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Banche Italiane: dopo la “resa dei conti” si deve guardare al futuro

N.  Luglio
        

a cura di Ezio Viola 
Managing Director, The Innovation Group 

 

Possiamo dire che le banche si siano lasciate alle spalle la crisi finanziaria a dieci anni dal suo inizio? Il 2017 sarà l’anno della “resa dei conti” per le banche italiane? Queste sono alcune delle domande che oggi vengono poste in un contesto in cui le crisi bancarie ancora aperte richiedono di essere risolte il prima possibile e, in alcuni casi, sembrano in via di risoluzione (sia “svendendole” a 1 euro sia con aiuti di Stato!). D’altra parte, per molte banche resta ancora l’urgenza di smaltire la zavorra dei crediti deteriorati, mentre altre, benché sembrino essere tornate in forma rispetto a dieci anni fa, non riescono ad avere ricavi equamente distribuiti.

In particolare, le quotazioni delle banche italiane hanno risentito degli effetti della crisi e dell’aumento del rischio percepito da parte del mercato: per le banche più fragili la flessione è stata più pronunciata e le loro debolezze si sono riflesse sulle quotazioni del comparto. A questo riguardo, un dato interessante riguarda il ROE (Return On Equity) delle banche italiane: a fine 2016 in Italia il ROE medio era di poco più del 2,5%, contro il 5,8% dell’Europa; i best performer delle banche quotate hanno avuto un ROE del 6,7%, mentre le peggiori del -27%, con una media delle banche restanti pari al -16%. Per le banche italiane l’abbattimento del ROE è stato principalmente causato dal costo del nuovo capitale richiesto per gestire i rischi legati ai Non Performing Loan (NPL); inoltre, tra i grandi cambiamenti portati dalla crisi c’è sicuramente una più severa regolamentazione che ha accresciuto i costi, già significativi, di compliance che le banche devono supportare, oltre ad un cambiamento nel livello dei requisiti di capitale per gestire i rischi e la liquidità come imposto anche da Basilea 3.

Proprio sul tema dei NPL dall’ultima relazione del Governatore della Banca d’Italia emerge come, a fine 2016, i crediti deteriorati netti delle banche italiane siano stati pari a 173 miliardi di Euro, di cui le vere sofferenze ammontavano a 81 miliardi. I rischi effettivi che incombono sul settore bancario paiono quindi più limitati, dal momento che il flusso dei nuovi crediti deteriorati è in fase di rallentamento grazie al miglioramento della congiuntura economica. È questa una condizione necessaria e sufficiente per stare tranquilli? Forse ci dobbiamo chiedere se questo può far tornare i conti ad azionisti, clienti e dipendenti anche nel medio-lungo periodo. Di conseguenza, le domande da porsi sono le seguenti: è sufficiente il numero attuale di banche finanziariamente ed economicamente sane? E queste sono ancora un investimento attraente per i mercati finanziari internazionali? Sapranno inoltre le banche italiane attrarre e fidelizzare i clienti facendo leva sulle potenzialità della rivoluzione digitale e questa sarà compatibile con la iper-regolamentazione e l’unione bancaria prossima ventura?

Se è vero che nell’industria bancaria nulla sarà più come prima occorre non solo riparare i guasti urgenti per far tornare i conti nel breve termine, ma occorre anche che le banche guardino e lavorino per il futuro. L’evoluzione della struttura dei mercati, ma ancora di più la rivoluzione tecnologica, impone infatti nuove sfide. La razionalizzazione della rete di sportelli, la revisione dei processi di governance e di gestione dei rischi, la fidelizzazione con modelli innovativi di omnicanalità, il disegno di nuovi servizi per generare nuove fonti di ricavi, sono solo alcune delle opportunità di trasformazione che le banche stanno perseguendo. Come ha ribadito il Governatore, l’industria bancaria e la finanza devono ammodernarsi profondamente per vincere la sfida della concorrenza tecnologica: pur essendoci stati progressi, questi sono infatti da considerarsi ancora timidi e parziali.

Le banche italiane sono quindi alla ricerca delle virtù e dei valori  della “banca perduta” o anche di un nuovo modo di fare banca? Alla fine in Italia resteranno meno banche, ma più digitalizzate? Ma con quali modelli operativi e di business? Come possono le banche gestire un processo di concentrazione e di trasformazione a passo forzato, che lascia spazi aperti a nuovi competitor, provenienti da altri settori non bancari, e alle nuove realtà del Fintech? L’espansione di forme e modelli di intermediazione che si basano fortemente sulla tecnologia, le Fintech, accresce infatti il panorama competitivo e consente di guardare e ampliare i servizi e le modalità di gestire la relazione con il cliente; Fintech non significa solo disintermediazione e concorrenza con le banche, ma anche modi nuovi di fare innovazione in banca. In questo senso, sono già presenti e disponibili forti acceleratori dei processi di trasformazione, come le tecnologie per l’analisi avanzata dei dati e dei big data o l’intelligenza artificiale, che innescano processi di trasformazione profondi, cambiando la geografia dei mercati e dei modelli di business delle aziende e dei clienti.

A partire dall’introduzione della Mifid e, nei prossimi mesi, della PSD2 i confini tra banche e altri player tenderanno ulteriormente a sfumare. D’altra parte, con l’avvento delle Fintech l’apparato concettuale e normativo, oggi utilizzato per la regolamentazione dei mercati, rischia di diventare presto obsoleto, come ha sottolineato recentemente il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas. Nuovi protagonisti stanno infatti entrando nell’industria dei servizi bancari, tra cui alcuni grandi operatori del web, come Facebook, Amazon, Google e Apple, che muovono da posizioni dominanti in altri settori ma che “conoscono” in profondità il cliente. Altre realtà del mondo Fintech si dimostrano invece in grado di intercettare e gestire in modo innovativo la domanda di servizi finanziari ricorrendo a piattaforme e soluzioni tecnologiche di nicchia: la tecnologia ha già cambiato le modalità di erogazione e interazione dei servizi finanziari non solo con la diffusione di nuovi canali digitali, ma anche con nuove forme più sofisticate di servizio come, ad esempio, i robo- advisor, in una logica di consulenza personalizzata, ossia piattaforme digitali basate su algoritmi che rendono facilmente scalabile l’assistenza agli investimenti ad un numero esteso di clienti; oppure il peer-to-peer lending tra chi richiede e chi presta denaro online senza intermediari, aprendo nuovi accessi al capitale di credito e di rischio anche per le PMI, fino alle potenzialità dirompenti della tecnologia blockchain sulla struttura dei mercati finanziari. In questa fase, le promesse delle nuove tecnologie digitali (in particolare dell’Intelligenza Artificiale) e delle Fintech (blockchain, digital currency, open banking, ecc.) sono quindi realistiche? Per esse e anche per le banche si è solo all’inizio perché è appena cominciata una storia diversa da come è stata finora.

In questo senso, l’approccio passato tipico delle banche del “mee too” non è più sufficiente in una logica di trasformazione digitale. Questo porta a porsi ancora altre domande:

  • Le opportunità e minacce che arrivano dal digitale e dalle Fintech sono interamente compresi dalle banche italiane e dai regolatori?
  • In che modo le banche stanno recuperando efficienza e produttività? E con che ritorni per tutti gli stakeholder?
  • Come le banche possono ri-orientare gli investimenti tecnologici sulle aree più trasformative e a valore per il business?
  • Come possono i nuovi acceleratori tecnologici della trasformazione digitale cambiare processi operativi e decisionali e valorizzare il fattore umano?

Anche l’IT, che costituisce il motore operativo di questo processo, deve evolvere per trasformare digitalmente le banche e questa è una condizione necessaria: Cloud, Big Data, Agile e Devops, Dual IT, API e Microservizi, Open Innovation e Open Organization, sono le parole d’ordine per ridisegnare i modelli di funzionamento e ripensare l’organizzazione dell’IT in banca:

  • come concretamente le banche italiane li stanno introducendo e utilizzando?
  • Quali sono le nuove capacità e competenze necessarie per accelerare il processo di trasformazione delle attuali legacy tecnologiche e organizzative?

Questi sono solo alcuni dei temi del confronto che si aprirà il 21-22 Settembre in occasione del Banking Summit 2017, organizzato da The Innovation Group a Saint Vincent, che vedrà la presenza di autorevoli leader di banche italiane e internazionali, di istituzioni europee, di società del settore ICT e del mercato digitale.

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