy è sotto i riflettori: il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ne ha fatto oggetto di primaria attenzione nell’approcciare il tema delle nuove condizioni di lavoro nell’era del digitale.

Il “Decreto Dignità” si propone tra l’altro di definire norme in materia di lavoro tramite piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi.

L’obiettivo è innanzitutto quello di contrastare il precariato, limitando drasticamente la possibile durata dei contratti a tempo determinato, mentre altre norme sono intese a penalizzare la delocalizzazione di imprese beneficiarie di aiuti.

Una prima osservazione: al di là della doverosa tutela delle condizioni del lavoro, può avere successo una politica di contrasto del precariato basata fondamentlmente su vincoli e disincentivi alla flessibilità e alle delocalizzazioni?

O non sarebbe invece opportuno far maggiormente leva sul tema della sostenibilità sociale e ambientale del business, che assume sempre più importanza nelle scelte di acquisto da parte dei consumatori?  In un recente studio di PwC di rileva che più dell’80% dei Millenials è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, e il 56% esclude dalle proprie scelte i brand che non operano in modo sostenibile. (3)

Poiché innovazione digitale e sostenibilità sembrano andare di pari passo, incentivare quegli operatori che fanno della responsabilità sociale un obiettivo primario delle loro strategie di impresa potrebbe forse consentire di ottenere risultati migliori di politiche miranti a un forte ridimensionamento di contratti di lavoro flessibili. O comunque, un mix di misure per dosare equilibratamente freno e acceleratore potrebbe essere auspicabile.

Un’ulteriore osservazione emerge infine se si considera che, al di là della Gig Economy, trasformazioni strutturali riguardano il complesso di quello che viene definito più in generale “lavoro 4.0”.

Secondo Marco Bentivogli, Segretario Generale della FIM CISL, servono “ nuove categorie interpretative e giuridiche che non asfaltino il nuovo lavoro”, ed egli  si spinge a suggerire che “ nel lavoro 4.0 una sperimentazione puo’ riguardare dei veri e propri contratti “ibridi”, in cui una parte è quella più simile al lavoro subordinato, anch’essa con contenuti sempre nuovi, e una parte “individuale” in cui la persona è coinvolta in progetti, compiti, responsabilità e risultati con caratteristiche quasi simili al lavoro autonomo o meglio “ a progetto”. (4)

Di qui Bentivogli passa a suggerire le nuove opportunità derivanti dale applicazioni delle blockchain attraverso gli smart contract. I “contratti intelligenti” sono accordi che si perfezionano automaticamente in presenza di certe condizioni. Potrebbero rappresentare un salto qualitativo importante eliminando complicazioni burocratiche, avviando automaticamente coperture assicurative e contributive o certificando l’orario di lavoro: e tutto ciò in un contesto di smart contract collegati ai dispositivi di lavoro anche attraverso le tecnologie IoT.

Nuove tecnologie digitali e incentivi alla sostenibilità sociale e ambientale delle strategie d’impresa sembrano offrire quindi opportunità di tutela delle condizioni di lavoro nell’era del digitale che potrebbero migliorare significativamente l’efficacia delle misure di contrasto previste dalla riforma del mercato del lavoro che sta vedendo la luce.


 


1) Erik Bryniolfsson and Andrew McAfee: The second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies
2) Luisa Leonini, Il diffondersi della «gig economy» nelle società digitali, Il Mulino Ottobre 2016
3) Fausto Caprini, Gig Economy:la fragilità e i rischi di un mito digitale, reteX, 2017, http://www.retexspa.com/spotlight/gig-economy-rischi-mito-digitale/
4) Marco Bentivogli, Se l’analfabetismo digitale fa più paura della Gig Economy, Il Sole 24 Ore, 27 Giugno 2018

 

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