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Banche, crisi finanziarie e Proust: da dove ripartire per progettare le banche del futuro?

N.  Settembre 2017
        

a cura di Camilla Bellini 
Senior Analyst, The Innovation Group

 

Questo mese abbiamo fatto colazione con…
Marco Onado, Professore Senior di Economia degli Intermediari finanziari dell’Università Bocconi


Se non lo facciamo subito, lunedì non avremo un’economia. Una frase tratta dal film di Curtis Hanson “To Big to Fail”, con cui il presidente della FED post- fallimento di Lehman Brothers, Ben Bernanke, cerca di convincere il Congresso degli Stati Uniti ad intervenire nel salvataggio delle banche americane. Una frase che Marco Onado, Professore Senior di Economia degli Intermediari finanziari dell’Università Bocconi, riprende nel suo ultimo libro “Alla ricerca della banca perduta”, edito da Il Mulino (2017). Una frase che il professore Onado richiama anche nel nostro recente incontro in preparazione al suo intervento al Banking Summit 2017, che The Innovation Group organizza il 21 e 22 settembre a Saint Vincent, durante il quale il professore presenterà il libro e parteciperà al dibattito sul futuro delle banche italiane. Una frase che, d’altra parte, ben motiva e spiega la scelta di allora, ma quanto mai attuale nel caso italiano, di un intervento pubblico per sventare la minaccia di fallimento delle principali banche di investimento (e non), dal momento che, come spiega Onado, “non può esistere un’economia di mercato (o un sistema capitalistico, se si preferisce) senza le banche”.

Il ruolo imprescindibile delle banche rispetto al sistema economico attuale dipende però non tanto dalla loro dimensione quantitativa, dall’ammontare del totale dell’attivo dei bilanci, che ha reso le grandi banche globali dei leviatani e che pure ha avuto (e continua ad avere) la sua rilevanza nelle scelte di intervento pubbliche; ma, piuttosto, nell’ingarbugliamento della vocazione stessa delle banche, che come più volte viene ribadito da Onado, sono passate dall’essere delle utility bank, ossia delle banche che assolvono funzioni di utilità pubblica come tipicamente sono le attività di intermediazione, a diventare delle casino bank, ossia delle banche dove la componente speculativa ha preso il sopravvento sulle altre attività: basti pensare che, come ben documenta Onado, a fine 2014 il volume delle posizioni in derivati delle banche europee ammontava a 360 trilioni di euro, mentre quello delle banche americane a 184 trilioni di dollari; numeri che, a prescindere dal modo in cui sono stati calcolati, danno evidenza del fatto che la dimensione delle attività speculative delle banche occidentali è cresciuta addirittura di due ordini di grandezza superiori rispetto all’effettiva dimensione dei loro attivi di bilancio.

D’altra parte, il discorso sulle banche oggi nel contesto dell’economia globale è ben più complesso e articolato delle sole considerazioni qui riprese e che al contrario ben vengono tratteggiate nel libro di Onado, che si propone, richiamando già dal titolo Proust e la sua Recherche, di andare alla ricerca, nel suo passato e nel suo presente, del modello di banca perduto, quella banca forse più “utile” che la globalizzazione e la corsa all’innovazione finanziaria hanno collaborato a incrinare e a confondere. Libro che d’altra parte resta (a mio avviso volutamente) distante dai temi del digitale e dell’innovazione tecnologica, che spesso al contrario vengono visti come gli strumenti di trasformazione e risanamento delle banche. Onado sembra al contrario rendere esplicita una cosa: che il digitale serve, e questo non viene messo in discussione; ma serve ancora di più ritrovare l’identità e la vocazione delle banche per far sì che queste ritornino a sostenere e a guidare (e non a frenare, come oggi sembra accadere) l’economia globale.

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