NEWSLETTER - IL CAFFE' DIGITALE
Fintech, Open Banking, Online Banking, Banca Universale

N. Febbraio 2018
        

a cura di Camilla Bellini 
Senior Analyst, The Innovation Group

 

Questo mese abbiamo fatto colazione con…
Roberto Ferrari, Chief Digital & Innovation Officer, Gruppo Mediobanca

 

Quali saranno a tendere i modelli di banking per il mercato italiano?

A tendere i modelli di banking disponibili saranno molteplici e, d’altra parte, questo comincia già oggi ad essere evidente. Pensiamo, ad esempio, al retail banking: fino a poco tempo fa c’era poca differenziazione nell’offerta di prodotti e servizi, la competizione si giocava prevalentemente sulla prossimità – ossia sul numero e la capillarità della distribuzione delle filiali – e i brand stessi erano più che altro una conseguenza di questa capillarità. Questa era la banca tradizionale. Il modello ora sta cambiando: ci sono banche nate su internet che operano in modo diverso rispetto alle banche tradizionali; esistono poi le specialty bank, basti pensare alle banche con i promotori (quelle che vengono chiamate “banche rete”) che per certi aspetti hanno poco a che fare con le banche tradizionali, o al segmento del credito al consumo (in Italia, per intenderci, Compass o Findomestic). Se dunque esistono già banche che si stanno specializzando in determinate aree del banking, questo è un fenomeno che crescerà sempre di più. In altre parole, si assisterà ad uno scenario in cui alcune (poche) banche manterranno l’imprinting della Banca Universale, cercando di offrire quanti più servizi possibili ad una clientela il più ampia possibile, e altre si specializzeranno (in tutto o in parte) su determinati segmenti del banking, aprendosi magari poi a eventuali partnership su cosa non sarà ritenuto core-business.

Quali sono le sfide e le criticità a cui dovranno fare fronte nel contesto italiano quelle che lei ha chiamato le Banche Universali?

Se da un lato la Banca Universale si basa e trae vantaggio evidentemente dalle economie di scala, dall’altro deve fare fronte alla complessità gestionale e ai costi crescenti a cui stanno andando sempre più incontro: se è vero infatti che esistono economie di scala, è anche vero che ci sono pressioni sia sui ricavi che inevitabilmente tenderanno a scendere – d’altra parte stanno già scendendo – sia sui costi. È infatti l’intero sistema bancario che ha necessità di riformarsi, di trasformarsi, di innovarsi e digitalizzarsi: per questo le banche devono sostenere costi dovuti da un lato alla digitalizzazione e dall’altro alla compliance. Basti pensare che i costi di compliance delle banche, ossia quelli determinati dalla regolamentazione, oggi sono molto più alti dei costi che c’erano 15-20 anni fa.

Oltre al tema dei costi, quali sono gli impatti del digitale sulla Banca Universale?

Se la digitalizzazione da un lato alza l’impegno – ossia i costi – delle banche, dall’altro abbassa le barriere all’ingresso nel settore, perché i clienti possono essere acquisiti anche online: la digitalizzazione apre le porte a nuovi tipi di competitor e ad un modo nuovo di fare banking, più guidato dal digitale rispetto al modello tradizionale. Digitale d’altra parte non significa solo focalizzarsi su determinati verticali di mercato, o di canale;  ad esempio fare solo lending o trading online, ma può essere utilizzato più trasversalmente, anche in una logica di sviluppo di modelli ibridi tra punti fisici ed esperienza online.

E per quanto riguarda lo sviluppo del modello dell’Open Banking? Come vede in futuro la relazione tra banche e fintech?

Per quanto riguarda il modello dell’Open Banking, per cui la banca si possono occupare esclusivamente o meno  del core banking, svolgendo il ruolo di “infrastruttura” su cui poggiano i servizi di terzi. Anche in questo caso si svilupperanno diversi modelli: alcune banche decideranno di continuare a mantenerwe interne le proprie fabbriche prodotto ; altre cominceranno a stringere partnership o addirittura ricorrere ad attività di M&A, ad esempio nell’ambito delle fintech, per determinati segmenti,come sta già iniziando a succedere; altre banche, infine, andranno completamente verso un modello di open banking “estremo”, per cui manterranno solo la  componente “transazionale” del proprio business, agganciando poi servizi forniti da terzi. In altre parole, si tratta più in generale di una contaminazione; o meglio, non si tratta di disruption, si tratta al contrario di renovation: un rinnovamento del modello d’offerta del sistema bancario, e dei modelli competitivi, che si articolano sempre di più migliorando progressivamente processi, offerta, rilevanza e customer experience. È indubbio che in futuro le fintech avranno bisogno sempre del mondo bancario, delle banche tradizionali, ma dall’altra parte anche le banche tradizionali avranno bisogno di modernizzarsi, di cambiare i propri modelli di servizio e d’offerta e quindi avranno bisogno di realtà più agili e flessibili con competenze specifiche che ad oggi le banche tradizionali non hanno. A mio parere, si andrà sempre più verso un modello di Marketplace tra banche e fintech: ci sarà chi lo farà in modo molto allargato e chi invece lo applicherà solo ad alcuni abiti. Non dimentichiamoci che le “Big Tech” Amerciane e Cinesi stanno affacciandosi sul mercato Europeo. Le FinTech da potenziale competitor si tramutano in arma a disposizione di risposta per il settore bancario. Ancora una volta, come dicevo, ci sarà molta più commistione, più contagio, tutto a favore del cliente finale, che nel frattempo, con la nuova GDPR, diventa possessore dei propri dati e quindi più autonomo neglia scelta dei servizi.

Fintech come fornitori di servizi e prodotti digitali e nuovi competitor per l’ICT? Quali modelli per le fintech?

Sicuramente ci saranno alcune fintech che diventeranno fornitori di servizi ICT per le banche, ad esempio, noi già ricorriamo ad alcune fintech nel nostro portfolio fornitori. D’altra parte, è indubbio che più in generale le fintech (come le banche) avranno più strade da percorrere, più modelli a cui aderire, non ci sarà un modello unico. Da un lato, ci saranno infatti le fintech B2B, che sostituiranno in alcuni ambiti i player ICT tradizionali e che si specializzeranno su determinati servizi: un esempio è Backbase (https://backbase.com/), una fintech B2B olandese specializzata in sistemi di omni-channel digital banking, che CheBanca! oggi utilizza per il proprio sistema di digital banking. Dall’altro, ci saranno le fintech che forniranno servizi alle banche e, allo stesso tempo, manterranno in parallelo il proprio business: in questo ambito mi viene in mente Kabbage (www.kabbage.com), che ha stretto un accordo white label con diverse banche in Europa per la parte di lending, mantenendo però i propri clienti e il proprio modo di operare B2C negli States. O, infine, ci saranno le fintech che andranno dritte per la propria strada, indipendentemente dalle banche e cercheranno di allargare orizzontalmente il proprio mercato; ad esempio, chi si occupa di trading online inizierà ad allargarsi nell’ambito dell’investment, nell’advisory digitale; o in alternativa, si allargheranno geograficamente entrando in nuovi mercati grazie  a barriere all’ingresso buttate giù dalla digitalizzazione della clientela.

 

 

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