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PEER-to-PEER LENDING: quali prospettive?

LafioscaINTERVISTA di Simona Macellari, Associate Partner, The Innovation Group a Antonio Lafiosca, COO, BorsadelCredito.it

“Il mercato italiano del peer-to–peer lending valeva, a tutto il 2016, 56 milioni di euro – con una crescita però anno su anno vicina al 200%. Ma è davvero poco, in un settore, quello dei prestiti alle microimprese, che complessivamente ha una domanda di circa 50 miliardi, secondo una ricerca realizzata da Kpmg”. Così ha esordito Antonio Lafiosca, COO di BorsadelCredito.it, la prima piattaforma italiana di marketplace lending alle PMI.

 

Perché pensate che questi 50 miliardi possano essere intercettati dal p2p lending?

Perché si tratta di importi (tra i 30 e i 10 0mila euro) che alle banche tradizionali non offrono margini siginificativi, spesso inferiori al costo di gestione: si tratta di uno spazio enorme che po’ essere colmato. BorsadelCredito.it è il pioniere italiano del marketplace lending alle PMI; solo di recente ha fatto il suo ingresso un altro operatore con un target simile, la francese Lendix: una buona notizia – come lo è ogni volta che entra in campo un nuovo valido giocatore – che potrà sicuramente far bene al settore e alla sua evoluzione rendendo la partita più avvincente.

 

Come mai siamo a un livello di sviluppo ancora così embrionale, nonostante le potenzialità?

Le ragioni sono diverse. La principale è che nel nostro Paese il social lending è solo di recente entrato nel diritto, precisamente l’8 novembre 2016, nelle Disposizioni in materia di raccolta del risparmio, effettuata da parte di soggetti diversi dalle banche della Banca d’Italia: nella sezione IX, è definito come lo “strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”. Una normativa che non è del tutto precisa e che crea ancora qualche cortocircuito, ma che ha avuto il grande merito di autorizzare le banche a raccogliere, senza limiti, attraverso portali on-line, al contrario di quanto avviene per gli investitori retail. Si tratta, a nostro avviso, di una prima importante apertura verso l’entrata in campo di investitori istituzionali, che potrebbe dare una forte accelerazione al mercato.

 

E poi?

Un altro freno è l’imposizione fiscale per i prestatori: al rendimento da investimento in p2p lending si applica l’aliquota marginale Irpef, dal 23% per i redditi sotto i 15mila euro fino al 43% per quelli sopra i 75mila euro – contro il 26% della tassazione sulle altre rendite finanziarie e il 12,5% sui Btp.

 

Quali sono i numeri degli altri mercati europei?

La Germania ha movimentato 240 milioni di euro, la Francia 300, la Spagna 56, poco più dei nostri e il Regno Unito ha erogato 5 miliardi: quest’ultimo vale circa l’85% di quello europeo, l’Italia rappresenta appena lo 0,39%, contro lo 0,54% della Spagna, il 3,25% della Germania e il 4,32% della Francia: briciole al cospetto di Sua Maestà la Regina. Nel Regno Unito hanno visto la luce, dal 2005, almeno 90 diverse piattaforme. Le principali, che oggi si dividono la quota maggiore del mercato, sono quattro ed è già in atto un processo di consolidamento in cui questi nomi potrebbero fare da catalizzatori: Zopa, Funding Circle, RateSetter, Marketinvoice.

Il peso del social lending alle PMI sul totale dei prestiti erogati in Gran Bretagna è del 3% e sale al 13% se si considerano anche le piccolissime imprese, quelle sotto il milione di sterline di fatturato.

 

In generale, l’interesse per queste forme di finanziamento alternative è crescente anche da parte di soggetti esterni?

Direi di sì. Non è un caso che una delle maggiori piattaforme britanniche attive nel mondo del credito alle imprese, Funding Circle, abbia ricevuto oltre 100 milioni di finanziamento da parte di enti pubblici nazionali ed europei, proprio per l’importante ruolo nel finanziamento all’economia reale, laddove le banche languono sempre più. Una situazione che in Italia è, se possibile, ancora più esacerbata.

Negli Stati Uniti sono le stesse banche a chiedere sempre più il supporto del Fintech: secondo un’inchiesta della società di consulenza Manatt, il 72% dei CEO delle banche regionali o locali degli Usa ha pianificato una partnership con il Fintech nel corso dei prossimi 12-18 mesi: un’opzione che sarebbe particolarmente interessante anche per le banche territoriali italiane, le popolari e le banche di credito cooperativo che hanno rapporti con piccole e micro aziende ma che, neanche a dirlo, nessuno ha finora preso in considerazione.

 

Ci sono casi di collaborazione tra banche e fintech in Europa?

Sì, dozzine di esempi, dalla Francia all’Olanda, dalla Spagna alla Germania. La pioniera è la spagnola Santander, che dal luglio 2014 lavora in partnership con Funding Circle che, a sua volta, ha stretto accordi anche con Royal Bank of Scotland. E’ il modello ibrido che si diffonderà sempre di più.

 

Infine, una domanda sul vostro futuro: quali sono i piani per il 2017?

L’intenzione è di continuare in maniera proporzionale a crescere mese per mese grazie ai prestatori retail, partendo dall’attuale milione di euro erogato al mese. Ma la novità più importante, su cui non possiamo però ancora dire molto, riguarderà i prestatori istituzionali ai quali intendiamo aprirci.

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