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Sanità e digitale: vantaggi tangibili ma un percorso ancora lungo

 

Servizi di telemedicina, semplificazione nei rapporti con medici, ospedali e Asl, una migliore copertura territoriale e una gestione più digitalizzata di tutti i dati e processi. Sono alcune delle direttrici di cambiamento che la sanità italiana sta percorrendo, dopo lo shock di una pandemia che ha reso evidenti le mancanze e inefficienze di un settore ancora troppo poco “digitale” e in cronica penuria di risorse. Ora, anche grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, stiamo andando nella giusta direzione ma non senza ostacoli sul percorso. Il Fascicolo Sanitario Elettronico, per esempio, è oggi un’opera ancora incompiuta e frammentata, per la quale è necessario accelerare i lavori per rispettare le scadenze previste dal PNRR.

Dalla “Digital Healthcare Executive Conference” organizzata da The Innovation Group a Roma lo scorso 18 aprile sono emersi alcuni punti fermi: l’importanza di una collaborazione stretta fra Pubblica Amministrazione centrale e locale; la necessità di creare non solo piattaforme digitali ma anche competenze; l’idea di una telemedicina che non si sostituisca ai servizi di cura tradizionali e alle relazioni umane, bensì li affianchi; una generale trasformazione dell’esperienza del paziente, che ha diritto a tempi e modalità di cura migliori. In tutto questo il digitale non distrugge nulla, ma è un fattore abilitante. Sul tema è intervenuto, tra gli altri, Giuseppe Quintavalle, Commissario Straordinario della Asl Roma 1: Dopo la pandemia ci sono state delle modifiche assistenziali, e realtà territoriali hanno potuto portare l’assistenza a casa delle persone”, ha ricordato. “Sono convinto che l’utilizzo di nuove progettualità debba entrare nel bagaglio formativo e culturale di ogni professionista sanitario”.

Quintavalle ha suggerito che alcune materie diventino obbligatorie nella formazione universitaria dei medici, come la robotica e l’intelligenza artificiale. “L’AI è un ausilio”, ha sottolineato, “ma l’uomo, il medico, resterà centrale. Oggi si parla di Fascicolo Sanitario Elettronico, tuttavia siamo ancora distanti. Stiamo facendo passi in avanti nella presa in carico domiciliare, nella  teleassistenza e nella telemedicina. Le scadenze stringenti del PNRR impongono atti programmatori che si devono calare nella formazione di ogni singolo operatore. La parola d’ordine per me è cambiamento culturale”.

Se la carenza di competenze digitali è un limite non da poco, il grande problema alla base del Sistema Sanitario Nazionale è l’insufficienza della spesa pubblica, in un Paese senescente (l’attuale rapporto tra occupati contribuenti e pensionati è di 1,6 a 1) e in cui circa 23 milioni di persone (38% della popolazione) sono affette da patologie croniche e richiedono, quindi, cure continue. Sul problema ha puntato il dito Francesco Longo, professore associato del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche e direttore dell’Healthcare Sector Observatory dell’Università Bocconi. Presentando i risultati di una ricerca svolta insieme alla RegioneEmilia-Romagna, Longo ha evidenziato che “la coperta è corta”, che il rapporto tra il numero di medici di medicina generale (Mmg) e infermieri, da un lato, e abitanti, pazienti cronici e frequenza d’accesso agli ambulatori, dall’altro, non consente livelli di servizio adeguato.

“La digitalizzazione del territorio dovrebbe garantire di raccogliere dati più precisi”, ha sottolineato Longo, “ma soprattutto di ridisegnare il format dei servizi e di re-ingegnerizzare i rapporti professionali nella filiera sanitaria, tra Mmg, specialisti ambulatoriali e specialisti dei prelievi. Dobbiamo introdurre elementi di intelligenza artificiale soprattutto per standardizzare di più le cure e ridurre la straordinaria variabilità esistente nelle cure su pazienti con la stessa patologia e la stessa stadiazione”. La digitalizzazione (di cui l’AI è, se vogliamo, una delle frontiere più evolute ma non l’unica) non è dunque un optional ma una necessità per il settore sanitario italiano. La logica di fondo è utilizzarla per tutti i processi laboriosi e a scarso valore aggiunto, come la raccolta dei dati e le procedure amministrative, ma anche a supporto del personale medico (e non in completa sostituzione) nelle attività ad alto valore aggiunto, come le cure a distanza (servizi di telemedicina, applicazioni per il monitoraggio dell’aderenza alle terapie) e la formulazione di diagnosi. L’obiettivo finale è realizzare un “patient journey in cui togliamo i processi a scarso valore aggiunto per introdurre nuovi processi ad alto valore aggiunto”, ha sintetizzato Longo.

Un nuovo “patient journey”
Il concetto di patient journey, mutuato dal mondo del marketing (dove da anni si parla di customer journey), è importante anche per Elena Bottinelli, head of digital transition and transformation del Gruppo San Donato, cui fanno capo 56 strutture tra Ircss e ambulatori: “Ci siamo posti l’obiettivo di anticipare il cambiamento, di creare un nuovo modo di fare sanità. Per questo abbiamo voluto realizzare una piattaforma che raccogliesse i dati delle soluzioni che abbiamo già in essere: prenotazione online, referti, televisita, Crm e fascicolo sanitario”. Il problema? “A oggi abbiamo più di 100mila iscritti alla piattaforma ma solo il 25% la utilizza”, ha spiegato Bottinelli. “L’uso sporadico della telemedicina non produce i risultati sperati. Dobbiamo ripensare il patient journey in cui alcuni passaggi sono in digitale e alcuni sono nella dimensione fisica”.

Un punto di vista non dissimile è quello espresso da Claudio Caccia, presidente onorario dell’Associazione Italiana Sistemi Informativi In Sanità (AISIS). “Oggi qualsiasi organizzazione sanitaria non funziona senza un adeguato livello di maturità digitale, ha osservato. “Altro tema importante: andremo sempre di più verso una sanità ibrida, in parte in presenza o mista o totalmente online. Questo implica la capacità di progettare nuovi modelli di presa in carico del paziente”.

La digitalizzazione non si esprime solo attraverso la telemedicina o gli strumenti self-service per prenotazioni e referti: è anche un supporto per la prevenzione. “Il tema della cronicità per noi è molto forte”, ha raccontato Laura Di Dio, head of operations di Humanitas, gruppo a cui fanno capo nove ospedali e dieci centri specialistici.“Vogliamo ridurre l’impatto della cronicità tramite la cura preventiva del paziente e creando strumenti che misurino l’outcome. Nel fare prevenzione, la digitalizzazione ci aiuta con sistemi come i Crm, che ci descrivono il nostro paziente e lo gestiscono in modo proattivo, tramite followup”.

Il digitale si presta a ottimizzare anche l’ambito degli screening oncologici, a beneficio sia dei pazienti sia del taglio della spesa sanitaria. “Già oggi i sistemi informativi complessi aiutano gli screening ma potrebbero farlo ulteriormente”, ha spiegato Alessandro Carellario, amministratore delegato di Sinapsys, società del Gruppo Maggioli. “Una ricerca svolta negli Stati Uniti sugli screening mammografici ha evidenziato che nel 19% dei casi le pazienti sono state sottoposte a esame donne che non ne avevano bisogno in quel momento, con conseguente stress per le pazienti e innalzamento dei costi”. Un’altra ricerca, citata da Carellario, ha dimostrato che analizzando referti mammografici con algoritmi di intelligenza artificiale è possibile accorciare in modo significativo i tempi di diagnosi e creare percorsi di followup personalizzati.

Esempi di innovazione regionale
Oggi alcuni degli ecosistemi in fieri sono quelli della sanità regionale. In Puglia, per esempio, è stato realizzato un Sistema Informativo Sanitario Territoriale (SIST) che ha messo in rete circa quattromila medici di medicina generale, 1.200 farmacie, 900 operatori privati accreditati e duemila specialisti. Dal portale online del SIST i cittadini possono fare prenotazioni che risultano direttamente visibili ai farmacisti.

“La nostra regione ha affrontato l’opportunità di cercare di utilizzare la tecnologia a supporto dei nuovi modelli organizzativi”, ha testimoniato Giovanni Delgrossi, dirigente unità organizzativa Sistemi Informativi e Sanità Digitale, direzione generale welfare della Regione Lombardia. “La tecnologia non potrà risolvere tutti i problemi ma sicuramente potrà facilitare il processo”. Il team di Delgrossi è particolarmente impegnato sul fronte della telemedicina, dove sono stati coinvolti gli operatori delle Case di Comunità (strutture sociosanitarie polivalenti distribuite sul territorio).

Gli ostacoli da superare
Quelli descritti sono solo alcuni esempi del grande potenziale del digitale in sanità. Un potenziale che si scontra però con alcuni problemi di fondo. Uno è, naturalmente, quello delle risorse a disposizione per gli investimenti, cui si associa la difficoltà di realizzare i progetti nei tempi previsti dal PNRR. C’è poi il già citato problema delle competenze e dell’usabilità delle applicazioni, con cui è necessario familiarizzare, e l’opera non può essere demandata al singolo professionista. “Sicuramente l’innovazione tecnologica ci può permettere di risolvere una serie di questioni, nella comunicazione ad esempio”, ha detto Nicola Calabrese, vicesegretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale. “Ma ci vogliono tanti investimenti e l’innovazione tecnologica non può essere lasciata in mano al singolo professionista”.

Un altro problema, di natura più tecnica, è quello dell’interoperabilità di dati e piattaforme: se manca, i processi e la gestione dei pazienti rimangono frammentati. L’interoperabilità è particolarmente cruciale per la realizzazione di un Fascicolo Sanitario Elettronico esteso e deve esistere a più livelli (gestione dei dati, infrastrutture, processi). Un punto di riferimento è lo standard HL7 FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resources), valido a livello internazionale e utile per lo scambio di cartelle cliniche elettroniche. “La maggior parte dei manager del settore ritiene che la frammentazione degli applicativi e dei sistemi di gestione dei dati a tutti i livelli sia una delle più importanti barriere che impediscono alla sanità nazionale di evolvere”, ha illustrato Lucio Marottoli, market line manager health & public sector di Deda Next, società di Deda Group focalizzata sul settore pubblico. “L’esigenza vera è quella non solo di riuscire a raccogliere tutti i dati ma anche di trovare un linguaggio comune, un esperanto dei dati, per poterli comprendere”.

Concorda Cesare Guidorzi, vice president hospital & public business per l’Italia di Doctolib, software per la prenotazione di visite, esami e altri servizi sanitari. “Non basta creare un’app o un portale per avere un cittadino digitalizzato”, ha detto Guidorzi. “Bisogna metterlo al centro e dargli del potere, questa è un’idea assolutamente valida. Il mondo che abbiamo davanti è a rete, e non più gerarchico. Ma è necessario aprire gli ecosistemi e renderli interoperabili”.

 

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