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PA digitale: il 2021 sarà l’anno della svolta?

Il prossimo 28 febbraio è atteso lo switch off digitale della PA in cui i servizi pubblici saranno facilmente fruibili tramite smartphone. Siamo pronti? Ne parleremo il prossimo 25 febbraio all’evento “RIVOLUZIONE DIGITALE: LA PA A PORTATA DI SMARTPHONE”.

A partire dal prossimo 28 febbraio tutti i servizi pubblici dovranno essere fruibili anche online. A stabilirlo è il Decreto Semplificazioni presentato lo scorso luglio che, tra le altre cose, stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni dovranno provvedere a :

  • integrare nei propri sistemi informativi SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e CIE (Carta d’Identità Elettronica) come unico sistema di identificazione per l’accesso ai servizi digitali;
  • Integrare la piattaforma PagoPA nei sistemi di incasso per la riscossione delle proprie entrate;
  • Avviare i progetti di trasformazione digitale necessari per rendere disponibili i propri servizi sull’App IO.

Tali disposizioni, pur escludendo i comuni con meno di 5mila abitanti (per i quali l’obbligo scadrà una volta terminata l’emergenza)[1], coinvolgono oltre 2400 comuni e diverse migliaia di enti pubblici, rappresentando, dunque, un cambiamento epocale all’interno della PA.

È senz’altro noto che il 2020 ha rappresentato un anno di forte discontinuità rispetto al passato, provocando profonde trasformazioni in diversi settori, primo fra tutti quello pubblico in cui la situazione di emergenza ha provocato una grande accelerazione della trasformazione digitale (si pensi, ad esempio, al lavoro agile, che ha riguardato la quasi totalità dei dipendenti pubblici, o alle diverse attività sviluppate per rendere erogabili in forma digitale molti servizi pubblici). Si tratta di tendenze confermate anche dai numeri: si pensi che soltanto nel 2020 si sono rilevati 10 milioni di utenti registrati a SPID (contro i 5 milioni iscritti nei quattro anni precedenti). Si consideri, inoltre, che il Piano Cashback, avviato in via sperimentale nel periodo natalizio, ha causato in pochi giorni quasi 10 milioni di download, mentre le transazioni su PagoPa sono raddoppiate rispetto al 2019: secondo i dati disponibili sul sito Agid nel 2020 sono state registrate oltre 101 milioni di transazioni (per un totale di quasi 20 milioni di euro di transato), contro i quasi 52 milioni di transazioni nel 2019 (per un totale di circa 8 milioni di euro di transato). Tali risultati sono ancor più degni di nota se si considera che quella italiana è un’economia e una società fortemente improntata sull’utilizzo del contante (secondo il Cashless Society Index 2020 redatto lo scorso aprile da The European House – Ambrosetti l’Italia è tra le 30 peggiori economie al mondo per incidenza del contante su Pil, pari all’ 11,8%, riportando a livello internazionale un punteggio medio di 3,64 su 10 e occupando per il terzo anno consecutivo la 23esima posizione su 28 Paesi Ue). Inoltre, secondo l’eGovernment Benchmark 2020 dell’Unione Europea, soltanto il 25% dei cittadini interagisce con la PA attraverso strumenti digitali (contro una media europea pari al 60%), risultato da ricondurre soprattutto alla scarsa fiducia dei cittadini (aspetto che si potrebbe considerare in parte superato in seguito alla diffusione della pandemia che ha reso necessario approcciarsi a nuove modalità di fruizione dei servizi pubblici).

Restano, tuttavia, dei nodi da sciogliere. Si considerino innanzitutto le difficoltà riscontrate durante il click day che hanno coinvolto l’INPS (nel giorno in cui si è dato avvio alle richieste del bonus di 600 euro il sistema è collassato, la problematica è stata ricondotta ad un «attacco hacker violento» ma vi sono dei dubbi al riguardo) e il sito predisposto per richiedere il bonus mobilità (che al momento dell’assegnazione dei bonus non era attivo provocando il conseguente blocco anche del sito del ministero dell’Ambiente: una volta che il portale ha iniziato a funzionare si è generato un grande afflusso in cui sono state messe in attesa le centinaia di migliaia di persone che volevano fare richiesta del bonus).

In secondo luogo, non va dimenticato il tema delle competenze digitali, una problematica che riguarda tanto i cittadini quanto i dipendenti pubblici. Con riferimento al capitale umano, secondo l’ultima edizione dell’indice DESI, l’Italia si colloca al 28esimo posto (su 28 stati membri dell’UE) mentre in relazione ai dipendenti pubblici si rileva la necessità del ricambio generazionale, soprattutto in relazione alla PA italiana, contesto in cui l’età media degli impiegati è di 56 anni e soltanto l’1% degli assunti ha un’età inferiore ai 30 anni (escluse le forze armate), tematica che richiama all’importanza di assumere dipendenti più giovani e nuovi profili in grado di portare al settore il cambiamento innovativo da tempo atteso.


Cosa impariamo, dunque, dalla drammatica esperienza del Covid-19? Qual è il bilancio dell’anno appena concluso?

Come già anticipato, il forte impulso alla trasformazione digitale non ha riguardato soltanto le relazioni esterne alla PA (ovvero il rapporto con i cittadini) ma ha impattato in maniera significativa anche sulle dinamiche interne alle organizzazioni. Infatti, secondo i dati emersi dal monitoraggio sul lavoro agile condotto da Formez PA, il lavoro agile ha riguardato l’86% delle amministrazioni pubbliche, una quota che sale alla quasi totalità del campione (dal 95% al 100%) se si considerano gli enti sopra i 10 addetti; pur trattandosi di dati che fanno riferimento alla fase più acuta dell’emergenza, le stime per il prossimo anno parlano di una media di dipendenti pubblici in modalità di lavoro agile pari a circa il 60%. L’analisi di Formez PA rileva, inoltre, come circa il 70% delle amministrazioni consideri l’aumento nelle competenze digitali dei dipendenti il principale vantaggio dello smart working. Si consideri, altresì, che l’87% delle amministrazioni dichiara di avere la firma digitale per tutti i dirigenti mentre l’83% afferma di avere banche dati condivise ed accessibili a chiunque. Si rileva, infine, una buona percentuale (60%) di chi dichiara di aver digitalizzato i procedimenti amministrativi. Tuttavia, l’indagine rileva come la rivoluzione accelerata provocata dalla crisi pandemica non abbia aiutato nella risoluzione di alcune problematiche: l’uso degli open data non è ancora particolarmente diffuso (raggiungendo una media del 15%), così come le amministrazioni che dichiarano di promuovere l’interoperabilità dei sistemi informativi (tutte al di sotto del 50%). Si rileva, inoltre, che circa il 54% del campione ritiene che la PA abbia realizzato risparmi consistenti grazie alle nuove modalità di operare ed erogare servizi, un tema particolarmente significativo se si considera che, secondo quanto riportato in un servizio speciale dedicato alla PA sulla nota rivista Wired, una PA poco digitale e inefficiente costa al Paese 25 miliardi di euro ogni anno.

In questo contesto nuove opportunità di intervento si aprono con l’arrivo dei fondi del Recovery Fund, che vede nella trasformazione digitale uno dei suoi principali pilastri (una tematica ribadita anche dal neonato governo Draghi). Di cosa si avrà, dunque, realmente bisogno per promuovere l’attesa trasformazione digitale della PA? Con i fondi europei e le linee guida che saranno sviluppate per allocare tali risorse nella maniera più efficiente a mancare è soprattutto la capacità di attuazione e il coraggio di agire: individuare grandi progetti Paese, abbattere una barriera di resistenza (a volte dalle radici profondamente culturali) e iniziare ad innovare con la consapevolezza che un’Italia digitale passa per una PA digitale.


[1] Nel complesso si tratta di poco più di 5mila comuni per i quali è stato deliberato un finanziamento pari in totale a 50milioni di euro, meno di 10mila euro ciascuno volto a coprire le spese in trasformazione digitale.

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