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Open vs Closed innovation: chi vince in Italia?

N.  Maggio
        

a cura di Camilla Bellini 
Senior Analyst, The Innovation Group

 

Quando si affronta il tema dell’innovazione, da alcuni anni ricorre il termine Open Innovation (“innovazione aperta”). Questa espressione, d’altra parte, non è di recente invenzione: già nel 2003 Henry Chesbrough, economista e scrittore americano, aveva introdotto per la prima volta questo termine per identificare un modello di innovazione in contrapposizione ai modelli tradizionali ampiamente adottati durante tutto il ventesimo secolo da aziende come GE o la DuPont. In quegli anni, il suo saggio Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, mostrava come i modelli utilizzati tradizionalmente dalle grandi multinazionali per innovare i propri prodotti (da AT&T a IBM) cominciavano ad essere affiancati da nuove strategie: ad un modello sostanzialmente chiuso, in cui l’innovazione avviene esclusivamente all’interno dei confini dell’azienda e che sanciva indiscutibilmente il suo vantaggio competitivo sui mercati (si pensi ad esempio ai Bell Labs della AT&T), comincia a contrapporsi un modello “aperto”, in cui l’innovazione nasce dall’apertura dei confini dell’azienda all’interazione con il mercato della conoscenza e con risorse e competenze esterne. Nasce così il termine Open Innovation, ad indicare un paradigma che afferma che “le imprese possono e devono fare ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati per progredire nelle loro competenze tecnologiche”.

Figura 1.  I modelli di innovazione

Fonte: Henry Chesbrough, 2003

Al termine Open Innovation si lega quindi il concetto di ecosistema, che oggi molte aziende stanno abbracciando, secondo cui l’innovazione non deve essere affrontata in solitaria, ma facendo riferimento ad un gruppo di aziende, della filiera o start up, che possono fornire nuove idee e sinergie ai processi interni di R&D delle aziende. In questo senso, negli ultimi anni si è osservato un crescente interesse da parte delle aziende in tutto il mondo delle start up e l’aumento delle acquisizioni da parte delle grandi imprese per rinnovare e trasformare il proprio portfolio prodotti e il posizionamento sul mercato. Si pensi, ad esempio, al caso di IBM (vedi Figura 2) che negli ultimi anni ha intrapreso una sostenuta campagna di acquisizioni, nell’ottica di posizionarsi nel mercato cloud e AI.

Figura 2. Le principali acquisizioni e lanci di prodotti e servizi di IBM

Fonte: IBM 2014

Più recentemente si è cominciato a parlare di Open Innovation anche in Italia, benché ad oggi paiono essere ancora poche le realtà già in grado di abbracciare appieno questo paradigma. Alcuni casi che oggi citano i giornali sono ad esempio quelli di Snam, che nel 2016 ha lanciato una call per start up e un hackaton, o di Edison, che attraverso il premio Edison Pulse monitora e scopre progetti e start up in tutto il Paese. D’altra parte rimangono alcune perplessità rispetto alla reale diffusione di questo modello in Italia:

  1. I meccanismi e i finanziamenti a supporto delle start up in Italia sono ancora deboli e rischiano di frenare la creazione di un terreno fertile alla nascita di partner ideali per l’open innovation nelle aziende tradizionali italiane;
  2. Spesso oggi risulta difficile distinguere tra l’effettiva adozione di un modello di Open Innovation, volto ad integrare concretamente le attività di R&D interne delle aziende, e la strumentalizzazione a fini di marketing di annunci e iniziative in questo ambito, senza che poi l’effettivo processo di innovazione in azienda venga modificato;
  3. Sono soprattutto le aziende di servizi che si stanno orientando verso questo modello di innovazione, mentre le aziende del manifatturiero e del made in italy paiono ancora lontane dalle logiche di ecosistema e di apertura proprie dell’Open Innovation; in questo senso, anche le start up e gli ecosistemi che si stanno creando nel Paese sono rivolti al mondo high tech e dei servizi, mentre sono ancora poche le iniziative che vedono al centro prodotti e manufatti del made in Italy.

A fronte di queste considerazioni, quello dell’open innovation è sicuramente un tema che vale la pena monitorare nei prossimi mesi, per comprendere anche il ruolo che questo modello può avere ad esempio in relazione ad iniziative come Industria 4.0 o nello sviluppo più in generale di una strategia per lo sviluppo e l’innovazione del Paese.

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