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Enrico Cereda porta l’IBM nell’era del Cognitive Computing

A cura di Roberto MasieroPresident, The Innovation Group

“Ego-centric o Eco-centric?” Questo è il dilemma…

In uno scenario post-industriale particolarmente sobrio e attentamente studiato si è tenuto l’Evento annuale di “IBM Business Connect”.

L’ambientazione all’interno di un vecchio edificio di “archeologia industriale” sta evidentemente a simboleggiare da una parte il salto quantico nella produzione della conoscenza che il “Cognitive Computing” impone al mercato, e dall’altra è metafora della profonda trasformazione interna che l’IBM stessa deve affrontare.

Non è infatti un caso che il nuovo CEO Enrico Cereda abbia deciso di dare personalmente un forte segnale di discontinuità sottolineando il cambiamento di strategia attraverso la dicotomia “From egocentric to ecocentric”: da aziende chiuse in se stesse e dominate dalla centralità del prodotto ad aziende attente ai nuovi mercati e ai nuovi ecosistemi di partner e alleanze: e questo vale innanzitutto per la stessa IBM.

Qui la relazione introduttiva di Cereda ha assunto toni schumpeteriani, ricordando la “distruzione creativa” generatrice di nuove imprese innovative – e ricordando che la stessa IBM è a metà del guado, dato che già oggi la maggior parte del suo fatturato viene da software e servizi. E tuttavia a questo punto si è sentito un brivido percorrere le schiene tanto dei più maturi IBMers che dei molti CIO meno propensi all’innovazione radicale presenti in sala…

E comunque Cereda non ha lasciato dubbi, sottolineando che “Il digitale è la grammatica di una storia che tutti noi dobbiamo costruire”.

A questo punto, con un coraggioso salto nel futuro, il nuovo CEO si è chiesto: quando saremo tutti digitali, chi farà la differenza sul mercato?

La sua risposta è stata:

  • Chi avrà i dati (e saprà trasformare i dati “nascosti “in patrimonio informativo”)…
  • … e chi avrà “capacità cognitiva” (ovvero chi potrà disporre di sistemi capaci di apprendere il linguaggio naturale e di auto-apprendere, espandendo la capacità cognitiva e producendo conoscenza “azionabile”).

Enrico Cereda ha concluso ricordando l’importante accordo con il governo italiano per il centro d eccellenza di IBM Watson, con focus su salute e sanità negli spazi EXPO, e sottolineando l’esigenza di applicare le tecnologie digitali alla creatività e all’imprenditorialità italiana: mirando a far crescere la produttività del Paese, e non solo l’efficienza della Pubblica Amministrazione.

Dopo l’intervento del Prof. Floridi, che ha intrattenuto amenamente l’uditorio sulla filosofia della conoscenza e le prospettive dell’Artificial Intelligence, è stata la volta di Michelle Unger – General Manager Cognitive Solutions IBM Europe, il cui intervento ha avuto due facce, dimostrando da una parte il carattere visionario del Cognitive Computing, ma dall’altro l’evidente futuribilità delle tecnologie.

Mrs. Unger ha esordito con un interessante concetto: il costo sociale del “non sapere”. E’ poi passata a fornire “i ferri del mestiere”, ovvero una definizione di base delle varie forme evolutive del Computing:

  • Descriptive (Discover, Report, Analyze)
  • Predictive (Predict-Decide Act)…
  • … e infine Cognitive (Understand, Reason, Learn)

Che cosa cambia? In poche parole, che con una tecnologia predittiva si rischia che i  risultati cambino di mese in mese; mentre con l’evoluzione al cognitivo si possono stabilizzare i propri risultati nel tempo e basare quindi su questi indicazioni consistentemente azionabili).

Fin qui tutto bene: a questo punto la Speaker è passata a descrivere i casi (The North Face, Hilton, società produttrici di Wearables, ecc) che non ci sono sembrati particolarmente impressive. In particolare è apparso deludente il robottino che, dopo tutta l’attenzione rivolta alla customer experience, non si capisce come qualcuno possa seriamente pensare di mettere oggi di fronte a un cliente…

Altre applicazioni ancora in fase di sviluppo presentate da successivi speaker sono apparse assai più interessanti: in particolare l’“Electronic Blood”, abilitato dal Quantum Computing presentato da Alessandro Curioni.

E il modello interattivo di tariffazione puntuale dell’immondizia presentato nel pomeriggio da Stefano Perfetti di Iren ci è parso personalmente assai più concreto ed “attractive”.

Le Opportunità e il vantaggio competitivo

Due fattori principali configurano un potenziale vantaggio competitivo di IBM nella prospettiva del Cognitive Computing:

  • La combinazione del computer quantico (già accessibile in Cloud) con la piattaforma di artificial intelligence abilitante del Cloud Computing garantisce al momento ad IBM un chiaro vantaggio competitivo a fronte di due dei principali concorrenti:
  • Anche Google ha sviluppato la tecnologia del computer quantico (pur se su Chip D-Wave), ma la sua piattaforma di intelligenza artificiale non pare al momento comparabile.
  • La piattaforma di Artificial Intelligence “Amelia”, su cui opera Accenture, ha invece una ricchezza paragonabile in termini di interfaccia cliente, ma le manca la potenza elaborativa per renderla completamente competitiva.

2) L’accordo con il Governo che ha portato ad un investimento di 150M$ sull’ Health Center/Watson potrà fare la differenza, aprendo ad IBM un significativo mercato nel settore Salute e Sanità e, in prospettiva, nelle applicazioni avanzate di Cognitive Computing.

Più in generale, la trasformazione digitale in atto (ma i Cereda boys preferiscono parlare di “digital disruption”) offre un terreno fertile a chi spinge sulla leva del cambiamento, sulla ricerca di nuovi mercati e sui nuovi modelli di business resi possibili dalla rottura dei tradizionali mercati verticali e dalla nascita di nuovi ecosistemi.

Se l’IBM riuscirà a fare degli innovatori all’interno delle aziende una generazione di vincitori, si garantirà un successo paragonabile a quello che le assicurarono la generazione degli IT Managers di 40/50 anni fa, che legarono ad essa il loro successo e la loro carriera.

Ma gli innovatori in Azienda non hanno vita facile: o sono fortemente sostenuti dall’Alta Direzione, o rischiano di divenire rapidamente vittime sacrificali della resistenza delle organizzazioni.

La possibilità di IBM di cavalcare la digital disruption fino a  trasformarla in successo di mercato dipende dunque dalla sua capacità di rafforzare la sua capacità di influenza sull’Alta Direzione consentendo agli Innovatori di superare la resistenza delle loro organizzazioni.

Rischi e possibili criticità 

Il nuovo CEO è ben cosciente del coraggioso salto in avanti che sta imponendo alla sua organizzazione (from egocentric to ecocentric…).

Questi sono secondo noi i principali rischi e criticità che IBM ha oggi di fronte:

I principali, a nostro parere, sono:

  1. La “Grand Vision” del Cognitive Computing potrà veramente avviare a superamento gli attuali problemi di mercato di IBM e convincere i clienti?
  2. Quale modello di business per finanziare la transizione?
  3. Come neutralizzare i “frenatori” e sostenere gli innovatori?
  4. Quali risorse umane per realizzare tutto questo?

La Grand Vision del Cognitive Computing potrà veramente curare i problemi di mercato di IBM e convincere i clienti?

IBM ha già in passato sviluppato “Grand Visions” in anticipo su grandi “ondate di innovazione”, senza poi riuscire a cavalcarle compiutamente.

Il dubbio è se questa Grand Vision sia la nuova edizione di quello che sono state le precedenti – eBusiness 15 anni fa e Smart Planet circa 8 anni fa: bellissime storie per campagne di Mktg, ma per cercare poi di andare di fatto a proporre la propria serie di prodotti, dal mainframe allo storage al software e ora al cloud.

Inoltre puntare ora in primis su Cognitive Computing e Solution – un mercato chiaramente allo stato nascente in cui mancano applicazioni, expertise e partner, ancor più in Italia – rischia di creare aspettative difficili da mantenere nel breve periodo.

Come consolidare l’iniziale vantaggio competitivo ed assumere un ruolo dominante nei nuovi mercati che si aprono è dunque il maggior challenge che IBM ha di fronte. E nell’affrontarla occorre anche prepararsi a rispondere alla successiva grande domanda. “Come IBM pensa di monetizzare l’opportunità del Cognitive Computing?”

Quale modello di business per finanziare la transizione?

Il primo punto indirizza il grande tema strategico posto dal Cognitive Computing. Ma IBM deve prima affrontare una criticità immediata.

Il nuovo CEO ha voluto dare evidentemente un forte segnale di discontinuità. Ma è evidente che per rendere possibile il futuro occorre intanto garantire risultati immediati per finanziare il processo di trasformazione (preferiamo questo termine, anche perché accelerando troppo la “disruption” interna si rischia di rompersi l’osso del collo…).

In altre parole, il nuovo CEO sa bene che, per avere il tempo e le risorse per trasformare l’azienda nel medio-lungo periodo, deve migliorare rapidamente i risultati a breve: non essere in grado di invertire la serie di risultati non entusiasmanti degli ultimi Quarter rischierebbe di far male alle “Grand Vision”.

E qui ci pare che sia possibile un solo realistico modello: spingere evolutivamente sull’Hybrid Cloud per generare i margini necessari a finanziare i nuovi sviluppi.

IBM non ha scelta, deve diventare compiutamente una “Bimodal IBM” con presa sul presente/passato e sguardo al futuro.

Ma qui è anche la criticità su cui occorre rapidamente intervenire. Perché l’“IBM egocentric” ha perso terreno negli ultimi terreni rispetto ad alcuni interlocutori che stanno divenendo parecchio aggressivi sul terreno del Cloud (ne parliamo in un altro articolo di questa newsletter). E senza uno scatto di reni per recuperare rapidamente competitività in quest’area fondamentale, il rischio potrebbe essere quello che i risultati del breve non consentano di concretizzare la transizione auspicata.

Come neutralizzare  i “frenatori” e individuare gli innovatori?

Per tastare il “sentiment” della base di CIO presenti al meeting ho partecipato alla sessione loro destinata. A fronte della proposta di un frizzante animatore che proponeva di affidare al CIO il ruolo di “Chief Intrapreneur”, motore della promozione della “digital disruption “ all’interno dell’azienda, si è percepita chiaramente la freddezza della platea: puzza di freno tirato e commenti a mezza voce del tipo: “Con tutto quello che ho già da fare…”.

E’ da chiedersi se veramente questa sia la scelta giusta. Il timore è che la maggioranza dei CIO sia troppo legata a un ruolo sostanzialmente conservativo di manutenzione dell’esistente per essere veramente disponibile a prendere il rischio di promuovere, nemmeno la “trasformazione”, ma addirittura la “disruption”.

Con la discontinuità creata del Cloud, che porta parti sempre crescenti del Budget sotto il controllo di Business Managers diversi dal CIO, forse occorrerebbe ripensare meglio quali ruoli in Azienda potrebbero incarnare meglio la missione del “digital disruptor”.

Altrimenti, il rischio è quello di perseguire i nuovi obiettivi seguendo le vecchie strade, ovvero il sistema di relazioni cui IBM è tradizionalmente più legata: che non è probabilmente quella più adatta a conseguire il risultato.

Quali risorse umane per realizzare tutto questo?

Premesso che una fase di profondi cambiamenti non è possibile senza un profondo rinnovamento  delle risorse umane, che in parte il nuovo CEO ha già intrapreso, i temi chiave sono due:

  1. Come trasformare la qualità e le risorse esistenti per condurre con successo la trasformazione e prepararle alla disruption?
  2. Come attrarre “intelligenze digitali” con doti di innovatività e imprenditorialità che oggi sono molto più interessate a strutturarsi in piccole organizzazioni dinamiche?

La conclusione del Summit con la presentazione delle start up selezionate per la fase finale dell’IBM Smart Camp e la vittoria di una azienda come Endo-Sight, già con un posizionamento importante nel settore della diagnosi avanzata del cancro, mostra che IBM ha ben presente questa sfida.

Paradossalmente, questa sfida di costruire un nuovo ecosistema nativo potrebbe risultare più facile che la trasformazione dell’esistente: la resistenza delle organizzazioni è come la forza di gravità , sempre tremendamente difficile da vincere.

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