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Il supporto al cliente nell’innovazione di Banca del Ceresio

 

Questo mese abbiamo fatto colazione con: Patrick Coggi, Direttore Generale, Banca del Ceresio

Il territorio geograficamente ed economicamente più contiguo all’Italia è certamente quello della Svizzera Italiana. Vi operano molte realtà, impegnate in diversi ambiti, con un peso particolare per il finance, il manufacturing, i servizi e la sanità. In comune con il nostro territorio c’è senza dubbio una forte presenza di piccole e medie aziende, a fronte di un numero assai più contenuto di grandi organizzazioni. Molte di queste, poi, hanno rapporti diretti con l’Italia, per ragioni di business, condivisione di competenze e forza-lavoro o sedi.

Lo scenario appena descritto ha una ricaduta non dissimile sui processi di innovazione e trasformazione digitale, che le aziende della Svizzera Italiana hanno mediamente affrontato in modo diseguale, con alcuni casi di eccellenza, ma anche molte aziende che sono partite in modo estremamente cauto e legato a scelte decise da un management con atteggiamento tendenzialmente conservativo, come emerge da una recente ricerca qualitativa realizzata da The Innovation Group

Fra le realtà con le idee più chiare e un percorso già piuttosto definito, troviamo Banca del Ceresio, da diverso tempo specializzata nell’offerta di servizi di gestione patrimoniale, consulenza finanziaria, intermediazione e custodia per clientela privata ed istituzionale. Abbiamo analizzato le strategie di trasformazione digitale con l’aiuto di Patrick Coggi, Direttore Generale dell’istituto.

Come si è strutturato fin qui il vostro cammino verso la trasformazione digitale?

Riteniamo che ogni evoluzione abbia senso se si pone al servizio del cliente. Dobbiamo tener presente che non siamo una transaction bank, ma ci concentriamo sul wealth management in un segmento di mercato molto alto e vogliamo proporre iniziative di interesse per il nostro mercato selezionato. Poniamo, innanzitutto, un accento particolare sugli aspetti analitici, allo scopo di fornire strumenti utili per comprendere l’andamento dei portafogli e crearsi, in prospettiva, report in autonomia. Sullo stesso solco, stiamo rafforzando la nostra presenza online anche per rendere più efficienti i processi di onboarding e di compliance. Aggiungiamo, poi, che facciamo parecchia ricerca nei nostri uffici di Londra, Milano e Lugano, ma questo lavoro viene ancora condiviso in modo talvolta inefficiente, per cui abbiamo digitalizzato anche questi flussi facendo leva su uno strumento di Crm adattato alle nostre necessità.

Come ha reagito l’organizzazione ai cambiamenti fin qui effettuati?

La digitalizzazione ci aiuta a migliorare i processi interni, consentendo di abbandonare progressivamente la componente legacy e migliorando gli strumenti collaborativi per condividere meglio le informazioni e rafforzare il lavoro in team. Il percorso evolutivo è tuttora in corso e quindi lo è anche il processo di accettazione, ma per le esperienze fin qui concretizzate sembra che tutto sia stato recepito in modo molto positivo. Certamente c’è un peso rilevante da attribuire al change management, perché non è possibile introdurre cambiamenti importanti senza un adeguato processo di accompagnamento.

Quale ruolo attribuite al cloud in supporto ai processi di trasformazione?

Non ci interessa una migrazione a tutti i costi. Stiamo andando verso un’infrastruttura ibrida ed è nostra intenzione portare sul cloud solo ciò che effettivamente porta con sé un vantaggio oppure non consente alternative. Va sottolineato che oggi la normativa svizzera non consente di allocare in cloud dati e identificazioni dei clienti, né sul territorio né tantomeno all’estero, a meno di non aver ottenuto una precisa autorizzazione. Questo rappresenta un enorme freno allo sviluppo del cloud nell’industria finanziaria del nostro Paese e anche per noi le possibili aperture non potranno che andare in direzione della modalità di tipo privato.

Qual è il ruolo deil’It nelle strategie di innovazione?

In generale da noi c’è molta condivisione. A volte gli spunti arrivano dagli specialisti It, a volte addirittura dalla proprietà, poiché i nostri azionisti sono particolarmente appassionati di tecnologia. In qualche caso, anche i clienti ci segnalano di aver utilizzato qualche soluzione che vorrebbero ritrovare anche fra le nostre soluzioni. Si tratta di uno scambio continuo e generato in modo naturale.

Come avete affrontato fin qui il tema della carenza di competenze in ambito digitale?

Abbiamo una certa propensione a cercare al nostro interno i talenti che ci servono anche in campo tecnologico. Facciamo parecchia formazione interna e va detto che le nostre persone reagiscono bene. Siamo una realtà con un turnover molto basso e forte radicamento sul territorio, per cui la volontà di accettare i cambiamenti è certamente molto alta.

 

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