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Competenze e tecnologie nella “digitalizzazione a metà” delle imprese italiane

 

Per anni molto si è parlato del “ritardo infrastrutturale” italiano, riferito alle infrastrutture dell’informatica. Quelle reti di telecomunicazione basate su fibra ottica e 5G senza le quali, in un mondo sempre più digitalizzato, cittadini, scuola e imprese non possono correre verso il futuro. Avendo fatto progressi nell’ambito della banda larga (nel 2023 l’84,8% delle imprese italiane era dotato di connessione ad almeno 30 Mbit/s, secondo i dati Istat), l’Italia oggi sconta soprattutto un ritardo su un altro aspetto: le competenze digitali. Il tema è quasi onnipresente nei convegni e nelle ricerche del settore informatico e inoltre spicca come tasto dolente nel “Rapporto annuale 2024” di Istat, una fotografia dettagliata sullo stato dell’economia e della società italiana.

La carenza di competenze informatiche e del loro impiego produttivo “rappresenta un elemento critico per il sistema economico nel suo insieme e dal punto di vista sociale”, si legge nel report. Il problema è duplice: da un lato, sul mercato del lavoro non ci sono abbastanza laureati e diplomati in materie informatiche e ingegneristiche; dall’altro, in molte aziende scarseggiano le competenze digitali di base, necessarie anche in professioni che esulano dai ruoli IT.

In particolare, Istat rileva che in Italia tra il 2013 e il 2022 la quota di professionisti Ict sul totale degli occupati sia cresciuta più lentamente rispetto alle altre maggiori economie europee: sono attualmente il 3,9%, contro il 4,3% di Francia e Spagna e il 5% della Germania. Se non altro, un elemento positivo è che nell’arco di un decennio (dal 2012 al 2022) in Italia la quota di imprese che conducono attività di formazione Ict sul personale è salita dall’8,9% al 15,9% (dato superiore al 12,4% francese ma inferiore al 25,2% tedesco).

 

 

Per quanto riguarda le competenze digitali di base, l’obiettivo fissato nel quadro del “decennio digitale” dalla Commissione Europea è di portarle all’80% della popolazione italiana tra i 16 e 74 anni entro il 2030. La strada da percorrere non è poca, considerando che si parte da una quota del 46% (nel 2023), inferiore di otto punti percentuali alla media dell’Unione Europea. Gli interventi previsti puntano a migliorare l’accesso alla formazione digitale sia nella scuola sia nei contesti lavorativi, grazie a 11,7 miliardi di euro di investimenti (in parte già stanziati, in parte solo pianificati), di cui 9,5 miliardi finanziati da fondi comunitari. A ciò si affianca un più specifico piano da 5,1 miliardi di euro per lo sviluppo di competenze digitali di livello elevato tra la popolazione: si punta, in particolare, ad aumentare il numero dei laureati in materie Stem, riducendo anche l’attuale e ben noto gender gap. Il numero di professionisti Ict residenti in Italia dovrà più che raddoppiare, passando dagli attuali 800mila a 1,7 milioni entro il 2030.

Le competenze non sono, comunque, l’unico pilastro su cui dovrà fondarsi la trasformazione digitale italiana. Alle già citate infrastrutture di telecomunicazione è dedicato, nel “decennio digitale”, uno stanziamento da 7,4 miliardi di euro (di cui 4,8 miliardi finanziati da fondi comunitari), teso a estendere in tutto il territorio l’accesso alla banda larga su rete fissa e wireless. Nell’ambito del Chips Act, il piano Ue che punta a incrementare la produzione di semiconduttori in Europa, l’Italia riceverà 3,3 miliardi di euro di stanziamenti pubblici.

Se le risorse finanziarie sono necessarie per una trasformazione sistemica, per un’Italia sempre più digitale sarà essenziale anche l’azione individuale delle imprese, la loro mentalità e propensione all’innovazione. La grande rivoluzione tecnologica dell’ultimo decennio, il cloud computing, è ancora in corso mentre un’altra (sovrapposta) rivoluzione bussa alla porta, l’intelligenza artificiale generativa. E intanto quote significative di aziende restano ancora lontane da strumenti digitali che portebbero migliorare l’efficienza (come gli Erp) o aprire nuovi sbocchi di mercato (come le piattaforme di e-commerce).

Nel 2023, tra le imprese con almeno da addetti, il 60% utilizzava servizi di cloud computing, rispetto al piccolo 20% del 2016: hanno fatto da volano sia gli incentivi fiscali e sia i lockdown del 2020 e la conseguente “nuova normalità” del lavoro ibrido. Progressi più scarsi, invece, si sono visti nell’adozione di software gestionali e di sistemi per lo scambio di dati tra aziende e loro fornitori. Il commercio elettronico è ancora relativamente poco diffuso, benché sia cresciuta di qualche punto (dal 12,9% del 20121 al 17,7% del 2023) la sua incidenza sul fatturato complessivo delle aziende italiane. L’Italia pare in ritardo soprattutto sull’intelligenza artificiale: questa tecnologia è entrata nelle dinamiche di solo il 5% delle aziende italiane, contro l’8% della media Ue e l’11% della Germania. La percentuale sale tra le imprese dei settori Ict (23,6%), telecomunicazioni (13,3%) e fabbricazione di computer (9,6%).

 

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