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Intervista a Elio Catania, Presidente di Confindustria Digitale

N.  Marzo 2019
        

a cura di Roberto Masiero 
Presidente, The Innovation Group 

 

Elio Catania, Presidente di Confindustria Digitale

 

Il giudizio positivo sulle nuove misure per “Industria 4.0”.

“The next big Things”: Artificial Intelligence, IoT, 5G.

Una “Via Italiana al 4.0”.

Per una formazione di massa della dirigenza pubblica al digitale.

 

Qual è la sua visione dello stato della politica del digitale oggi nel nostro Paese, all’inizio del 2019?

Con fatica il digitale è tornato a ricoprire una posizione elevata nell’agenda politica del Paese.

Avevamo lasciato il 2018 con una tensione forte da parte delle forze di governo e del sistema delle imprese sull’importanza della trasformazione digitale come fattore competitivo: il processo elettorale e l’insediamento del nuovo governo hanno creato una discontinuità che abbiamo pagato in termini di diminuzione degli investimenti e la tensione e l’attenzione sul tema del digitale sono calati in maniera coerente con questo. La seconda parte dell’anno ha visto, invece, una nuova attenzione all’importanza del tema.

Per quanto riguarda i provvedimenti a supporto di Industria 4.0 a luglio avevamo un foglio bianco e lavorando con il nuovo governo siamo riusciti a dare un contenuto a quell’iniziativa che in passato è stata un messaggio forte di trasformazione del nostro Paese.

Il tempo è cruciale: siamo ancora in fondo a tante classifiche e, quindi, rimettere in alto il digitale dandogli la spinta di leadership pubblica e privata adeguata per noi è un imperativo che non possiamo permetterci di trascurare. Gli altri Paesi stanno correndo: si pensi, ad esempio, alla Germania, alla Francia, agli investimenti che stanno dedicando allo sviluppo dell’intelligenza artificiale o ad USA e Cina che del digitale fanno politica di sviluppo, di discontinuità, di crescita. Ci siamo rimessi in movimento ma dobbiamo fare molto di più.

 

Entrando nello specifico in merito al piano Industria 4.0, dallo scorso luglio ad oggi quali sono stati i principali progressi?

È emerso un quadro soddisfacente, abbiamo rimesso in piedi tante delle iniziative già avviate durante lo scorso governo. Nel dettaglio c’è stata la proroga dell’iper ammortamento, più orientato alle piccole e medie imprese, addirittura con una formula di iper-ammortamento al 270% per progetti 4.0, quindi su macchine e tecnologie relative ai nuovi processi di produzione per progetti fino a 2 milioni e mezzo. Lo stimolo all’iper ammortamento è stato uno dei provvedimenti che ha incentivato di più.

Positiva è stata anche l’iniziativa che consente di iperammortizzare al 140% i progetti cloud, aspetto importantissimo perché riguarda tutte le imprese ma soprattutto le piccole che attraverso il cloud accedono alle tecnologie. Si parla di acquisto di software e servizi cloud connessi comunque alla rivoluzione 4.0 e quindi i processi manifatturieri: dalla logistica ai processi manifatturieri di per sé, agli acquisti.

 

Per quanto riguarda, ad esempio, le piattaforme digitali del commercio elettronico che sono così fondamentali per molte pmi?

Se un’impresa acquisisce queste piattaforme per aumentare la sua capacità di mercato, legata ai processi produttivi, può beneficiare senz’altro di questo ammortamento. È stata rifinanziata anche la Nuova Sabatini il che vuol dire finanziamenti agevolati. È stata rinnovata l’attività di formazione che reimposta l’attività di formazione 4.0, anche questa molto richiesta dagli imprenditori. Uno dei problemi di fondo è, infatti, quello della formazione e quindi il poter portare avanti dei programmi formativi all’interno dell’impresa riqualificando il proprio personale su queste nuove tecnologie è di grandissimo ausilio.

Altro fatto molto positivo è il voucher (che può arrivare fino a 40mila euro) per le consulenze manageriali all’interno dell’impresa, di estremo aiuto soprattutto per il piccolo imprenditore che spesso non sa a chi rivolgersi per iniziare un processo di trasformazione digitale. Sono fatti importanti e positivi che fanno capire che c’è una spinta da parte del governo.

È stato, inoltre, creato un fondo per far investire lo stato nel venture capital: uno dei problemi di fondo per cui il venture capital non ha mai portato i piccoli investitori in una fase di crescita è la mancanza di capitale nel nostro Paese (siamo a un decimo rispetto a quanto si investe in Francia o in Germania). Il fatto di voler agevolare la disponibilità di fondi a supporto delle startup innovative è un altro aspetto rilevante. E poi da ultimo sono stati stanziati 45 milioni di euro nel triennio su progetti di intelligenza artificiale e blockchain: verranno identificate delle iniziative, delle piattaforme di interesse generale in cui l’intelligenza artificiale gioca un ruolo importante che poi possono essere replicate o nel sistema delle imprese o nella pubblica amministrazione. È un ordine di grandezza 1 a 100 rispetto a quanto viene stanziato in altri paesi più evoluti del nostro, però seppur piccolo rappresenta un segnale importante. Si è già riunita la commissione che è stata di recente fatta presso il MISE, in cui sono presenti rappresentanti dell’impresa, rappresentanti del mondo accademico e del sistema delle imprese e si sta iniziando a fare uno scrutinio di come cominciare a spendere questi soldi.

Il tema vero è che per accelerare questo processo nel nostro Paese c’è bisogno di una mobilitazione molto più forte: quindi bene quello che si è fatto, bene che il governo attuale abbia capito l’importanza di scommettere sul digitale ma adesso dobbiamo cambiare scala e quindi mobilitare l’intero Paese, mettere delle risorse su progetti di interesse nazionale, bisogna fare uno sforzo maggiore sulla formazione e all’interno della pubblica amministrazione.

Poiché il problema del nostro Paese è quello di crescere, per poter risolvere i problemi strutturali dell’occupazione la crescita può essere ottenuta solo attraverso investimenti in innovazione: innovazione di prodotto e di processo, e quindi il digitale gioca un ruolo cruciale.

 

Da questo punto di vista, parliamo delle “Next Big Things”, e quindi di Intelligenza Artificiale, IoT, ecosistema 5G. In che modo queste tecnologie possono innescare delle dinamiche di sviluppo che impattino direttamente sulla crescita dell’economia reale?

Intelligenza artificiale è un grande capitolo su cui le economie più avanzate stanno scommettendo tanto. Noi in Italia abbiamo avuto un approccio timoroso, di reazione contraria, assimilando l’A.I. al grande rischio di spiazzamento dei posti di lavoro, piuttosto che ad una perdita di controllo delle nostre identità, piuttosto che ad una perdita delle nostre esigenze di riservatezza o di autonomia. A.I. vuol dire mettere a disposizione della comunità un’enorme massa di quantità di dati che circolano in rete e fare di questo un valore per la sanità, per il commercio, per tutti i processi che riguardano la nostra vita umana, sociale e professionale. È evidente che l’A.I ha portato con sé una serie di rischi e di timori che vanno governati con delle regole, con un approccio che vada al di là dei confini del singolo Paese; ma bisogna vedere in questo una grande opportunità, con un approccio multi country e quindi a livello europeo facendo diventare l’Europa in grado di giocare la sua parte nei confronti dei grandi investimenti mondiali.

Questa deve essere la grande scommessa europea ed italiana: in Italia abbiamo tante imprese che stanno iniziando ad utilizzare modelli e tecnologie in grado di trasformare le enormi quantità di dati in valore. Per esempio, c’è una società che costruisce gli innesti per le anche e che utilizza tutta questa tecnologia per dare dimensione, spessore, consistenza, nonché la composizione di materiale più adeguata alle tipologie di individui. Altre società usano l’AI associata ad altre tecnologie di 3d printing o di manifattura avanzata per costruzione di mobili, diventando i maggiori fornitori dei grandi gruppi internazionali. Questi sono esempi in cui la visione, la leadership, la capacità dell’imprenditore toccando queste tecnologie nei loro processi sono riusciti a fare la differenza.

 

Si può parlare dunque di una “Via Italiana al 4.0”?

La via italiana al 4.0 si compone di un network molto capillare, ovvero di digital innovation hub e centri di competenza.

  1. Digital innovation hub: Sono oggi pienamente operativi, noi come Confindustria abbiamo creato una rete di 22 digital innovation hub (uno per regione) che rappresenta una prima porta di accesso del sistema delle imprese al sistema della conoscenza. I digital innovation hub mobilitano gli ecosistemi territoriali fatti di aziende, università, centri di ricerca, società, startup, poli tecnologici mettendo, così, insieme domanda e offerta. Stiamo vedendo centinaia di imprese che accedono a questi innovation hub per avere i migliori casi da prendere ad esempio.
  2. I centri di competenze. Il MISE ha finito il suo bando, ha allocato le sue risorse. Sono sette centri di competenza, a Milano è stato inaugurato al Politecnico ed è orientato proprio alla manifattura 4.0 così come quello di Torino sarà orientato a tutto il mondo dell’automotive, così come gli altri saranno specializzati in tante aree: dal calcolo numerico (centro di Pisa), a tutto il mondo della cybersecurity (Roma). Finalmente si è creato un network per cui abbiamo lavorato due anni, tuttavia va notato che anche il mondo universitario sta facendo quadrato intorno a queste nuove tecnologie.

Il centro di competenza è composto da università e aziende in cui il valore aggiunto delle università è nella loro capacità didattica e di ricerca, mentre quello delle imprese è nelle loro esperienze.

I centri di competenza hanno il compito di puntare a progetti di eccellenza: grandi progetti di ricerca su temi molto specifici. Il digital innovation hub, invece, ha il compito di replicare in maniera massiva sul territorio queste soluzioni di carattere applicativo.

L’altro grande tema è quello dell’IoT. Qui gli investimenti sia pubblici che privati (da parte in particolar modo delle telco sulle grandi infrastrutture), investimenti che hanno oscillato tra i 5 e i 7 miliardi all’anno da parte delle imprese private sulle reti di nuova generazione, sulla cablatura del paese, indubbiamente è un passaggio importante: oggi rispetto agli indici europei l’Italia occupa una buona posizione circa la copertura del territorio in termini di capacità di comunicazione ad alta banda o a banda ultralarga.

Il tema è fondamentale sul 5G: la possibilità di far connettere oggetti ad alta connettività diventa cruciale per la competitività del Paese, perché vuol dire poter aprire mondi applicativi che non hanno precedenti. Da questo punto di vista l’impegno del governo, dei produttori ed utilizzatori (quindi telco e società) che operano sul 5G è un impegno di estrema rilevanza.

Io credo che sull’IoT verrà giocato anche un po’ il futuro: l’Italia è il paese del prodotto, la capacità di aggiungere valore al prodotto, inserendo in esso intelligenza e, quindi, poter competere sui mercati internazionali con prodotti o macchine di assemblaggio che hanno in sé queste tecnologie diventa cruciale. Anche qui abbiamo dei casi, come ad esempio la Cosberg di Bergamo, leader mondiali nella costruzione di macchine per costruire pezzi che riescono a modificare la stessa macchina di produzione online in funzione delle mutate esigenze del cliente e tutto questo grazie ad una distribuzione di sensoristica straordinaria all’interno della macchina e ad un collegamento con l’esigenza del cliente e con le macchine installate presso il cliente.

Questo è il futuro: cliente e fornitore di tecnologie e di assemblaggio o di produzione integrate e costantemente in comunicazione, manutenzione preventiva, manutenzione predittiva, cambiamento della linea di produzione di assemblaggio online: questo vuol dire la nuova manifattura, e l’IoT non è nient’altro che capacità di aggiungere valore a tutti questi processi di produzione.  L’Italia è il secondo Paese sulla produzione manifatturiera in Europa, è diverso dalla Germania che ha i grandi colossi che muovono i sistemi dei fornitori. Noi abbiamo un ecosistema integrato con piccole e medio imprese che collaborano tra loro e con pochi capi filiera e dobbiamo costruire questo sistema di diffusione molto più capillare.

 

Per quanto riguarda, invece, la pubblica amministrazione e la formazione del personale?

Sulla Pubblica Amministrazione stiamo scontando un ritardo maggiore che non quello che abbiamo scontato (e che stiamo cercando di recuperare) nel mondo delle imprese private e questo è un aspetto molto grave perché la Pubblica Amministrazione, in virtù del suo ruolo, dovrebbe rappresentare il motore di traino. Una pubblica amministrazione digitalizzata che trasforma il rapporto con il cittadino e con le imprese diventa punto di riferimento. Per tanti motivi ci sono state resistenze nella nostra pubblica amministrazione tuttavia, anche in questo caso, possiamo riportare degli esempi di successo: dall’Inps, Inail, piuttosto che il sistema delle finanze, sono tutti ambienti avanzati, ma non è il sistema nel suo complesso che ha fatto il salto evolutivo. Adesso abbiamo un nuovo Commissario, un Agid con una nuova guida, ma qui l’auspicio è che si faccia all’interno della Pubblica Amministrazione la stessa mobilitazione di leadership che si è fatta all’interno del sistema delle imprese, ovvero un progetto tipo PA 4.0, così come abbiamo fatto Industria 4.0.

Industria 4.0 sta funzionando perché sono scese in campo leadership pubblica e privata che hanno messo insieme una serie di provvedimenti di stimolo e di incentivo, si è fatto un grosso programma di formazione e si è fatto capire quanto è importante. Va fatta la stessa cosa nella Pubblica Amministrazione, al cui interno vi sono delle storiche resistenze al cambiamento. È, quindi, importantissimo che vi sia un messaggio forte dall’alto che faccia capire che il dipendente o il dirigente pubblico non può che trarre benefici da un processo di digitalizzazione. Altro grande aspetto che è mancato finora è che si è cercato di digitalizzare la Pubblica Amministrazione ma sostanzialmente non cambiandone i processi di funzionamento e questo, invece, è un lavoro che va fatto, altrimenti non si ottengono tutti quei benefici che si possono ottenere. Quindi c’è una grande sfida adesso per il nuovo Commissario così come per la nuova Responsabile dell’Agid. Il mio auspicio è che questo tema diventi costante e continuo nell’agenda di chi è nel governo, solo così uscirà un messaggio positivo, forte e di stimolo e questo si collega con il tema della formazione. La prima cosa da fare è un programma di 24 mesi per cui i 30mila dirigenti di fascia 1 e 2 passino dei giorni a parlare di digitale ma non per diventarvi dei tecnici, quanto piuttosto per capire cosa significa per un dirigente pubblico gestire la propria unità amministrativa con le nuove tecnologie e i grandi vantaggi che ne deriverebbero. È quanto mi aspetto oggi dal ministro Bongiorno e dal Commissario e dalla Responsabile Agid.

 

Quindi lei propone di andare oltre la nomina dei responsabili della transizione digitale e di passare, invece, ad una formazione di massa di tutta la dirigenza pubblica.

Questa dovrebbe essere una delle prime cose che commissario e responsabile Agid, insieme al ministro Bongiorno, dovrebbero fare: un programma intensivo di formazione della dirigenza pubblica per togliere la paura e lo spettro del digitale come un qualcosa che snatura il lavoro facendone, così, comprendere i benefici. Il digitale nobilita il lavoro, alza il livello di interesse delle persone, elimina la burocrazia, semplifica: la vera semplificazione della pubblica amministrazione passa attraverso la digitalizzazione, la vera spending review la si fa soltanto digitalizzando, questo è il messaggio che deve uscire dai vertici del governo e attraverso un programma di formazione esteso che io ritengo prioritario all’interno della pubblica amministrazione.

 

 

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