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Execution: l’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti!

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A seguito del diffondersi della pandemia, l’esigenza di elaborare rapidamente strategie di contenimento efficaci ha evidenziato l’importanza delle tecnologie digitali per consentire la continuità della maggior parte delle attività precedentemente in atto. Assunta questa consapevolezza adesso bisognerà comprendere quali strategie di execution il Paese dovrà mettere in atto.

Il più grande insegnamento che traiamo dalla crisi è che bisognava affrontarla con una preparazione maggiore e più adeguata. Il Paese non era pronto a subire cambiamenti di così vasta portata come quelli vissuti negli ultimi mesi, eppure, anche se non senza difficoltà, si è continuato a lavorare, ad imparare, a produrre ed erogare servizi, a vivere una quotidianità secondo modalità differenti rispetto a quelle conosciute in precedenza. Che ciò sia stato possibile grazie al massiccio ricorso a strumenti e soluzioni digitali (ai più sconosciuti nel periodo pre-Covid) è stato più volte ribadito ma che questa tendenza sia stata rilevata in un Paese come l’Italia che, secondo l’ultima edizione dell’indice DESI, occupa l’ultima posizione nell’ambito delle competenze digitali, induce a delle riflessioni.

Cosa abbiamo imparato? Come supportare i tanti cambiamenti imposti dalla diffusione del Covid-19? Con quali politiche e attraverso quali investimenti? Come indirizzare il Recovery Fund verso i progetti strategici di cui il Paese ha realmente bisogno e in grado di dare forza e resilienza al suo sistema economico e produttivo? Tali tematiche sono state oggetto dell’ultima edizione del Digital Italy Summit, organizzato lo scorso 19-20-21 ottobre da The Innovation Group e dal titolo “Execution: L’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti!”.

Come affermato da Elio Catania, Senior Advisor e Consigliere per la politica industriale, Ministero dello Sviluppo Economico, quella che stiamo vivendo è una «fase delicata di scelte che richiede di valutare con attenzione dove allocare le risorse». «Nelle prossime settimane – ha proseguito Catania – la vera sfida sarà promuovere politiche di coesione e corredare i progetti con strumenti attuativi necessari. Qualsiasi scelta di politica industriale dovrà basarsi su due assi di riferimento fondamentali: la crescita del Paese, nella sua accezione più ampia, e la centralità dell’impresa». Qualsiasi politica di sviluppo industriale dovrà, inoltre, soffermarsi sulla centralità della componente umana con l’obiettivo di creare quello che Carlo Robiglio, Vice Presidente e Presidente Piccola Industria, Confindustria ha definito un “welfare innovativo”.

Anche per Stefano Firpo, Economista, Intesa Sanpaolo «siamo all’ora della verità» in cui bisogna dimostrare se si è realmente capaci di realizzare riforme strutturali. «Bisognerebbe chiedersi – ha proseguito Firpo – se si è realmente all’altezza di questa sfida», nella consapevolezza che «le riforme richiedono sforzo e amministrazione, oltre che una grande attenzione al policy design». La questione è stata affrontata anche da Patrizio Bianchi, Economista, Professore della Cattedra Unesco su Educazione, Crescita e Uguaglianza, Università di Ferrara e Direttore Scientifico, Fondazione Big Data secondo cui «mai come in questa fase è necessaria la capacità di esecuzione». Per Bianchi, inoltre, la crescita delle imprese italiane sarà fortemente legata allo sviluppo dei beni pubblici, «bisogna che il sistema di execution del Paese si metta in linea con le capacità e potenzialità che oggi scienza e tecnologia mettono a disposizione: il primo passo delle politiche industriali deve essere quello di ricucire il Paese». La relazione tra interventi pubblici e privati è stata affrontata anche da Marco Bellezza, Amministratore Delegato, Infratel Italia che ha ricordato come «bisognerà trovare degli strumenti operativi che consentano di vedere l’ intervento pubblico laddove manca quello privato».

La forte attenzione allo sviluppo di adeguate politiche industriali richiede, inoltre, la realizzazione di attività volte a rafforzare il sistema centrale dei Competence Centre, Digital Innovation Hub e a creare delle reti di trasferimento tecnologico. La tematica è stata affrontata da Marco Bentivogli, Esperto Politiche del Lavoro e di Innovazione Industriale secondo cui bisogna «costruire un’infrastruttura in cui le aziende non vengano lasciate sole nel percorso verso l’accelerazione digitale».

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Non va, infine, dimenticato che la capacità di execution deve essere accompagnata da una forte azione legislativa. È quanto ha dichiarato Mirella Liuzzi, Sottosegretario allo Sviluppo Economico, Ministero dello Sviluppo Economico intervenendo nella sessione conclusiva del summit. Il Sottosegretario ha, inoltre, parlato delle iniziative che il governo sta portando avanti nell’ambito dello sviluppo della banda ultralarga nel Paese e del 5G che «permetterà di rivedere i modelli di business nelle aziende e porterà un contributo di crescita annua del PIL dello 0,3%». «Nei prossimi mesi – ha proseguito Liuzzi – sarà fondamentale accelerare la domanda di connettività dei cittadini (obiettivo che in parte si tenta di raggiungere con il Piano Voucher)». Ad ogni modo il lockdown ha reso ancora di più l’utenza consapevole della necessità di disporre di una connessione di qualità, una tendenza confermata anche dai dati dell’ultimo osservatorio trimestrale Agcom che mostrano come continuino a diminuire gli accessi alla rete fissa in rame a favore di quelli in fibra (sia FTTH sia FTTC).

L’impatto della pandemia sull’andamento del mercato digitale

Secondo le stime di The Innovation Group, a fronte di una riduzione del PIL nel 2020 compresa tra l’8,3% e il 13%, il mercato digitale potrebbe riportare perdite più contenute che limiterebbero la decrescita del mercato al 2,5% (nello scenario migliore) o al 4% (nell’ipotesi peggiore).

 

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Fonte: TIG, 2020

 

Del motivo per cui l’impatto della pandemia sul mercato digitale non è stato così violento come per l’economia reale si è già parlato ed è da ricondurre principalmente al forte ricorso al digitale (dagli strumenti di collaboration utilizzati per smart working ed e-learning all’aumento del tempo dedicato al gaming e allo streaming durante il lockdown). «In questo contesto – ha affermato Marco Gay, Presidente, Anitec-Assinform e Confindustria Piemonte – è possibile osservare la natura anticiclica del mercato digitale che lo porta a sovraperformare rispetto all’andamento dell’economia del Paese». Per Gregorio De Felice, Chief Economist, Intesa Sanpaolo, «la seconda ondata della pandemia rende ancora più incerte le previsioni per l’ultima parte dell’anno. Tuttavia, digitalizzazione, tecnologia e una maggiore preparazione da parte di governi e cittadini riusciranno ad evitare un lockdown produttivo: ad ogni modo alcuni settori (tra cui quello ICT e digitale) subiranno impatti minori rispetto ad altri (cultura, turismo, trasporti, ecc..).

Ad impattare positivamente sull’andamento del mercato digitale sarà anche la volontà, da parte di diverse aziende, di proseguire l’ “esperimento forzato” dello smart working, in realtà molto apprezzato e che comporterà sempre un ripensamento del concetto di ufficio, che sarà concepito sempre più in un’ottica “as a service”, come riportato dall’esperienza di Enel, raccontata dal Global Chief Information Officer Carlo Bozzoli. Tuttavia, hanno affermato Alberto Filisetti, Country Manager, Nutanix Italy e Raffaele Gigantino, Country Manager, VMware Italia, un simile cambiamento richiederà che l’azienda garantisca la consistenza e la sicurezza dei dati che deve essere distribuita su tutti i livelli.

Politiche per uno sviluppo digitale e sostenibile

«La pandemia ci ha ricordato la necessità per il Paese di riuscire a creare innovazione e soprattutto saperla diffondere all’interno di tutti i settori». A dirlo è stata Paola Pisano, Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione nel suo intervento durante la cerimonia di apertura del Summit. «Ciò richiederà – ha proseguito – un grande lavoro di informazione e comunicazione ai cittadini». Del resto, come riportato da Jean-Bernard Auby, Sciences Po Law School «la digitalizzazione è un fenomeno di civilizzazione». Tuttavia, per Sabino Cassese, Giurista, Giudice Emerito, Corte Costituzionale «in Italia, pur essendovi gli innovatori, non si è ancora creato il circuito dell’innovazione». Al riguardo una proposta di rilievo è stata quella di Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di strategia d’Impresa ed Economia Aziendale, SDA Bocconi secondo cui bisogna «scrivere una nuova costituzione dell’Unione Digitale Europea», perché «il digitale non si può fare in un solo Paese». Al riguardo, come ricordato anche da Enrico Giovannini, Economista e Professore Ordinario, Università di Tor Vergata, l’Europa ha compreso la necessità di concentrare il proprio modello di sviluppo dei prossimi anni sui due pilastri dell’innovazione tecnologica e sostenibile, andando verso la direzione di un’economia «digicircolare».

Ad ogni modo qualsiasi iniziativa di execution e digitalizzazione del Paese deve passare dal superamento del digital divide, come ricordato da Luigi Gubitosi, Amministratore Delegato, TIM, dallo sviluppo delle competenze digitali, come affermato da Giuseppina Di Foggia, Amministratore Delegato e Vice Presidente, Nokia Italia e dal ringiovanimento della Pubblica Amministrazione. In particolar modo su quest’ultimo tema, ribadito da Stefano Stinchi, Direttore Divisione Pubblica Amministrazione, Microsoft, è intervenuta la Ministra per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone che tra le iniziative promosse dal suo Ministero per snellire la burocrazia del Paese, ripensandone e riconcependone i processi, ha citato l’introduzione del principio del “once and only” per far dialogare le banche dati tra le diverse amministrazioni, il reengineering dei processi e la volontà di rendere più efficienti ed efficaci i servizi erogati al cittadino.

Come si fa a passare da una cultura degli adempimenti ad una cultura degli obiettivi? Come affermato da Carlo Cottarelli, Economista e Direttore, Osservatorio Conti Pubblici, «è necessaria una grande volontà politica», oltre che «una presa di coscienza e pretesa di responsabilità da parte di chi è al governo e l’estrema trasparenza sulle attività che si svolgono». Necessario, infine, che l’opinione pubblica «metta pressione su chi effettivamente dà dei risultati: una volta terminata l’emergenza bisogna risolvere le problematiche che il Paese si porta dietro da anni».

 

 

 

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