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Microsoft fa progressi nella sostenibilità, ma ammette che il cammino di riduzione dell’impatto ambientale non è semplice né lineare. Il problema dell’impatto ambientale dei data center è ben noto, ed è una faccia della medaglia che descrive il complesso rapporto fra tecnologie Ict e sostenibilità. L’altra faccia della medaglia è il contributo che la stessa tecnologia può dare alla lotta alla transizione ecologica, sia riducendo il proprio impatto ambientale sia aiutando altri settori e altri tipi di aziende a fare lo stesso. In questa ambivalenza colossi tecnologici come Microsoft, Apple, Google, Amazon, Facebook e molti altri stanno cercando di orientarsi da anni, rimarcando ovviamente gli aspetti positivi del loro operato in relazione all’ambiente.
Da anni questi giganti del cloud computing hanno scelto di puntare sulle energie rinnovabili, sia con impianti fotovoltaici ed eolici di proprietà, sia acquistando energia pulita da fornitori terzi. Parallelamente, l’efficienza energetica dei server e quella degli interi data center è aumentata, consentendo di ridurre la produzione di calore e il consumo di elettricità necessaria per alimentare le infrastrutture e per raffreddare le sale macchine. Microsoft, in particolare, si è impegnata a diventare carbon negative già entro il 2023 e oggi, con la pubblicazione del suo nuovo report di sostenibilità, può ostentare con orgoglio alcuni traguardi.
Sulle emissioni Scope 1 (gas serra direttamente prodotti da asset di proprietà o controllati dall’azienda) e Scope 2 (quelle indirette, derivanti dalla produzione di elettricità, calore o vapore) Microsoft ha ottenuto nel 2021 una riduzione del 17%, a fronte di una crescita dei ricavi pari al 20%. Le emissioni Scope 3, cioè quelle indirette generate dall’intera catena del valore, decisamente più difficili da controllare, sono invece cresciute 23%. Dunque serve un giro di vite: Microsoft ha annunciato di voler adottare, da ora in poi, misure più restrittive per ridurre le emissioni Scope 3, stabilendo per i fornitori nuovi limiti da non superare. Ci sarà la lavorare, inoltre, su quel 13% di fornitori che attualmente ancora non dichiara le proprie emissioni.