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Applicazioni Cloud ed open Api: la diversificazione dell’offerta AI

N.  Settembre 2017
        

a cura di Francesco Manca 
Junior Analyst, The Innovation Group

 

Il 14 e 15 Giugno si è tenuto a Londra l’edizione europea del Cloud Analyst Day di IBM. Oltre a trattare nello specifico l’offerta e i punti di forza dell’offerta Cloud di IBM, c’è stata anche l’opportunità di approfondire alcune dinamiche generali di alcuni mercati tecnologici tra cui quello dell’intelligenza artificiale (AI). Secondo le stime di The Innovation Group, le dimensioni del mercato italiano di tecnologie AI negli sono abbastanza contenute (circa 25mln nel 2017), ma è prevista una forte crescita con un CAGR del 65% nei prossimi sei anni fino ad arrivare a quasi 300mln nel 2022. In questo periodo si prevede una progressiva diminuzione della quota delle componenti software all’interno del mercato ed una crescita dei servizi, specialmente per un aumento del mercato di soluzioni API e Cloud, la cui offerta è già ampliamente strutturata. Tra i principali provider di tecnologie intelligenti tramite Cloud ed API c’è IBM con Watson: la piattaforma Cloud per servizi AI. IBM è pioniere tra i fornitori di tecnologie intelligenti su piattaforma Cloud e, come la maggior parte degli altri providers, ha investito molto nella sua offerta AI puntando sul fatto che la maggior parte di chi ha adottato tecnologie intelligenti nel recente passato continuerà a farlo, perché crede che queste saranno un “must have” per rimanere competitivi nel futuro prossimo1. L’interesse delle aziende per le tecnologie AI ne incentiva la ricerche che nella sola IBM hanno prodotto in pochi anni 825[1] brevetti. La maggior parte delle piattaforme di servizi AI sono in Cloud (SaaS), in quanto è una struttura che permette di offrire ed aggiornare in un unico luogo strumenti che si stanno sviluppando ed, allo stesso tempo, rendono ogni servizio molto customizzabile.

La maggior parte dei provider differenzia la propria offerta in soluzioni analytics, data visualiaztion, sistemi di text to speech, speech to text e visual recognition, tutte applicabili a contesti ed industry diversi, allo scopo di potenziare l’analisi dei dati strutturati e di codificare quelli non strutturati. Ad oggi i servizi più maturi ed efficienti sono quelli di conversazione e quindi meccanismi di  text to speech e speech to text che permettono una interazione diretta tra utente e macchina. Le applicazioni più comuni sono quindi soluzioni di chatbot e virtual agent, finalizzate essenzialmente a servizi di front desk per l’interazione con il consumatore finale. Parallelamente a questi tool specifici per singole applicazioni, le piattaforme generalmente offrono anche servizi più generici, che integrano diverse tecnologie intelligenti cercando di usare dati, analizzarli, farsi domande e darsi delle risposte che possano essere rilevanti per l’utilizzatore. Sistemi di questo tipo sono ancora tra i più immaturi, ma di certo sono anche tra quelli con più potenziale di sviluppo ed utilizzo e su cui i principali vendor puntano come driver per lo sviluppo della loro offerta. IBM, ad esempio, ripone nella sua offerta Watson Discovery le maggiori aspettative di mercato e di sviluppo. Nello specifico, Discovery Service è un insieme di API che può generare rapidamente ricerche intelligenti, analisi dei contenuti, crea dati, estrae valore da dati non strutturati e strutturati in un sistema facilmente scalabile e di facile utilizzazione.

I driver della domanda di soluzioni intelligenti tramite piattaforme cloud non sono però confinabili alla sola  efficacia delle tecnologie, ma anche ad altre caratteristiche tecniche e funzionali. Le tecnologie intelligenti autoapprendono ed interpretano i dati tramite meccanismi di machine learning, che necessitano di un traning specifico e particolare a seconda dell’utilizzatore. Questo significa che sistemi con un training  proprio e costruito sullo use case dell’utente aumentano la probabilità di avere soluzioni più efficaci; raggiunto un determinato livello si autoaddestrano ed imparano autonomamente sui dati a loro disposizione. Offrire tecnologie già addestrate per mano di altri utilizzatori, rendendono disponibile questo sviluppo tramite cloud a terzi può infatti avere effetti contrastanti: se da un alto si potenza il raggio di azione e l’efficacia della tecnologia stessa offrendole maggiori use case sui quali il sistema fa inferenza per arrivare ad una soluzione, dall’altro si possono aprire gli sviluppi tecnologici compiuti da uno specifico utente anche ai suoi potenziali competitor. Il grado di privatizzazione dei propri dati, ma soprattutto del training applicato alla tecnologia, è quindi un altro dei fattori sostanziali su cui i vari provider si differenziano: da un lato offrendo la protezione del grado di training e dall’altro garantendo un servizio sempre più dinamico ed in evoluzione. IBM ha deciso di perseguire il primo percorso, garantendo un training non condiviso, in cui il livello di efficienza varia a seconda del livello di training dell’utilizzatore, in un’ ottica in cui ogni dato caricato e ogni training è di dominio privato; altri attori del mercato hanno invece optato per una scelta open e meno privatizzata, in cui ogni utilizzatore “condivide” correzioni ed algoritmi di training per una conseguente ottimizzazione del sistema.

Schema semplificato di un sistema a machine learning. Aumentando il volume ed i dati su cui fare i training si influenza la capacità del un modello predittivo e quindi anche della soluzione finale.

Infine è utile segnalare che la domanda di servizi AI non appare distribuita in modo omogeneo. I principali fruitori di servizi AI sono imprese di grandi dimensioni o startup; mancano all’appello le imprese medie che al momento non sembrano ancora interessate a questo mercato o, meglio, in cui domina il timore di fare investimenti troppo azzardati su tecnologie di cui riconoscono le potenzialità ma non ancora del tutto affidabili (perché non pienamente mature). Le grandi imprese identificano invece nelle tecnologie AI opportunità competitive sul piano dell’innovazione che possono permettere di guadagnare quote di mercato e/o di consolidare la propria posizione dominante; le startup tecnologiche al contrario, vedono nelle tecnologie AI la principale vena innovativa che ne giustifica l’esistenza e che può permettere l’inserimento e l’ingresso nel mercato.

 


[1] https://www.ibm.com/blogs/watson/2016/11/leading-cognitive-charge-companies-hold-ai-patents/

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