29.09.2025

Infrastruttura: una parola ambigua, ma centrale nell’era dell’AI

Numeri e Mercati

 

Immagine di rawpixel.com su Freepik

Attenzioni, aspirazioni e investimenti si riversano su di lei: l’infrastruttura. Un termine lessicalmente un po’ infelice, perché vago e polivalente. Anche senza sconfinare in altri campi (per esempio nei trasporti, o nella filosofia di Karl Marx) e restando nell’Ict, notiamo che la parola “infrastruttura” assume diversi significati a seconda del contesto o anche nello stesso contesto: può indicare una rete di telecomunicazione, sistemi tecnologici “fondanti” come server e appliance, oppure un intero data center. Ma sono parte dell’infrastruttura anche i chip, oggi al centro di quella corsa all’intelligenza artificiale di cui ancora si parla, carica di implicazioni geopolitiche ed economiche.

Se anche la parola non ci piace, è impossibile non usarla. E anche nell’ambiguità lessicale, il messaggio che trapela dai fatti di cronaca e dai dati degli analisti è di lampante chiarezza: senza le “basi”, senza la materia, il silicio, il rame, la fibra ottica, l’ascesa del cloud e dell’intelligenza artificiale non potrebbero realizzarsi. E le fondamenta materiali di cui oggi disponiamo non sono sufficienti. Nemmeno quelle delle Big Tech, anzi soprattutto quelle delle Big Tech.

 

L’asse OpenAI-Nvidia

Recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, rendono l’idea (per quanto un po’ enfatiche ed eco di una cultura molto statunitense dell’abbondanza e dell’eccesso): “Se l’AI resterà sulla traiettoria che immaginiamo, allora cose incredibili saranno possibili. Con 10 gigawatt di potenza di calcolo magari l’AI potrebbe trovare una cura per il cancro. Oppure, con 10 gigawatt, potrebbe capire come fornire un tutoring personalizzato per ogni studente del mondo. Se la capacità di calcolo ci limita, dovremo scegliere a che cosa dare priorità; nessuno vorrebbe fare questa scelta, perciò costruiremo. La nostra visione è semplice: vogliamo creare una fabbrica che possa produrre gigawatt di nuova infrastruttura AI ogni settimana”. Altman ha ammesso che realizzare tale visione sarà estremamente difficile: richiederà anni e sforzi di innovazione a tutti i livelli, dai chip alle forniture energetiche.

A dare concretezza a questo impegno c’è il colossale accordo da 100 miliardi di dollari stretto con Nvidia lo scorso settembre: a tanto ammonta l’investimento che permetterà alla società di Jensen Huang di diventare il partner strategico preferenziale di OpenAI. Parallelamente, in più fasi e a partire alla seconda metà del 2026 la società di ChatGpt comprerà da Nvidia enormi forniture di Gpu (in particolare, sistemi basati sulla nuova architettura Vera Rubin) per attività di addestramento di Large Language Model.  “L’accordo sull’investimento e sull’infrastruttura segna un nuovo passo in avanti, dislocando 10 gigawatt per alimentare la prossima era di intelligenza”, ha dichiaratoJensen Huang.

 

La galoppata di Oracle

Come noto, nell’Olimpo dell’informatica Nvidia è forse l’azienda che più di tutte, finora, ha beneficiato della corsa all’adozione dell’intelligenza artificiale. Vendendo forniture di Gpu ai grandi sviluppatori di Large Language Model (come OpenAI) ai proprietari di piattaforme social (Meta, xAI) e ai cloud provider di scala mondiale (come Amazon, Microsoft e Google), la società è entrata nell’esclusivo circolo delle trillion dollar company, sfondando la soglia dei mille miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato nel giugno del 2023. Due anni dopo, il suo valore era quadruplicato. Se non ci fossero le attuali incertezze sui divieti di import/export da e verso la Cina, i numeri potrebbero lievitare ancora di più.

Ma le Gpu non sono l’unico simbolo del parallelismo tra l’ascesa dell’AI e dell’infrastruttura. Ci sono anche i sistemi hardware e i servizi cloud, due ambiti in cui negli ultimi anni Oracle ha visto esplodere la domanda. Nell’ultima trimestrale (quarto trimestre dell’esercizio fiscale chiuso a fine maggio) i ricavi dell’Infrastructure-as-a-Service, cioè del cloud infrastrutturale, hanno segnato una crescita del 52% anno su anno. E per l’anno fiscale 2026 l’azienda si attende per la componente IaaS un incremento del 70%.“Oracle è sulla buona strada per diventare non solo il più grande fornitore di applicazioni aziendali cloud al mondo, ma anche una delle più grandi aziende di cloud infrastrutturale al mondo”, ha dichiarato la Ceo, Safra Catz. Per sostenere la domanda di servizi IaaS, la Oracle Cloud Infrastructure si allargherà con ulteriori 47 data center, in via di realizzazione nei prossimi dodici mesi.

Oracle e la sua rete di data center, peraltro, sono coinvolti anche in una vicenda che ultimamente è finita in prima pagina: l’attesa, e ancora in fieri, vendita del ramo statunitense di TikTok. Per circa 14 miliardi di dollari, ByteDance cederà il 40% delle attività statunitensi del social network a un consorzio di investitori che include Oracle, la società di private equity Silver Lake e i miliardari Rupert Murdoch e Michael Dell. Non è solo una notizia di interesse per l’utenza del social network cinese. Sarebbe ingenuo ritenere TikTok solamente una piattaforma di intrattenimento e di advertising, e lo si capisce guardando a una delle clausole del contratto di vendita: l’algoritmo di raccomandazione dell’app di TikTok (che orienta pesantemente ciò che gli utenti visualizzano, più di quanto non accada su Facebook o su Instagram) passerà sotto al controllo dei nuovi proprietari e inoltre verrà rimaneggiato, cioè, ri-sviluppato sulla base dei dati degli utenti statunitensi. E con la supervisione di Oracle. Proseguirà, inoltre, l’opera di trasferimento dei dati: alla fine, tutti dovranno risiedere sui server dell’azienda fondata da Larry Ellison, in data center collocati negli States.

 

Qualche numero e spunti di riflessione…

Quelli citati sono solo esempi dei movimenti di campo, delle alleanze e interconnessioni che stanno plasmando il mercato Ict e anche i mercati finanziari mondiali. Ci sarebbero anche enormi implicazioni ambientali, ma il tema è così complesso da meritare un discorso a parte. Qualche numero ci aiuta a inquadrare meglio il fenomeno. Secondo i calcoli di Cnbc, basati su dichiarazioni ufficiali delle aziende in questione, nell’intero 2025 Amazon, Alphabet, Meta e Microsoft spenderanno, complessivamente, 320 miliardi di dollari in tecnologie di intelligenza artificiale e in progetti di potenziamento e costruzione di data center. Ma se le Big Tech hanno un ruolo primario in questa corsa all’infrastruttura, e con esse il modello di fruizione in cloud, non vanno dimenticate le aziende utenti finali e gli ampliamenti dei data center on-premise.

Sommando tutte le componenti del mercato, Gartner stima per i sistemi di data center una spesa mondiale di 475 miliardi di dollari nell’intero 2025. Il valore è in crescita del 42% sul 2024, quando già si era registrato per questa categoria un incremento del 40% sul 2023. “Le aziende hanno messo in pausa le nuove spese nette per via del picco di incertezza globale”, ha commentato John-David Lovelock, distinguished vice president analyst di Gartner, “ma l’effetto è riassorbito dalle iniziative di digitalizzazione di AI e GenAI già in corso. Per esempio, pensiamo che la crescita della spesa in software e in servizi nel 2025 rallenterà a causa di questa ‘pausa di incertezza’, mentre continuerà l’ascesa degli investimenti in infrastrutture per l’AI, come i sistemi di data center”. Su quest’ultimo punto, Gartner si aspetta che entro il 2027 gli acquisti di server ottimizzati per l’AI varranno il triplo della spesa in server tradizionali: un’ascesa mirabolante, per una categoria di prodotto che fino a quattro anni fa nemmeno esisteva.

 

 

 

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