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IL DIGITALE E LA TRASFORMAZIONE DEL LAVORO

Roberto-Masiero-miniA cura di Roberto Masiero, President, The Innovation Group

Uno dei principali impatti del digitale e delle nuove tecnologie sull’economia e sulla società consiste nella  trasformazione del lavoro.

In uno studio pubblicato l’anno scorso dal WEF, “The Future of Jobs” si prevede che nel quinquennio 2015-2020 verranno persi 7,1 milioni di posti di lavoro e ne verranno creati 2 milioni, con un perdita netta di 5,1 milioni di posti di lavoro.

Di seguito una prima stima della scomposizione delle variazione dei posti di lavoro nel quinquennio  per settori (in migliaia):

  • Office & Administrative: -4.759
  • Manufacturing & production: -1609
  • Construction & Extraction: -497
  • Arts, Design, Entartainment, Sports & Media -151
  • Legal: -109
  • Installation & Maintenance -40

  • Business & Financial Ops: +492
  • Management: +416
  • Computer & Mathematical: +405
  • Architecture & Engineering: +339
  • Sales & related: +303
  • Education & Training +66

I settori che saranno massicciamente colpiti sono dunque quelli dei lavori amministrativi e d’ufficio, dei servizi, della produzione manifatturiera e dei lavori manuali più ripetitivi.

La ricerca evidenzia anche due tipi di lavori per i quali si attendono altissimi tassi di crescita della domanda: i data analyst, cui si richiede l’interpretazione degli enormi flussi di dati generati in particolare dai processi non strutturati, e le forze di vendita specializzate, in grado di promuovere i nuovi servizi generati nell’ambito degli ecosistemi e dei mercati adiacenti che nasceranno dalla rottura dei tradizionali mercati verticali determinata dal digitale.

Ma in realtà siamo di fronte a un processo drammatico, aggravato dai tempi rapidissimi della trasformazione digitale, che apre certamente grandi possibilità di nuova occupazione – secondo noi anzi i dati dello studio WEF sono ampiamente sottostimati – ma rende rapidamente obsolete una grande quantità di competenze “tradizionali”.  Il problema è che il digitale crea molti nuovi posti di lavoro, ma questi non sono destinati ad essere occupati da coloro che il lavoro lo stanno perdendo, che sono molti di più. Il dato è aggravato dal fatto che le due onde sono asincrone: i lavori tradizionali sono falcidiati immediatamente, mentre il decollo delle nuove competenze digitali è rallentato dal collo di bottiglia dei meccanismi di formazione.

Il processo è semplice: il layer distributivo, nella maggioranza delle industrie, viene sostituito, grazie al digitale, dal “fai date” (le transazioni bancarie non si fanno più in filiale, gli acquisti si fanno on line, ecc). In questo modo, la distribuzione fisica è riservata alle situazioni in cui le transazioni sono più complesse: “vengo a te perché non riesco a farcela da solo”.

Questo ha un impatto immediato sui meccanismi della formazione: oggi c’è bisogno di una formazione continua nel tempo. Cosa che chi ha già un certo livello culturale recepisce e può applicare immediatamente, ma che per quella parte di popolazione che invece non si è formata rappresenta un gap ancora più grave di quello legato al reddito.

Se non riusciremo a gestire questo processo, avremo una maggioranza di lavoratori non solo non formata, ma anche sempre più arrabbiata perché, particolarmente in un Paese come il nostro con livelli medi di scolarità ampiamente insufficiente, potremmo trovarci di fronte alle premesse di una crisi sociale e di un ulteriore declino della competitività del nostro sistema.

Il tema sta quindi emergendo come una priorità strategica per la politica, sia a livello nazionale che a livello locale, e se ne stanno occupando seriamente le politiche industriali – come Industria 4.0 – le più sensibili tra le imprese, le organizzazioni imprenditoriali e varie organizzazioni non profit. Particolarmente interessante, ad esempio, è l’approccio di Cariplo Factory, che opera su due principali direttrici: generare nuove job opportunities nell’ambito della digital transformation, e sviluppare metodologie innovative, alternative alle politiche attive del lavoro, volte al recupero di competenze di persone estromesse dal lavoro per effetto dell’innovazione tecnologica.

L’accelerazione della nuova occupazione digitale trova un ostacolo nel nostro Paese nel diffuso “nanismo” delle start up italiane. Servono iniziative solide per la strutturazione di ecosistemi in cui creare set di servizi e di opportunità in una logica di mutua sostenibilità e accelerazione delle iniziative: come ad esempio nel caso di Grow It Up, un progetto promosso da Microsoft e Fondazione Cariplo per mettere in comunicazione le aziende storiche in sette settori chiave con le realtà imprenditoriali più giovani, nel segno del digital.

A livello regionale e a livello nazionale infine, il tema della crescita economica e dell’occupazione sarà uno dei temi centrali su cui si articolerà il confronto politico in vista delle prossime elezioni: chi riuscirà a sviluppare iniziative realistiche per favorire la trasformazione digitale delle proprie economie e dei propri territori, promuovendo allo stesso tempo percorsi che consentano di riallineare le competenze tradizionali al nuovo mondo digitale e ad evitare nel contempo drammatiche cadute occupazionali, avrà una carta vincente per affermarsi o per confermarsi alla guida delle proprie realtà.

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