29.09.2025

Ma questa Pubblica Amministrazione e’ sostenibile?

Focus PA

 

Nel suoi articolo sul “Corriere della Sera del 27 Agosto intitolato “La giungla chiamata burocrazia”, il Prof. Sabino Cassese identifica, tra  le principali radici dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, l’”estrema complessità dell’organismo amministrativo”: dai vincoli derivanti dall’esterno dalla contradditoria “intelaiatura delle leggi”, a “regole istituzionali uniformi per amministrazioni ormai completamente difformi”, a “un personale burocratico sottomesso e senza vera vocazione per il servizio pubblico”.

Viene quindi da chiedersi: ma questa Pubblica Amministrazione, così complessa e involuta, così “analogica” nella sua irriducibile struttura per silos, così poco capace – nonostante vari tentativi – non solo di attrare i migliori talenti, ma anche di trattenere quelli che ha già al suo interno – questa Pubblica Amministrazione è veramente sostenibile?

Per dare una risposta a questa domanda occorre affrontare i tre punti dell’analisi del Prof. Cassese (ve ne sono altri, ma li rimandiamo ad una prossima occasione).

Sul tema della complessità dell’organismo amministrativo: questa è il risultato di un processo “incrementale” con scelte legislative fatte spesso senza un piano organico, quando si presentava un problema da risolvere. Da una parte si legifera, dall’altra parte non si vede come questa produzione di leggi va ad impattare sulla macchina organizzativa. E a sua volta, la vetusta organizzazione della PA per silos verticali non ha mai fatto i conti con la sostenibilità economica del sistema dei silos

Di fatto, la Pubblica Amministrazione, come è organizzata, non sembra oggi in grado di garantire la governance di tutte le piattaforme e i servizi che ne innervano la complessità. Le 11.000 pubbliche amministrazioni, piu’ le 8000 scuole, non possono avere tutte le competenze per gestire le complessità crescenti; a maggior ragione come potremmo pretendere che il 70% degli 8000 comuni con meno di 5000 abitanti possano avere veramente un responsabile della transizione digitale ed occuparsi seriamente della sicurezza dei dati dei propri cittadini?

Le piattaforme al servizio dei cittadini devono vedere una progressiva convergenza sotto piattaforme comuni, senza pregiudizi nei confronti di eventuali esternalizzazioni, ma a due condizioni: che le strutture esterne forniscano soluzioni comuni per conto di tutti; e che i partner privati siano pienamente consapevoli di cosa significa esercitare un servizio pubblico, che è un servizio alla persona, alla base della democrazia.

Quanto a “regole istituzionali uniformi per amministrazioni ormai difformi”, come si fa a pretendere che uno stsso corpus rigido di norme amministrative possa adattarsi efficacemente a realtà diverse come i Ministeri, i grandi Enti Centrali, le Regioni, le Agenzie, e i  nostri 80000 Comuni? Serve centralizzare le infrastrutture, definire poche regole di alto livello e poi approfittare della flessibilità offerta dal digitale per sviluppare norme e soluzioni organizzative adatte ai diversi contesti. Ma non ci si può lamentare dell’inefficienza della Pubblica Amminsitrazione se non si aggredisce il problema istituzionale che sta alla base: se dn fatto di Sanità le Regioni non si parlano fra di loro e ancor meno con lo Stato centrale (ricordiamo per tutte  la tragica pantomima dei dati delle morti per Covid), il problema è a monte.

Infine veniamo al problema del “personale burocratico sottomesso e senza vera vocazione per il servizio pubblico”.

Se questa fosse veramente la situazione diffusa del pubblico impiego ci sarebbero pochi motivi di speranza. Consideriamo brevemente alcuni trend:

L’introduzione delle nuove tecnologie di Intelligenza Artificiale consentirà rapidamente di ridurre le attività ripetitive e consentirà di offrire opportunità professionali assai più gratificanti anche nel settore del pubblico. Ma per questo è necessario un massiccio investimento di formazione e re-training delle risorse esistenti per consentire loro di inserirsi in questo nuovo mondo e sviluppare le loro potenzialità per produrre nuovo valore pubblico. Altrimenti rischiamo di continuare a vivacchiare, e la Pubblica Amministrazione e ridursi a “refugium peccatorum”, con un ennesimo spreco di risorse umane e finanziarie.

I dipendenti pubblici in Italia sono 3.400.000 e si prevede che circa 700.000 andranno in pensione entro il 2033. Di fatto tuttavia la tendenza prevalente è a “riempire i vuoti” lasciati nell’organizzazione, invece che a cogliere questa opportunità per un ricambio qualitativo e per una introduzione massiva di talenti. La logica inerziale delle organizzazioni prevale inesorabilmente sull’esigenza dell’innovazione tecnologica e professionale.

L’impiego pubblico offre tuttora retribuzioni più attraenti rispetto al privato al momento dell’ingresso, ma questa competitività si perde nel percorso di carriera. Cio’ porta a flussi migratori da un’amministrazione all’altra in cerca di migliori condizioni, e per le professionalità migliori è quasi irresistibile l’attrazione del privato.

I recenti provvedimenti per la valorizzazione del merito possono certamente favorire la retention di alcune professionalità; abbiamo verificato anche che molti giovani – e non solo – scelgono l’impiego pubblico con uno spirito di servizio, e l’elemento valoriale non va quindi trascurato. Rimane tuttavia che l’impatto della desertificazione demografica, unita alla scarsa competitività dell’impiego pubblico e alla mancata trasformazione delle organizzazioni rischia di ampliare il gap tra l’impiego pubblico eil settore privato.

 

 

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