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Lo sviluppo dell’Industria 4.0 ha bisogno del dialogo tra industria e ricerca, anche a livello europeo

Colombo
A cura di Giuseppe ColomboThe Innovation Group

Il piano di investimenti da 23 miliardi di euro per l’Industria 4.0 annunciato lo scorso aprile dalla Commissione Europea è sicuramente una tappa importante nel processo di digitalizzazione dell’industria del Vecchio Continente. Un processo che in Italia, ad oggi, non sta certo viaggiando a velocità considerevoli. Riuscirà il nostro sistema produttivo a farsi trovare pronto e essere in grado non solo di integrare soluzioni di successo, ma anche di crearle?

Se da un lato, l’iniziativa Ue potrebbe essere un importantissimo stimolo per le piccole e medie imprese italiane del manifatturiero, la mancanza di un modello strutturato e sistemico di poli di innovazione e centri di ricerca a sostegno delle aziende, e in particolare di quelle più piccole, nella trasformazione digitale, potrebbe indubbiamente essere uno dei limiti che ci penalizza rispetto alle altre economie industriali. Inoltre, la struttura industriale estremamente frammentata rende il processo ulteriormente più complicato.

Lo sviluppo di soluzioni per l’Industrial Internet of Things (IIoT), componente rilevante del paradigma dell’industria 4.0, necessita di un costante dialogo tra ricerca e impresa, essenziale, ad esempio, per definire degli standard tecnici condivisi che pongano le basi per un ambiente operativo unico. La standardizzazione, infatti, permette di costruire il sottostante tecnologico sul quale sviluppare successivamente soluzioni dedicate. In Germania il governo ha avuto un ruolo fondamentale nella costituzione di comitati con al loro interno i rappresentanti delle principali aziende tedesche con interessi nello sviluppo di soluzioni per l’IIoT (come Siemens, Bosch, SAP, etc.) e rappresentanti dei più prestigiosi istituti di ricerca applicata (Fraunhofer Institute fra tutti) con l’obiettivo di dare un indirizzo strategico alla ricerca sui temi dell’industria 4.0, con l’obiettivo minimo di mantenere nei prossimi 10 anni la produzione industriale ai livelli attuali e far fronte alla concorrenza asiatica.

Dunque, la presenza di grandi imprese appare essere un vantaggio in quanto la loro rilevanza permette di ottimizzare il coordinamento tra le parti, anche grazie al minor numero di stakeholder coinvolti. Tuttavia è doveroso dire che l’adozione del progetto Industry 4.0 non procede spedito neppure in Germania, dove è nato. In particolar modo, se le grandi imprese tedesche, come si è appena detto, stanno realizzando importanti investimenti per ottenere il massimo vantaggio dalla digitalizzazione dei processi, la maggioranza delle PMI tedesche, il cosiddetto Mittelstand, non ha ancora investito in Industry 4.0. Da un certo punto di vista questo dato potrebbe essere di conforto all’industria italiana, se non fosse che la nostra struttura produttiva è composta da una percentuale ben maggiore di piccole e medie imprese (più del 70% in Italia, contro il 50% circa della Germania), un ostacolo non irrilevante nel processo di adozione delle tecnologie.

Lo sviluppo della digitalizzazione dei processi potrebbe essere l’ultima opportunità per i Paesi del Vecchio Continente che vogliono mantenere competitivo il sistema industriale. L’Italia, il secondo Paese manifatturiero d’Europa dopo la Germania, non può permettersi di accumulare un ritardo tecnologico ulteriore, che rischia di diventare incolmabile. Per questo è necessario che l’attività governativa inserisca in cima alle proprie priorità d’azione l’evoluzione del sistema produttivo. Oltre a questo, è importante che i principali attori del sistema industriale instaurino un dialogo diretto non solo con i centri di ricerca nazionale, ma anche con i partner europei, in modo da contribuire attivamente alla definizione degli standard tecnologici o, almeno, per non restare impreparati al cambiamento.

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