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La trasformazione rallenta, ma è solo questione di tempo

N. Febbraio 2020

a cura di Valentina Bernocco
Giornalista, Technopolis e IctBusiness

 

Nel percorso di adozione del cloud ibrido molte aziende hanno fatto una temporanea marcia indietro, come svelato da un’indagine condotta da Vanson Bourne per Nutanix. Si vive una fase di “dincanto”, senza però dimenticare gli obiettivi di medio termine.

Il cloud è ormai diventato un gigantesco contenitore, e non soltanto per i dati e per le applicazioni personali e aziendali di tutto il mondo. È un gigantesco contenitore di significati, perché a questa parola (più o meno variamente declinata: cloud pubblico o privato, ibrido, infrastrutturale, multi-cloud e via dicendo) corrispondono numerose realtà, spesso intrecciate fra loro. Dunque, quando parliamo di “nuvola” è forse opportuno restringere il campo. Ma c’è un dato di fondo, empiricamente dimostrato, che accomuna le diverse accezioni di questa parola: il cloud agevola la trasformazione digitale, anzi talvolta ne è un indispensabile ingrediente. Nel nuovo decennio forse smetteremo di parlarne semplicemente perché ormai daremo il cloud per scontato e perché i confini tra ciò che sta “dentro” e ciò che sta “fuori” da questo grande contenitore diventeranno sempre più difficili da individuare.

Fuori di metafora, possiamo dire che il cloud ibrido si imporrà per la maggioranza delle aziende come il modello architetturale preferenziale. Da anni le ricerche condotte da vendor e società di analisti sembrano suggerire questa evoluzione, e una nuova conferma giunge ora da Nutanix, società specializzata in sistemi iperconvergenti e appliance per l’archiviazione dei dati. Vale la pena ricordare che per modello “ibrido” s’intende non il semplice utilizzo combinato di risorse interne alle aziende (sale macchine on-premise) e in cloud (pubblico o privato), quanto piuttosto la creazione di ambienti integrati, protetti e gestiti in modo coerente e, ancor meglio, centralizzato.

Per l’indagine di Nutanix sono stati interpellati da Vanson Bourne nei mesi centrali del 2019 circa 2.650 responsabili IT di aziende sparse tra 24 nazioni di Europa, Nordamerica, America Latina, Africa e Asia. Ne è emerso che per ben l’85% degli intervistati il cloud ibrido rappresenta il modello operativo ideale per l’IT della propria azienda, nonché l’obiettivo di lungo termine. Poiché attualmente la maggior parte delle applicazioni “core” e critiche risiede ancora on-premise, questo significherà dover ulteriormente spostare sulla nuvola molti dati e processi aziendali. La bilancia, insomma, non ha ancora raggiunto l’ideale equilibrio. Ma c’è un ma, o forse più di uno. In media, nel 2018 le aziende del campione d’indagine avevano previsto per il 2019 una riduzione del 20% nell’utilizzo di data center interni, parallelamente allo spostamento di alcune applicazioni o dati sul cloud. E invece, contrariamente alle previsioni, l’anno scorso il ricorso all’on-premise è aumentato del 12,5% su scala globale (e del 14% nella regione Emea) e quasi tre aziende su dieci hanno riportato sui propri server una o più applicazioni in precedenza migrate sul cloud. Come si spiega? Molte aziende, suggerisce Nutanix, sono entrate in una “fase di disincanto”, smettendo di vedere nella nuvola una miracolosa e onnicomprensiva risposta e realizzando, invece, quanto sia difficile scegliere la giusta tipologia di cloud e i giusti servizi nella miriade di quelli disponibili. Alcune aziende, inoltre, si sono rese conto di non essere pronte per la transizione, né dal punto di vista delle competenze né tecnicamente, davanti alla prospettiva di problemi di interoperabilità e difficoltà gestionali.

Tutto questo non significa che il cloud ibrido abbia deluso le aspettative, ma solo che ci vorrà più tempo. Per il 64% degli intervistati, la prima priorità aziendale per i prossimi cinque anni è la trasformazione digitale, e questo obiettivo rappresenta anche il più importante stimolo all’adozione del cloud. Ai fini della trasformazione, si guarda con particolare interesse all’ Internet of Things e all’edge computing (applicazioni in cui le attività di calcolo si spostano alla “periferia” delle reti, negli oggetti connessi), al DevOps, a intelligenza artificiale e machine learning. E a queste applicazioni, incaricate di processare, ospitare e far viaggiare grandi quantità di dati, difficilmente potranno bastare le vecchie sale macchine aziendali: non a caso, il 71% degli intervistati progetta di trasferire nel cloud applicazioni esistenti e nuove entro il 2022. Nonostante gli ostacoli sulla via, la meta all’orizzonte è ben definita.

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