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Che cos’è la Blockchain e che cosa non è?

INTERVISTA di Simona Macellari, Associate Partner, The Innovation Group a Gabriele Domenichini, Presidente di AssoB.it

Domenichini

La blockchain oggi è al centro dell’interesse delle principali istituzioni finanziarie del mondo, attirate da alcuni suoi aspetti innovativi. In particolare sono interessate alla solidità e alla resilienza che la blockchain sta dimostrando, ormai da diversi anni, permettendo la gestione di oltre 10 miliardi di dollari senza bisogno di alcun potere centralizzato. Questo aspetto però crea imbarazzo nei confronti dei regolatori dei paesi in cui operano che non vedono di buon occhio sia la difficoltà di controllo delle singole transazioni sia, in certa misura, l’impossibilità di sorveglianza complessiva.Per questa ragione molte banche, fondi, governi stanno investendo tempo e denaro per mettere in campo altri tipi di blockchain “spurie” in cui sia possibile la sorveglianza da parte dei regolatori, ed eventualmente la censura di transazioni in contrasto con le norme.

Questa situazione sta portando alla nascita di molti progetti di blockchain modificate per permettere lo svolgimento dell’attività di controllo da parte degli enti di sorveglianza e anche da parte delle banche stesse che stanno intraprendendo questi progetti.Un effetto di questa proliferazione di blockchain è la crescente ambiguità del significato della parola stessa e la difficoltà da parte degli operatori del mercato nell’intendere in maniera condivisa quale di questi progetti possa definirsi blockchain e quale no.

La blockchain, nel suo significato originario è un’ interfaccia per la memorizzazione (registro) di transazioni finanziarie in bitcoin progettata e strutturata in modo da essere aggiornata in modo collegiale da una comunità di operatori (i miners) che non hanno bisogno nè fidarsi nè conoscersi tra loro. Nel disegno originario, non esistevano barriere all’entrata per fare parte di questa comunità di operatori e nessuno di questi poteva prendere il controllo del registro delle transazioni. Nessuno di questi operatori era identificato o identificabile e apparteneva alla comunità dei manutentori del registro, in virtù di un lavoro computazionale che gli altri operatori potevano verificare (la cosiddetta Proof of Work).

Dopo pochi anni di funzionamento, il progetto bitcoin fu clonato diverse volte, dando origine a monete alternative o altcoins e di conseguenza le Blockchain alternative, che comunque operavano più o meno secondo gli stessi principi, detti altchains. Data la scarsità di interesse e quindi di operatori di queste monete alternative, la Proof of Work che le sorregge è in generale molto debole e questo le rende suscettibili di attacchi mirati a prenderne il controllo da parte di soggetti esterni con interessi in questo senso. Questo le rende meno sicure e meno “preziose” del bitcoin.

Nel 2014 fu pubblicato un whitepaper che descriveva la possibilità di creare catene, agganciate ad altre, su cui fare viaggiare le transazioni con modalità anche completamente diverse tra loro.

Questa idea corrisponde alle pegged sidechains, che rappresentano oggi la più promettente possibilità di creare sottosistemi del sistema bitcoin; questi sottosistemi operano secondo regole differenti ma che ne mutuano il valore in quanto è sempre possibile bloccare, su una sidechain, una certa quantità di “assets” per liberare nuovamente i bitcoin corrispondenti sulla Blockchain.

Le blockchain di cui si sente parlare oggi sono, in generale, delle altchains modificate affinchè per raggiungere il consenso sulle transazioni non sia necessaria la Proof of Work; affidandosi a meccanismi di sincronia più semplici e che si basano sulla fiducia reciproca di tutti i partecipanti al sistema stesso. In questi progetti lo stesso concetto del “token nativo” è normalmente eliminato dal sistema e l’altchain viene usata per trasportare “assets” che enti “trusted” hanno provveduto a inserire nel registro e di cui ne garantiscono a vario modo la redimibilità.

In Italia oggi ci sono alcuni di questi progetti da parte di grosse istituzioni finanziarie e dall’altra parte c’è un ecosistema di startup che o seguono la direttrice del “Blockchain senza bitcoin” oppure cercano di lavorare con la “Blockchain di bitcoin”, oppure cercano in questo modo di sfruttare l’aspetto di “unico registro mondiale” di certificazione dell’esistenza di un documento ad una certa data: se si esegue una transazione in cui si immette l’impronta informatica digitale di un documento, si può provare che è matematicamente impossibile che il documento sia stato creato dopo la data riportata sulla transazione.

Vi sono oggi alcune interessanti direttrici di sviluppo per la Blockchain, che hanno spesso a che fare con i limiti attuali di questa tecnologia: per esempio, siccome la Blockchain male si adatta a trasportare il valore di “assets” diversi dal suo token nativo (il bitcoin), si sta studiando il modo di farlo con catene alternative oppure modificando la Blockchain per accogliere efficacemente altri “assets”. Un altro limite che si sta cercando di aggirare sta nel fatto che un sistema decentrato sembra essere poco scalabile ed è innegabile che la maggior parte degli studiosi stia cercando di dare una soluzione al problema mantenendo però il massimo della decentralizzazione.

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