LA SETTIMANA DIGITALE – COME STANNO CAMBIANDO LE ABITUDINI DEGLI ITALIANI
La settimana digitale – Come stanno cambiando le abitudini degli italiani

Come stanno modificando le abitudini e i consumi degli italiani in quarantena? Oltre allo smart working e alla didattica online, in seguito al lockdown si registrano aumenti nel gaming e nel tempo trascorso online. Tra i contenuti digitali preferiti rientrano i siti di informazione e lo streaming video e musicale.

 

Goldman Sachs annuncia le nuove stime sul PIL dei Paesi dell’area Euro indicando per l’Italia una decrescita del –11,6% nel 2020 e un aumento del +7,9% nel 2021. In generale per il PIL europeo si prevede un -9% per il 2020 e un +7,8% nel 2021.

 Da fine febbraio a fine marzo il traffico internet globale ha registrato una crescita del 30%, un risultato di dieci volte superiore dell’aumento medio che si registra normalmente di mese in mese e a cui ha contribuito in maniera decisiva l’esplosione dell’emergenza coronavirus (e il conseguente aumento di connessioni per smart working ed entertainment). È quanto emerge da un’analisi svolta da Akamai. In particolare, per quanto riguarda l’Italia, l’analisi ha preso in considerazione l’accesso remoto degli utenti alle applicazioni aziendali nel mese di marzo 2020, registrando una crescita costante dall’inizio alla fine del mese, con il picco nella giornata del 31 marzo.

Lo studio si è, inoltre, soffermato su alcuni aspetti relativi alla cybersecurity: l’attività degli hacker nel primo trimestre del 2020 non ha registrato diminuzioni: il gaming il settore più colpito.

Tv e digitale sono il punto di riferimento per gli italiani in quarantena. A confermarlo sono anche le rilevazioni di Gfk nel suo tracking settimanale sui cambiamenti degli stili di vita e delle strategie di consumo della popolazione italiana in seguito al lockdown dell’ultimo mese.

In particolare, nel periodo tra il 21 febbraio e il 22 marzo il tempo speso davanti alla tv è aumentato del +17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: cresce in particolare la visualizzazione dei canali di informazione, registrando un +177%.

In aumento anche il tempo dedicato agli strumenti digitali: +17%, per un incremento del 45% del tempo speso sui siti di informazione quotidiana. A crescere anche le forme di intrattenimento online, come lo streaming video e musicale (+13%) e il gaming online (+9%) nonché il tempo trascorso sui siti della grande distribuzione (+124%) e sui social network (+31%).

In un’indagine campionaria sulle professioni, l’Inapp ha sottolineato il ruolo rilevante del lavoro agile anche nella fase 2 del lockdown, quella in cui gradualmente ripartiranno alcune attività lavorative.

Secondo l’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche, infatti, «la possibilità di svolgere la propria attività da remoto assicura un basso rischio di contagio senza imporre il fermo delle attività». Dall’indagine emerge che circa 3 milioni di lavoratori occupati in settori non sottoposti alle misure di restrizione possono continuare il telelavoro, in particolare le attività professionali, scientifiche/tecniche, finanziarie/assicurative oltre alla pubblica amministrazione. Tra le principali attività che, invece, registrano una propensione molto bassa allo smart working e al telelavoro rientrano, invece, i servizi di alloggio e ristorazione e il commercio al dettaglio.

Per l’Istituto anche una volta rientrata l’emergenza sarà necessario ridisegnare le attuali modalità organizzative e i processi produttivi in virtù di una maggiore integrazione tra lavoro in presenza e smart working.

INDAGINE

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Il coronavirus potrebbe avere conseguenze di larga portata sulle aziende e l’organizzazione del lavoro. A confermarlo è anche un sondaggio svolto da Gartner e basato su 317 Chief Financial Officer. In particolare, il 27% degli intervistati afferma che introdurrà in via definitiva lo smart working per il 5% del personale anche dopo la fine della pandemia; il 25% porterà in modo permanente verso posizioni da remoto il 10% dei dipendenti che oggi lavorano in sede; il 17% lascerà in smart working il 20% del personale e il 4% convertirà in modo permanente il 50% dello staff al lavoro da casa.

Lo smart working viene definito da Gartner «una modalità di risparmio creativa» che i top manager del finance cercheranno di implementare per evitare misure più drastiche (come, ad esempio, i licenziamenti).

Nel primo trimestre 2020 il forte ricorso a smart working e didattica online ha fatto registrare un boom delle domande di PC. Il trend, però, ha portato ad un calo del 8% delle consegne rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, una problematica causata soprattutto dai ritardi avvenuti nella supply chain. A riportarlo è uno studio della società di ricerca Canalys secondo cui nel primo trimestre 2020 i produttori di pc hanno consegnato nel mondo 53,7 milioni di desktop, notebook e workstation. Lenovo ha consegnato il maggior numero di prodotti (12,8 milioni di consegne), seguita da HP con 11,7 milioni e Dell con 10,5 milioni. La performance peggiore registrata nel trimestre è stata quella di Apple che segna un -21% rispetto allo stesso periodo del 2019 con solo 3,2 milioni di Mac consegnati.

 

[IL CASO ZOOM]

Zoom ha ammesso di aver erroneamente instradato alcuni dati degli utenti attraverso server collocati in Cina. Pare, infatti, che alcune riunioni, tenute da utenti non cinesi, potrebbero essere state «autorizzate a connettersi a server collocati in Cina, dove non avrebbero dovuto essere in grado di connettersi».

L’errore è stato ricondotto alla necessità di gestire l’enorme aumento del traffico verificatosi in questi giorni e dovuto all’utilizzo della piattaforma di milioni di nuovi utenti (dai 10 milioni registrati a fine 2019 ai 200 milioni attuali).

Ad ogni modo la società ha spiegato di aver risolto il problema che comunque si sarebbe verificato soltanto in «circostanze estremamente limitate» e non avrebbe riguardato collegamenti fatti da utenti governativi.

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In seguito ai recenti problemi di sicurezza che hanno visto coinvolta la piattaforma di video/web conferencing Zoom, il senato americano ha invitato i propri membri ad utilizzare servizi di app alternative per le videoconferenze. Lo riporta il Financial Times pur specificando che non si tratta di un divieto a tutti gli effetti.

In parallelo alla diffusione dell’adozione di soluzioni di social meeting per la scuola e lo smart working gli hacker si stanno specializzando nel prendere di mira i loro utenti, sfruttando il nome delle piattaforme più utilizzate come Zoom, Webex e Slack. Lo riporta una ricerca di Kaspersky da cui è emerso che, su 1.300 file, 200  sono vere e proprie minacce per gli utenti, legate a due famiglie di adware, DealPly e DownloadSponsor. Si tratta di installer che mostrano annunci o scaricano moduli adware: software che appaiono solitamente sui dispositivi degli utenti dopo essere stati scaricati da marketplace non ufficiali.

Tra in nomi delle applicazioni più prese di mira dai criminali rientra Skype, con 120mila file sospetti che ne utilizzano il nome non soltanto per diffondere adware, ma anche diversi malware con in testa i trojan.

La diffusione del coronavirus e l’incremento dello smart working e del tempo speso online da parte degli utenti sta causando un aumento dei cyberattacchi. A rilevarlo è uno studio condotto da Dimensional Research (su incarico di Check Point) e basato su un campione di 411dipendenti di aziende di tutto il mondo secondo cui il 71% degli intervistati ha segnalato un aumento delle minacce o degli attacchi indirizzati alla propria azienda dall’inizio dell’epidemia. Spiccano i tentativi di phishing, citati dal 55% del campione, seguiti dai siti Web malevoli che affermano di offrire informazioni o consigli sulla pandemia (32%) e da un incremento dei malware (28%) e dei ransomware (19%).

Per quanto riguarda lo smart working, lo scenario è ancor più serio: per il 95% degli intervistati i problemi di sicurezza informatica sono aumentati in seguito alla necessità di adottare su larga scala le modalità di lavoro agile. Tra le principali sfide che le aziende hanno affrontato finora rientrano la difficoltà di garantire l’accesso remoto sicuro alle applicazioni (citato dal 56% degli intervistati), la necessità di soluzioni scalabili per l’accesso da remoto (55%) e il proliferare di soluzioni di “shadow IT” usate dai dipendenti senza il consenso dell’azienda (47%).