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Perché falliscono i progetti sistemici

N.  Maggio
        

a cura di Alessandro Osnaghi
Professore, Università di Pavia 

 

Le competenze per l’erogazione di specifici servizi pubblici e per il trattamento dei dati e delle informazioni da cui dipende il funzionamento del Paese sono distribuite tra le pubbliche amministrazioni in base a leggi che riflettono vincoli storici o esigenze politiche contingenti e raramente corrispondono a soluzioni abilitate della tecnologia attualmente disponibile. Purtroppo la normativa vigente, in particolare il CAD, è costruita con l’implicita assunzione che ogni singola amministrazione possa operare in piena autonomia e sia singolarmente responsabile degli adempimenti richiesti, mentre, finora, il tema della governance dei progetti che implicano la collaborazione tra enti istituzionalmente autonomi non ha trovato spazio nell’elaborazione normativa.

La stretta collaborazione delle amministrazioni è un fattore determinante quando si tratta della progettazione e della erogazione dei servizi di cittadinanza, cioè di quei servizi che sono dovuti a tutti i cittadini semplicemente per il fatto di esserlo: alcuni di questi servizi sono erogati in piena autonomia direttamente dalle amministrazioni centrali, altri sono erogati o veicolati da amministrazioni o enti territoriali, si pensi ad esempio ai servizi demografici o ai servizi sanitari. Va inoltre osservato che a garanzia dei fondamentali diritti costituzionali del cittadino è necessario assicurare che l’eventuale  switch-off di tali servizi sia fruibile da tutti i cittadini indipendentemente dalla residenza e dalla “capacità” progettuale dell’ente erogatore del servizio.

I progetti che realizzano questa tipologia di servizi a livello nazionale hanno una valenza sistemica, in quanto richiedono un coordinamento delle attività di tutti gli enti o le amministrazioni territoriali, che però hanno tra loro capacità progettuali molto diverse, pur avendo gli stessi compiti istituzionali. Questi progetti, sia nella fase di sviluppo sia nella fase di dispiegamento ed erogazione dei servizi, richiedono l’identificazione di modelli innovativi di governo e di collaborazione tra amministrazioni.

Allo stato delle cose la collaborazione tra amministrazioni è ostacolata da molteplici fattori ed è opinione condivisa che il ritardo che il Paese registra nell’attuazione dell’Agenda digitale non sia dovuto alla mancanza di risorse ma, principalmente, alla carenza e all’inadeguatezza degli strumenti di governo dei progetti.

Assistiamo in questi giorni sulla stampa alla presa d’atto corale del fallimento di ANPR, il più importante progetto sistemico attualmente in corso, e delle difficoltà del progetto SPID, per non parlare del fatto che ancora non sembra vedere la fine del tunnel l’annoso progetto della Carta d’Identità elettronica (CIE).

È improbabile che si possa recuperare la situazione senza affrontare davvero il tema della governance dell’Agenda digitale ma, a tutt’oggi, non si è ancora arrivati all’identificazione di un modello di governance istituzionalizzato e permanente, capace di mettere il complesso sistema amministrativo italiano in condizione di gestire progetti informatici innovativi a livello nazionale, rimuovendo gli ostacoli frapposti dalla frammentazione delle competenze amministrative. Dovrebbe ormai essere evidente che se per assicurare la realizzazione del programma di digitalizzazione i Governi devono ripetutamente ricorrere ad un “commissario” dotato di strumenti organizzativi ed operativi eccezionali, ciò conferma che la “normale amministrazione “non è in grado di portare a compimento i progetti necessari.

Valga per tutti il caso di ANPR che all’osservatore esterno appare in tutta la sua assurdità: in questi giorni, alla data cioè in cui il progetto doveva essere completato, si può notare che non risultano affrontate e risolte le modalità di integrazione nel progetto dei Comuni, modalità che avrebbero dovuto essere definite addirittura in fase pre-progettuale, cioè nello Studio di fattibilità se fosse mai stato fatto.

L’assenza dello Studio di fattibilità accomuna peraltro ad ANPR anche SPID e CIE e, come conseguenza, non esiste alcuno studio del modello economico  necessario a garantire la sostenibilità dei relativi servizi. In queste condizioni non ci si può certo aspettare che questi progetti vadano facilmente in porto.

Per quanto riguarda ANPR anche un osservatore esterno percepisce l’ambiguità degli obiettivi del progetto: i comuni infatti utilizzano per la gestione delle anagrafi prodotti software di fornitori differenti che tipicamente integrano anche la gestione degli altri servizi gestiti dal Comune, ma non si è mai provveduto a standardizzare la sintassi e la semantica (le ontologie) dei dati demografici, così che la sostituzione della anagrafe locale con quella nazionale renderebbe inutilizzabili i prodotti software che gestiscono gli altri servizi comunali e sono integrati con l’anagrafe locale; si sarebbero dovuti concordare con i fornitori di soluzioni applicative (non sono numerosissimi) gli standard per l’accesso ai dati anagrafici, ma non ci ha pensato nessuno, anche se si sarebbe potuto riutilizzare molto lavoro dimenticato fatto in anni passati.

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