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Dall’innovazione di frontiera alle fondamenta dell’IT

 

Immagine di freepik*

Quello dei Cio è un ruolo complesso, che oscilla tra richieste di cambiamento e necessità di rendere più solida l’infrastruttura IT e le competenze esistenti.

Da un lato l’innovazione tecnologica che corre verso le nuove frontiere dell’ingegneria informatica, dove si sovrappongono intelligenza artificiale, robotica, quantum computing, droni. Dall’altro un’esigenza di consolidare le fondamenta dell’IT aziendale, un ritorno alle attività e conoscenze troppo trascurate in anni di frenetica spinta verso l’ultima novità dell’universo digitale. Questi due temi apparentemente opposti trovano un comune denominatore nella figura del chief information officer, protagonista dell’evento “Cio Leaders Summit”, organizzato da TIG – The Innovation Group il 14, 15 e 16 marzo scorsi a Baveno, sul Lago Maggiore. Un’occasione per ripensare alle responsabilità di una figura professionale che spesso si relaziona direttamente con i vertici aziendali, dovendo assecondare le richieste di cambiamento dettate dal business; una figura, allo stesso tempo, responsabile della solidità e della sicurezza dell’infrastruttura hardware e software che fa da base a tutto, a ciò che è consolidato e alle future innovazioni.

A parlare di innovazione di frontiera, dal palco del Cio Leaders Summit, è stato

Cosimo Accoto, research affiliate & fellow del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston e professore aggiunto dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore). “Siamo in un’epoca che sta muovendosi rapidamente dalla condizione di scienza a quella di ingegneria”, ha esordito Accoto. “Questo significa che molte delle innovazioni tecnologiche che fino a poco tempo fa erano innovazione scientifica nata nei laboratori, oggi stanno diventando innovazioni ingegneristiche. Stiamo costruendo le nuove fondamenta ingegneristiche per la civiltà del ventunesimo secolo”.

Tra gli esempi di “ingegneria della frontiera” (così li chiama il Mit), protagonisti del prossimo decennio, ci sarà probabilmente l’intelligenza artificiale, che oggi è maturata da semplice machine learning ad AI generativa, capace di produrre testi, audio e immagini. La prossima fase teorizzata dal Mit sarà quella dell’intelligenza incorporata nella robotica (di cui peraltro già esistono esempi concreti, come le macchine umanoidi di Figure sommate alle reti neurali di OpenAI), mentre in un futuro più lontano esisterà forse una “intelligenza planetaria”, cioè un’attività cognitiva che opera su scala planetaria.

L’ingegneria della frontiera oggi sperimenta in diversi ambiti, dalla scienza dei materiali all’informatica vera e propria. Si lavora, per esempio, nel calcolo quantistico con progetti di quantum sensing, quantum networking, crittografia post-quantistica, e si arriverà forse nei prossimi decenni ad avere una “quantum Internet”. Secondo i ricercatori la Blockchain avrà un ruolo di peso nel nostro futuro, ma si dovrà vincere la sfida della interoperabilità creando una piattaforma di raccordo per quelle che sono, attualmente, isole tecnologiche non dialoganti tra loro (cioè, incapaci di scambiarsi dati). E che dire dell’idea, forse anche un po’ inquietante, di una intelligenza collettiva governata tramite Blockchain e utilizzata per far funzionare sciami di droni? Anche questa è una prospettiva all’orizzonte. 

“In realtà quelle che sembrano innovazioni tecnologiche si candidano a diventare innovazioni istituzionali”, ha sottolineato Accoto. “Stiamo passando dalle macchine di Turing alle istituzioni di Turing: macchine che danno vita a forme organizzative del tutto nuove”. Il ricercatore ha anche sottolineato una sfida insita nell’ingegneria della frontiera: “Dovremo capire come tenere insieme gli avanzamenti tecnologici qui descritti, molti dei quali sono energivori, con l’abitare il Pianeta in modo più sostenibile”, ha detto Accoto.

Se queste sono le nuove frontiere, le aziende di ogni dimensione e settore oggi si trovano a dover gestire questioni forse meno attraenti ma più concrete, fondamentali per la loro sicurezza e sopravvivenza nel mercato: per esempio la transizione al cloud (ancora in gran parte incompiuta), l’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa nei processi esistenti (come quelli di CRM, Erp, o nelle risorse umane) e l’esigenza di lanciare continuamente nuovi servizi, e quindi nuove applicazioni, senza trascurare una cybersicurezza sempre più difficile da garantire.

Sul palco del “Cio Leaders Summit” diversi relatori hanno concordato sull’esigenza di rafforzare le fondamenta dell’IT aziendale, di qualsiasi azienda, prima di poter pensare a queste evoluzioni. Un back to basics, insomma. “In tante aziende c’è da lavorare per mettere a posto le fondamenta”, ha detto Alfonso Fuggetta, Ceo di Cefriel. “Un esempio: non si sa più progettare software, perché tanto lo si compra e ci si illude che non servano competenze. Non si sa progettare architetture di rete, non si sa gestire un sistema distribuito o utilizzare tecnologie come le Api, inventate vent’anni fa”.

Marco Bentivogli, economista ed esperto di politiche di innovazione dell’industria e del lavoro, ha sottolineato che all’Italia manca, attualmente, una rete di trasferimento delle competenze. “Più che pensare a fare l’OpenAI italiana, dovremmo ricostruire il nostro tessuto delle competenze del lavoro e il tessuto produttivo per rendere il sistema industriale realmente più aperto all’innovazione. Credo che la parola d’ordine sarà polarizzazione: pochi staranno in mezzo e i più saranno agli estremi, o coinvolti o marginalizzati dall’innovazione”.

In questo scenario complesso, i Cio si trovano sulle spalle la responsabilità di orientare la trasformazione tecnologica delle aziende, su cui poggia anche la trasformazione dei modelli di business. Una responsabilità enorme, che oscilla tra i due poli opposti: richiede curiosità, apertura verso l’innovazione già consolidata o “di frontiera”, ma esige anche la capacità di restare con i piedi per terra e anzi di scavare più sotto, fino alle fondamenta dell’IT, per renderle più solide.


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