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Immuni sancisce l’inizio della Fase 3, ma anche di una nuova era?

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Con Immuni l’Italia dà ufficialmente avvio al contact tracing. Nonostante le rassicurazioni sulla privacy per molti il rischio è quello di un grande fratello orwelliano. Il dibattito è ancora in corso e verrà affrontato il prossimo 30 giugno con autorevoli esperti nel corso della web conference di TIG.

Dallo scorso 15 giugno l’app Immuni è ufficialmente attiva in tutta Italia, dopo che l’8 giugno era partita la sperimentazione in quattro regioni (Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia). Diverse sono state le vicende che negli ultimi mesi hanno portato l’app a far molto discutere di sé: dalle indagini del Copasir che temeva eventuali effetti negativi sulla sicurezza nazionale alle polemiche su quale modello seguire per il tracciamento dei contatti (se centralizzato o decentralizzato), ai dubbi sulla privacy su cui poi è intervenuto il garante per la privacy Antonello Soro. Sono recenti, infine, i problemi di incompatibilità riscontrati sui dispositivi Huawei e Honor, punto su cui gli sviluppatori sono intervenuti con successo: adesso rimane esclusa solo una piccola percentuale di dispositivi che, a causa del ban dell’amministrazione Trump, sono sprovvisti dei servizi Google. Su questi telefoni il sito web di Immuni fa sapere di essere al lavoro per rendere compatibile l’app quanto prima.

Ad ogni modo, al di là delle polemiche e dei dubbi che sin dall’inizio sono stati avanzati (un tema già affrontato da The Innovation Group qui) il rilascio di Immuni sta già iniziando ad ottenere gli effetti sperati: di recente sono stati, infatti, annunciati i primi tre casi di persone risultate positive e individuate proprio grazie all’app. Ad annunciarlo è stato lo stesso governatore della Liguria Giovanni Toti definendo l’app «un buon esperimento, oltre che un passo avanti straordinario che consentirà in autunno di affrontare eventuali nuovi casi con gli strumenti adeguati».

Ma qual è la posizione dei cittadini al riguardo?

Secondo un’indagine Doxa, condotta su un campione di 1001 italiani nel periodo 24-27 aprile 2020, il 53% degli italiani crede che l’app debba essere scaricata solo su base volontaria contro il 34% che la vorrebbe invece obbligatoria. Il restante 13% reputa, invece, l’app inutile. Infine, tra chi preferirebbe l’installazione dell’app su base volontaria, il 67% si dichiara propenso ad installarla sul proprio smartphone mentre il 33% sarebbe contrario.

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Con riferimento alle posizioni dei cittadini sull’app, il 71% del campione è d’accordo nel ritenere l’applicazione utile ed efficace a contenere il contagio soltanto qualora venisse utilizzata da molte persone mentre per il 70% il download aiuterebbe ad aumentare la responsabilizzazione verso un problema collettivo. Infine, il 57% si sentirebbe più sicuro a scaricare l’app.

Per l’83% degli intervistati, inoltre, in assenza di obbligatorietà, l’app verrà installata da poche persone, rendendo l’iniziativa di fatto inutile mentre il 63% si dichiara preoccupato per la protezione dei dati sensibili ed eventuali violazioni della privacy.

In ogni caso Immuni ha riportato sin da subito un boom di download, arrivando a raggiungere il 16 giugno (il giorno seguente l’attivazione dell’app su tutto il territorio nazionale) la soglia dei 2 milioni e 780mila utenti, una quota che, seppur positiva, si spera possa aumentare ulteriormente. Come, infatti, più volte ribadito sia dal Ministro Paola Pisano sia dal Commissario Domenico Arcuri non esiste una soglia per decretare il successo o l’insuccesso dell’app, quello che è importante è che a scaricarla sia un bacino più ampio possibile di persone (per favorirne la diffusione il governo ha anche dato avvio ad una campagna informativa).

Il tema sta acquisendo rilevanza anche a livello internazionale e in modo particolare all’interno dell’Unione Europea dove diversi Paesi si sono attrezzati con specifiche soluzioni di contact tracing. Il fenomeno ha indotto gli stati membri dell’Unione Europea a concordare, con il sostegno della Commissione, una serie di linee guida per l’interoperabilità delle app basate su un’architettura decentrata (un modello adottato dalla maggior parte delle soluzioni e anche da quella italiana). L’obiettivo, ha affermato il commissario per il mercato interno Thierry Breton, «è garantire che tutti i cittadini europei possano utilizzare l’applicazione del proprio paese ovunque si trovino nell’Unione, un’esigenza che si avverte soprattutto con l’approssimarsi della stagione turistica».

Se, dunque, quello sul contact tracing è un dibattito che sta toccando in uguale misura tutte le agende politiche (sia nazionali sia internazionali) il prossimo tema da affrontare sarà se un suo pieno sviluppo potrà causare effettivamente un punto di non ritorno, rendendo sempre più reale il tanto temuto rischio di un “grande fratello orwelliano”. La questione verrà affrontata anche il prossimo 30 giugno in occasione della quarta web conference del Digital Italy Program dal titolo “TECNOLOGIE DIGITALI PER CHIUDERE L’EMERGENZA E PER LA RIPRESA DEL PAESE – AI, Big Data, Robotics, Cloud”. Durante l’evento sarà dedicata al tema del contact tracing una sessione specifica in cui interverranno autorevoli ospiti quali Guido Scorza, Consigliere Giuridico del Ministro per l’innovazione, Stefano Quintarelli, Member of the AI High Level Expert Group, European Commission e Valentina Frediani, Founder e CEO, Colin & Partners.

 

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