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Parte dal Digitale la ripresa post-Covid
N.  Settembre 2020
        

a cura di Elena Vaciago 
Associate Research Manager, The Innovation Group

 

Il periodo del lockdown ha rappresentato uno stress test per il sistema delle imprese italiane, che nel complesso hanno dato prova di essere in grado di far fronte a questa situazione eccezionale. E il digitale ha avuto un ruolo essenziale nel garantire, per milioni di lavoratori, la possibilità di continuare ad operare da remoto, dalle proprie abitazioni.

Da un sondaggio svolto da The Innovation Group tra l’8 e il 23 luglio (la survey online «Effetti del Covid19 sulle aziende e sul Mercato Digitale», su un campione di 164 aziende dei diversi settori e delle diverse classi dimensionali), emergono alcune indicazioni sulle lezioni apprese da tutti nei mesi dell’emergenza Covid19. La più importante (come riporta il 49% delle aziende intervistate) è che la crisi ha dimostrato la resilienza di molte realtà, dove con resilienza va inteso “la capacità di adattarsi, deformarsi, mantenendo però il proprio scopo”.

Un riconoscimento particolare va al digitale, ossia all’insieme di tecnologie, processi, competenze e personale dedicato all’IT che hanno reso possibile un adattamento veloce, efficiente e di elevata qualità nel passaggio rapido al nuovo contesto operativo (46% delle aziende intervistate). Punti a favore anche per la capacità delle persone di collaborare (36%) e al valore di un piano per la gestione delle emergenze (27%). Per il 26% degli intervistati servirebbe comunque un maggiore sforzo nella direzione delle persone sulle potenzialità del digitale, e per un 24% la trasformazione digitale è oggi una necessità, una condizione senza la quale non è più possibile rimanere sul mercato.

 

 

Si è parlato molto di smart working negli ultimi mesi, sottolineando che le condizioni particolari avevano imposto più un “home, remote working” che non un lavoro smart o agile effettivo. E infatti, come emerge anche dal sondaggio, al momento la “dimensione tecnologica” del lavoro a distanza è quella maggiormente presente nel disegno complessivo. Perché si arrivi a un lavoro “smart” da tutti i punti di vista servirà, nei prossimi mesi, prenderne in considerazione tutti gli aspetti, da quello di revisione organizzativa, alla contrattualistica, al ridisegno degli spazi fisici (per alcuni iniziato già nel periodo del Covid19 in seguito all’esigenza di garantire, per motivi sanitari, un distanziamento e un tracciamento degli spostamenti dei lavoratori).

 

 

Come ha riportato a inizio luglio il Rapporto Annuale 2020 dell’Istat sulla situazione del Paese, i lavoratori italiani che potenzialmente potrebbero svolgere il proprio lavoro da casa sono circa 8,2 milioni (il 35,7% del totale). Solo un milione (il 12,1%) ha concretamente sperimentato questa possibilità nel corso del 2019, mentre in questo momento sono in smart working 4 milioni di lavoratori italiani, quindi 3 milioni in più rispetto al 2019. Secondo l’Istat, possono essere svolte da remoto «in condizioni ordinarie soprattutto le professioni nei comparti dell’informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese (con quote tra il 60 e il 90%)”. Inoltre, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, secondo Istat il lavoro a distanza potrebbe coinvolgere il 56,5% dei dipendenti (mentre ad utilizzarlo, nel 2019, è stato solo il 2,7%).

Anche considerando i risultati del sondaggio condotto da The Innovation Group, a luglio, in piena Fase 3 (di ripresa ma anche di convivenza forzata con il rischio Covid19), molte aziende hanno optato per il mantenimento dello smart working per ampie fasce della propria forza lavoro. Solo un 23% dei rispondenti ha affermato che la propria azienda, aperta o quasi del tutto aperta, sta svolgendo tutte le attività dagli uffici: per il resto del campione (escluso un 2% di aziende completamente chiuse), valgono situazioni diverse, in cui però una quota importante di lavoro è svolta da remoto.

 

 

Il protrarsi della situazione sta quindi facendo maturare nuovi modelli operativi che vedono le tecnologie avere un ruolo fondamentale. Guardando però al quadro macroeconomico, il secondo trimestre dell’anno è stato caratterizzato (come riportano varie fonti) sia da un crollo della domanda e dei consumi privati, sia dalla riduzione di investimenti ed esportazioni. Le aziende sono in questo momento preoccupate per quello che sarà l’impatto economico della pandemia: in particolare si osserva che, come conseguenza della crisi generata dal Covid19, si è ridotta la domanda dei clienti (per il 42% delle aziende), piuttosto che non la capacità di produzione e delivery delle aziende. Questo quadro piuttosto negativo per il 2020 comporterà – come principali conseguenze attese entro la fine dell’anno – una riduzione del fatturato (62% delle aziende), il differimento di investimenti a piano (34%), il rinvio di assunzioni (31%), un calo delle ore totali di lavoro (28%) e un’instabilità finanziaria (24%).

 

 

Quali saranno le strategie preferite dalle aziende per investire per il futuro e puntare sul rilancio delle proprie attività? È qui che il digitale giocherà le proprie carte migliori. La digitalizzazione del business è vista in questo momento avere una duplice valenza:

  • Come la strada principale per garantire la continuità operativa in una fase difficile (di un possibile proseguimento ancora per mesi di limitazioni al business causate dal Covid19),
  • In prospettiva, come la scelta da fare per il rilancio dell’azienda, per la competitività futura sul mercato.

In un contesto in cui per il 2020 molti subiranno una contrazione dei budget a disposizione anche per investimenti in tecnologie e servizi ICT, per alcuni ambiti possiamo comunque aspettarci un interesse rinnovato: saranno quelli per rafforzare le infrastrutture, adattare i processi, formare le persone, incrementare la sicurezza. Probabilmente non da subito, ma in prospettiva, con una veloce ripresa della spesa già nel 2021.

 

 

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