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Riuscirà Red Hat a trasformare il DNA dell’IBM?

N.  Settembre 2019
        

a cura di Roberto Masiero 
Presidente, The Innovation Group 

 

Intervista a Enrico Cereda, Presidente e Amministratore Delegato di IBM Italia

 

Parliamo dell’acquisizione di Red Hat: qual è la sua valutazione, quali saranno gli impatti a livello globale? E per quanto riguarda l’Italia, cosa comporterà?

L’acquisizione di Red Hat deve essere contestualizzata. Quello che si è osservato nel corso degli ultimi anni – sia a livello mondiale sia italiano – è un processo di crescita seguendo il quale le grandi aziende  hanno affrontato il digitale, per quanto riguarda il loro rapporto con i clienti, realizzando dei portali internet – più o meno sofisticati – puntando a mantenere – e in alcuni casi a migliorare – la relazione con il cliente: si pensi, ad esempio, alle banche e all’esplosione dell’home banking che ha fatto sì che le persone oggi si rechino molto meno in filiale rispetto a prima.

Quello che è stato fatto negli ultimi anni è stato principalmente “crearsi una vetrina”, fatta eccezione per poche aziende che si sono invece riorganizzate internamente sfruttando il digitale: tuttavia ci sono ancora molte aziende che pur avendo un portale internet di rilevanza non hanno cambiato i processi interni.

Secondo noi il “chapter two” dell’evoluzione digitale va oltre l’“outside-in” (ovvero l’organizzarsi con portali internet per ricevere gli ordini o incrementare l’interazione con il cliente); quello che vedremo nei prossimi anni sarà invece l’“inside-out” – e cioè le aziende dovranno cambiare i loro processi, prima ancora che l’infrastruttura, per adeguarsi a quello che è il mondo del digitale. Quindi la trasformazione digitale avvenuta nel corso degli ultimi anni è solo parte di quello che succederà prossimamente, quando effettivamente le aziende cambieranno i loro processi interni. Cambiare i processi interni vuol dire naturalmente cambiare anche l’infrastruttura tecnologica e la parte applicativa, ambiti in cui noi vediamo un grandissimo potenziale nel corso dei prossimi anni: cambiare l’infrastruttura tecnologica nel cliente, portarla in un’ottica cloud (noi da tanti anni parliamo di hybrid cloud). Da qui l’acquisizione di Red Hat.

Quindi in breve noi pensiamo che: il fatturato di Red Hat oggi è di tre miliardi, quello di IBM ottanta miliardi. Ma nel corso dei prossimi anni il risultato di questa acquisizione non consisterà semplicemente nella somma di questi due fattori; ad esso contribuiranno anche tutti i cambiamenti che i clienti dovranno implementare nella loro infrastruttura tecnologica: questa è la partita che ci giochiamo nel prossimo futuro.

 

IBM non è particolarmente nota per l’agilità dei processi interni, come pensate di fronteggiare il rischio di “soffocare il bambino nella culla”?

Questa problematica è stata affrontata acquisendo negli ultimi anni circa un centinaio di aziende. Quando ero nel software degli USA e ho seguito l’acquisizione di alcune aziende, si parlava del “blue wash”, un processo di integrazione, che veniva utilizzato fino a poco fa.

Oggi con Red Hat la parola “integrazione” è forbidden, si parla piuttosto di “sinergy”, perché abbiamo deciso di lasciare Red Hat come una società a sé, con il proprio brand, con cui ci saranno senz’altro ampie opportunità di collaborazione.

 

Il terreno dell’open source è strategico ma scivoloso. Per quali motivi i clienti dovrebbero affidarsi ad una Red Hat di IBM?

Perché noi siamo l’incumbent per molti clienti e quindi naturalmente per la sinergia che si può creare con Red Hat, che è a sua volta il leader del mercato open source. Una cosa importante è che noi vediamo OpenShift come il middleware nell’ambiente hybrid cloud. Poi sotto ci sarà l’IBM cloud, Amazon, Azure o Google cloud, ma l’importante è che sopra avrà uno strato di OpenShift e naturalmente sopra OpenShift ci saranno poi tutta una serie di soluzioni.

 

Quali sono le vostre priorità anche alla luce delle vostre recenti performance? I risultati del Q2 segnano un’ulteriore flessione per il quarto quarter di seguito, e le revenues non mostrano miglioramenti significativi per quanto riguarda l’area cognitive mentre continuano a manifestarsi problemi nell’area dei technology services.

Per quanto riguarda i risultati del secondo quarter, dopo la pubblicazione dei dati l’azione è salita del 5/6%. Ciò è avvenuto, oltre che per la chiusura del discorso Red Hat, anche perché i risultati cono stati coerenti con le stime degli analisti che si aspettavano un fatturato di 19.2 billion (poi effettivamente realizzato). Oltre al fatturato, i risultati positivi sono stati raggiunti soprattutto sugli Earnings Per Share, i cui risultati sono stati leggermente sopra le attese (3,17 dollari contro 3,06 attesi dagli analisti). In quest’ambito, ormai da diversi quarter, emerge la nostra capacità di agire sui costi e sull’efficienza, caratteristiche che ci hanno contraddistinto negli ultimi anni. Oggi l’azione vale 150 dollari.

 

Fino a che punto frenare l’erosione dei technology services e accelerare la realizzazione dei ricavi nell’area del multicloud e dell’hybrid può consentire di finanziare la transizione rispetto ad una nuova generazione di servizi basati sul cognitive computing? E come gioca in questo sforzo di bilanciamento l’acquisizione di Red Hat?

Siamo impegnati, a livello mondiale, europeo ed italiano, al bilanciamento del nostro portafoglio. Abbiamo un portafoglio tradizionale che è presente sia nei servizi infrastrutturali, sia nell’hardware sia nel software (anche se questo a livello di mercato è un portafoglio che scende). Abbiamo poi un altro portafoglio che fa parte sempre della parte relativa ai servizi applicativi, infrastrutturali, cognitive, cloud che invece cresce. Naturalmente siamo impegnati a cercare di avere un bilanciamento sempre più ottimale di questo portafoglio.

Un altro punto fondamentale riguarda il miglioramento sulla parte GTS, servizi infrastrutturali, ecc… L’acquisizione di Red Hat non finirà nel portafoglio Cloud & Cognitive: ho nominato in Italia una Red Hat Sinergy Leader e non l’ho inserita nel portafoglio Cloud & Cognitive, perché vogliamo che l’acquisizione di Red Hat sia pervasiva su tutti i brand e non soltanto nel cloud: sarà importante per la nostra direzione cloud ma sarà fondamentale anche per i servizi infrastrutturali. L’obiettivo poi sarà quello di accompagnare anche i clienti che oggi sono in outsourcing verso le tecnologie multicloud, e di qui sfruttare l’acquisizione di Red Hat non solamente per il brand cloud ma per tutti i brand.

Per quanto riguarda, inoltre, l’Artificial Intelligence e il cognitive computing, si tratta di ambiti in cui stiamo riportando progressi significativi, soprattutto nell’ambito dell’Augmented Intelligence in cui, sia a livello mondiale sia italiano, abbiamo diversi clienti. L’unità Cloud & Cognitive è stata quella che è cresciuta di più (del 5%, come dovrebbe essere emerso dai risultati del secondo quarter, al cui interno l’unità cloud è cresciuta del 2,7%). Si tratta, quindi, di ambiti che comunque continuano a crescere in modo significativo.

Vorrei infine sottolineare che l’Europa è stata l’unica area in cui i ricavi sono cresciuti in valore assoluto (dell’1%).

 

Come spiega questo risultato?

A livello europeo siamo cresciuti in quanto abbiamo sempre in Europa, al mondo, in Italia, un bilanciamento tra la parte tradizionale e la parte innovativa. C’è una parte, che è quella dei contratti in outsourcing (che oggi pesano per il 50% sul fatturato di IBM Italia) che decrescono “by design”. Naturalmente c’è un impegno costante per cercare di limitare quanto più possibile la diminuzione di quest’area, però è inevitabile che diminuisca. Quindi questa decrescita del -1,6% della corporation è la risultante da una parte (che pesa tantissimo) dei contratti in outsourcing e dall’altra di una parte innovativa che invece cresce significativamente.

 

Partecipando al vostro ultimo Analyst Meeting, e parlando con i vostri Manager, alla domanda “In which area are you excellent?” la risposta che ho ricevuto molto spesso è “our applications are all integrated”. Mai nessuno che risponda “Questa parte è eccellente”. Non crede che questa dicotomia fra integrazione ed eccellenza rischi di andare a detrimento della competitività delle soluzioni IBM nelle singole aree?

Un tema di excellence IBM ce l’ha sul fronte dell’AI, grazie soprattutto al nostro team di ricerca, che porta a casa ogni anno più di 9.000 brevetti negli USA e grazie a cui sono stati vinti 5 Premi Nobel negli ultimi anni. Lo stesso Quantum Computing ha origine dalla nostra ricerca.

 

Quali sono i principali investimenti in ricerca, formazione e sviluppo in Italia?

Penso che la parte di education e formazione delle persone debba essere una priorità nel nostro Paese, sia per i più giovani sia per i meno giovani. Sicuramente si spende ancora poco e lo si vede dal gap digitale che abbiamo con gli altri Paesi. In Italia, soprattutto per i meno giovani (over 40/45), c’è la mentalità del posto fisso per cui tendenzialmente non si investe in un “continuous learning”: è questa una concezione che bisogna cambiare.

 

Come si colloca in questa strategia il grande investimento di 40 Milioni € in 9 anni degli “IBM Studios”?

Abbiamo ritenuto che fosse venuto il momento per un rilancio della visibilità del logo e della presenza IBM coerente con la centralità e l’importanza critica del ruolo che Ibm ricopre per i nostri grandi clienti. Per questo abbiamo scelto una location nel cuore dell’area più prestigiosa di Milano e di un’Area Metropolitana che conta per il 30 % del Pil del nostro Paese.

 

Quali altri investimenti state realizzando specificamente nel settore della formazione?

A mio avviso da questo punto di vista facciamo molte cose ma pochi annunci. Abbiamo aderito da sempre (da quando esiste IBM Italia) a tantissime attività di formazione (ad esempio qualche anno fa è stata lanciata l’iniziativa alternanza Scuola-Lavoro) a cui i dipendenti di IBM Italia sono sempre stati molto orgogliosi di partecipare. Il problema è che si tratta di attività che non sono sempre state raccontate a dovere, ma questo è quello che succede tutti i giorni. Ad esempio, un mese fa è stato annunciato l’avvio del programma P-Tech che indirizza i giovani nelle scuole sulla componente del digitale.

 

Qual è ad esempio  il progetto di IBM avviato a Rieti?

È un progetto sviluppato lo scorso anno grazie al contributo della Regione e del Mise e attraverso fondi europei. L’obiettivo è quello di creare un centro di sviluppo su aree innovative, Internet of Things, Artificial Intelligence – più sulla parte applicativa. Adesso siamo a circa un centinaio di persone, aumenteranno, siamo molto contenti. Creeremo, inoltre, un centro di eccellenza europea su tutta la parte transportation.

 

Qual è la percezione che credete abbiano i Millennial e la Generazione Z di voi? Come essere attrattivi nei loro confronti?

Oggi sicuramente non abbiamo prodotti e servizi volti ad indirizzare specificamente il pubblico dei Millennial o della Generazione Z, siamo focalizzati sul B2B.Il motivo per cui siamo interessati alla Generazione Z o ai Millennial è che queste sono le persone che vorremmo portare on board: su questo tema sono stati promossi diversi meeting con le scuole e nel momento in cui raccontiamo la nostra storia e parliamo di cloud, hybrid cloud, Red Hat, Watson, notiamo un elevato interesse da parte dei ragazzi.Red Hat anche da questo punto di vista è un investimento strategico perché rappresenta una delle più importanti e consistenti comunità di sviluppatori nel mondo.

 

Evidentemente l’acquisizione di Red Hat non è una mossa tattica, ma una scelta strategica destinata a contribuire a una profonda trasformazione della natura stessa, dell’organizzazione e della strategia di IBM. L’impressione che traggo da questa intervista è che ci si aspetti proprio questo, che Red Hat riesca a cambiare la faccia dell’IBM, cioè che possa avere un effetto così radicale da andare oltre una semplice questione di sinergia: molto del futuro di IBM potrebbe dipendere dal fatto che Red Hat riesca a fungere effettivamente come un agente di trasformazione destinato a cambiare il DNA dell’Azienda. E’un’ impressione fondata?

Red Hat è certamente un investimento di grande valenza strategica, anche perché rappresenta una delle più grandi comunità di sviluppatori nel mondo. L’acquisizione di Red Hat muove verso quest’ottica, questa è la strada e non si può tornare indietro: per noi è una “Nuova Alba”, è un “game changer” ancora poco visibile, la cui capacità di contaminazione si evidenzierà nel corso del tempo.

 

Intervista del 25 Luglio 2019

 

 

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