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Dallo smart working al lavoro di qualità: come riprogettare l’organizzazione e il lavoro

N.  Novembre 2020
        

a cura di Elena Vaciago 
Associate Research Manager, The Innovation Group

 

La pandemia ha favorito il ricorso al lavoro a distanza in modo inedito in Italia (e a livello mondiale) sia durante il lockdown sia dopo. Con la ripresa, in molti – lavoratori e datori di lavoro – puntano a mantenerlo avendo verificato con mano i benefici del nuovo paradigma. Ma cosa significa, nel bene e nel male, lavorare  iper-connessi? Durante il Tavolo di Lavoro “Smart Working: come sta trasformando il lavoro, le imprese e le organizzazioni pubbliche. Il ruolo della tecnologia“, che si è tenuto nel pomeriggio del 21 ottobre durante il DIGITAL ITALY SUMMIT 2020, è stato dibattuto:

  • Quali sono i risultati ottenuti nel settore pubblico e privato con riferimento alla promozione del lavoro agile.
  • Quali sono i punti di attenzione perché questo percorso possa beneficiare di ampia adozione e di una corretta impostazione.
  • Come riorganizzare processi e ruoli, nel breve e lungo periodo, per beneficiare di quanto oggi realizzabile con la tecnologia.

Con riferimento al primo punto (i risultati ottenuti ad oggi con riferimento a un ripensamento e una trasformazione dei modelli lavorativi), durante la discussione sono emersi molti commenti positivi.

Paolo Sottili, Direttore Generale, Direzione Centrale Organizzazione di Regione Liguria, ha sottolineato ad esempio: “Oggi, dopo mesi di smart working emergenziale, stiamo tornando al regime ordinario, anche se abbiamo in parte modificato la normativa dell’Ente per rendere più flessibile l’utilizzo di tale modalità di lavoro. Mentre durante l’emergenza avevamo le persone attive in smart working per 4 o 5 giorni alla settimana, e per molte settimane consecutive, ora si torna ad avere una prevalenza del lavoro svolto presso l’ufficio con un massimo di due giornate di lavoro agile alla settimana, fruibili, all’occorrenza, anche in modo continuativo nel mese”.

Come ha poi aggiunto Paolo Sottili, lo smart working emergenziale ha dato una fortissima spinta alla digitalizzazione delle attività e allo sviluppo delle relative competenze. Sono stati avviati nell’ultimo periodo processi che fino all’anno scorso sembravano condannati alla carta; sono partiti processi già informatizzati che altrimenti non sarebbero mai decollati. Nel settore pubblico, una forza lavorativa con età media elevata ha dovuto apprendere in poco tempo a lavorare in modo nuovo: anche questo un risultato importante e inedito.

Attenzione però agli elementi critici nel passaggio a nuovi modelli di lavoro. Da questo punto di vista le osservazioni emerse durante il Tavolo di Lavoro sono state numerose: come ha detto Mario Attubato, Corporate Head of Digital Transformation di Saipem: “Il tema non è tanto tecnologico o digitale in sé. Siamo già da tempo dentro un modo nuovo di lavorare, in un New Normal, ed è fondamentale considerare il tema di formare le persone al nuovo modo di lavorare smart, perché al momento vediamo che non si sono ancora abituate“.

L’impressione che si trae da una convivenza forzata con il lavoro intermediato dalla tecnologia, come è successo quest’anno a livello macroscopico, è che tutto sia più rigido e impersonale, quasi “incastrato” in una pianificazione che pervade ogni momento, lascia poco spazio all’informalità e all’improvvisazione, chiede di rispondere in modo molto veloce a obiettivi che diventano istantanei, richiede nuove capacità per una corretta gestione dei tempi e delle performance personali.

Anche per Silvia Cassano, Responsabile Risorse Umane di ING Italia va bene spingere sul digitale (ING è stata la prima Banca a introdurre in Italia, lo scorso agosto, lo smart working super flessibile, con massima autonomia e responsabilizzazione delle persone) ma bisogna avere grandissima attenzione alle persone, a garantirgli una vita soddisfacente da tutti i punti di vista. Quindi, identificare quali sono i “momenti importanti” in cui è comunque preferibile essere in ufficio, avere diritto alla disconnessione, avere la possibilità di interagire di frequente con il management e i colleghi, essere informati su come cambiano con lo smart working anche i percorsi di carriera.

Per quanto riguarda infine le sfide che ci aspettano nel futuro, cosa servirà fare prioritariamente e come riorganizzare processi e ruoli, per beneficiare di quanto oggi realizzabile con la tecnologia nel breve e lungo periodo, viene in aiuto la lezione del Professore Federico Butera, Presidente, Fondazione IRSO, sulla rivista HBR Italia (“Dallo smart working al lavoro ubiquo di qualità: un’opportunità per cambiare il lavoro e le organizzazioni”) dove innanzi tutto si distingue tra misure pubbliche (ricerca, un nuovo assetto normativo, investimenti e incentivi fiscali) e misure adottate dalle singole organizzazioni (infrastrutture, mindset, riprogettazione di processi e uffici, relazioni industriali). Poi, come conclude Federico Butera: “La quota di lavoro a distanza aumenterà senza eliminare il lavoro in presenza. Questo porrà problemi, ma anche genererà una spinta a equilibrare tempo di lavoro e tempo di vita. Andrà riprogettata la domesticità del lavoro insieme a un impulso a migliorare l’organizzazione della vita familiare e a valorizzare il tempo libero, dando maggior valore allo stare in casa come stiamo imparando forzatamente durante il lockdown di questi giorni. Non sarà facile ma si può e si dovrà fare anche dopo, indipendentemente dal numero di giorni alla settimana in cui si lavorerà da casa”.

 

 

 

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