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“Costruire il domani”: La nuova sintassi dell’immateriale.

Considerazioni sull’ultimo libro di Stefano Quintarelli

Roberto-Masiero-miniA cura di
Roberto Masiero, President, The Innovation Group

In “Costruire il domani – istruzioni per un futuro immateriale” (ed. Il Sole 24 Ore, 2016) Stefano Quintarelli delinea una vera e propria sintassi del nuovo ordine immateriale, ponendone a confronto le regole con quelle della dimensione materiale e definendo le proprietà che distinguono i beni immateriali  come risultato dei processi di digitalizzazione diffusa.

Sostanziali riduzioni dei costi di produzione, costi marginale di riproduzione, archiviazione, trasferimento tendenti a zero, non-rivalità’ e non-escludibilita’ del godimento dei beni, ritorni crescenti invece che decrescenti, non-deperibilita’ e interconnessione in un flusso immaterialmente integrato grazie alle tecnologie digitali sono le caratteristiche che caratterizzano il nuovo sistema di regole.  In questo modo “un libro” diventa “un archivio” in un dispositivo ( come qualunque altro media ). Ciò che si acquisisce non è la proprietà ma “un insieme di diritti, facoltà, immunità e privilegi stabiliti tra le parti” che in realtà, però, non vendono e non comprano. In questo modo “la dimensione immateriale diventa rapidamente l’interfaccia utente della dimensione materiale”.

A questo punto, definita la nuova gamma di strumenti che chiunque voglia operare nel mondo immateriale dovrà’ imparare ad utilizzare, Quintarelli passa a identificare una serie di “temi caldi” posti dal nuovo ordine, determinati dal fatto che l’immateriale sta cambiando lo stesso mondo materiale:

  • II tema della “singolarita tecnologica”, che potremmo anche interpretare come “le frontiere del cognitive computing”: se da un certo momento le macchine diventeranno più “intelligenti degli uomini”, gli eventi diverrebbero “impredicibili” per l’intelligenza umana.
  • Industria 4.0 come sfida al sistema industriale basata sulla riduzione del costo del coordinamento di un flusso immateriale, integrato, sempre connesso e a costo marginale di archiviazione, elaborazione e trasferimento tendente a zero
  • Prezzi non più legati alla scarsità, ma sganciati dai costi, una volta considerati i costi dell’investimento come ” sunk costs”.
  • La trasformazione del lavoro: se la digitalizzazione determinerà o meno una netta perdita di posti di lavoro – ipotesi con cui Quintarelli tuttavia non concorda.
  • Esiste una differenza di un ordine di grandezza tra la velocità del cambiamento tecnologico e quella dell’innovazione delle istituzioni: è ciò potrebbe rendere incompatibile una progressiva innovazione istituzionale, non radicale.
  • Il tema della sostenibilità o meno della Sharing Economy, su cui Quintarelli è’ critico, ritenendo che non si possa giocare sulla riduzione del costo del coordinamento tenendo all’interno tutte le esternalità positive e buttando fuori tutte quelle negative ma che, per riequilibrare il mercato, vadano introdotte limitazioni all’esenzione di responsabilità dell’intermediario e alcuni obblighi di verifica in capo alle piattaforme di intermediazione.

Rimandiamo al piacere della lettura diretta della terza parte, molto stimolante, in cui vengono delineati i “Futuri possibili” degli attuali ” mercati verticali” ( i media, le banche, l’energia, la mobilità, il turismo, la sanità, ecc), per soffermarci su alcune riflessioni sui temi caldi delineati sopra.

Sulla trasformazione del lavoro: qui non ci piove, se molte funzioni svolte finora dal lavoro manuale o intellettuale vengono assorbite dalle macchine per garantire i necessari incrementi di produttività, è inevitabile che a ciò corrisponda una riduzione dei posti di lavoro nei settori dematerializzati o robotizzati. Quintarelli replica che tuttavia queste riduzioni di lavoro potrebbero essere compensate a) dall’espansione dei “lavori di cura”, b) dagli utili lavori del superfluo e c) dall’invenzione di nuovi settori.

Ora rispetto ai “lavori di cura” è senz’altro vero che, con l’invecchiamento della popolazione e l’ emergere di nuove fragilità dovute alla crisi delle ultimi anni, vi sia un bisogno diffuso di questo tipo di professionalità , particolarmente in considerazione della crisi del welfare pubblico che lascia scoperte molte fasce di popolazione . Ad esso potrebbero rispondere lo sviluppo del sistema della sussidiarietà e nuove forme di imprenditoria sociale e di iniziative pubblico-privato, che potrebbero essere alimentate da una massiccia riconversione di risorse oggi spesso impiegate inefficientemente in funzioni improduttive facilmente automatizzabili della PA, risorse che potrebbero essere redeployed dal back end al front end dei servizi alla persona. I sindacati possono inorridire, ma questo è probabilmente l’unico modo di salvare l’occupazione, contribuire al benessere dei nostri concittadini e rendere alla fine più gratificante la qualità del lavoro di molti dipendenti pubblici, oggi ingabbiati in attività estremamente frustranti.

Per quanto riguarda i “nuovi lavori”: probabilmente Quintarelli ha ragione sul contributo, in termini di occupazione aggiuntiva, che gli “utili lavori del superfluo” potranno generare; anche se credo sia molto difficile approssimarne una stima quantitativa; più potenziale potrebbe essere invece la nuova occupazione generata dalla “rottura ” dei tradizionali mercati verticali e dall’ attivazione dei nuovi” mercati adiacenti” nell’ambito degli ecosistemi pubblico-privati generati dalla trasformazione digitale dell’economia.

 In questo senso va preso seriamente il monito di Quintarelli sui limiti della sostenibilità della Sharing Economy così come si è finora manifestata (vedi sopra); senza per questo sottovalutare la lezione che la riduzione del costo del coordinamento che sta alla base del successo della piattaforme digitali della Sharing può’ fornire alle industrie tradizionali, disperatamente in cerca di salti quantici di produttività.

L’ultima considerazione è relativa al problema delle centinaia di migliaia di professionalità obsolete che operano nei settori dell’ IT tradizionale, sia nel mondo Vendor che in quello User; nonché all’ “esercito di riserva” di professionisti e consulenti espulsi dal mondo del lavoro, le cui competenze decadono di giorno in giorno. Si tratta di un grande problema sociale che non può essere affrontato in termini di assistenzialismo (non ce lo possiamo certo permettere), anche perché questa base di competenze meriterebbe di essere anch’essa ” trasformata” per servire come propellente per la crescita digitale del Paese. Per questo occorre, tuttavia, che politica e Governo – e la stessa Europa – riconoscano e facciano proprio, 50 anni dopo la “Sfida Americana”, il carattere strategico dell’investimento in competenze per vincere la “Sfida Digitale”: una specie di ” Piano Marshall” per la rigenerazione delle competenze obsolete e lo sviluppo delle nuove competenze digitali.

Il tema della diversa velocità relativa della disruption digitale a confronto con la lentissima evoluzione del mondo delle istituzioni solleva altri temi di grande importanza per la politica: il tema della sostenibilità di valori e istituti che, a partire dalla Rivoluzione francese, si sono consolidati e diffusi nell’ Economia industriale dell’800 e 900: “l’allargamento della democrazia,  il welfare pubblico e privato, le rappresentanze sindacali…”

Ancora più a fondo, rischiano di essere messi in crisi il principio di legalità e, con esso, la coesione sociale: da una parte, infatti, la flessibilità del digitale rischia di rendere estremamente manipolabili i terreni dell’ economia e della finanza, favorendo lo sviluppo di “terre di mezzo” in cui economia legale ed economia illegale tendano ad intersecarsi fino a divenire difficilmente distinguibili; dall’altra, il nostro naturale “ottimismo tecnologico” rischia di farci sottovalutare la presenza di grandi masse di quelli che Quintarelli definisce “stranieri “: che non sono soltanto coloro che, a rischio della vita, cercano rifugio nei nostri Paesi fuggendo da condizioni di vita impossibili, ma anche la maggioranza digitalmente “silenziosa” di nostri concittadini assai prossimi all’analfabetismo funzionale.

Il tema di un Piano Marshall per superare il divario digitale, dalla formazione delle nuove generazioni alla rigenerazione delle competenze professionali obsolete alla educazione digitale di cittadini  è quindi un tema che la politica deve assumere con piena responsabilità, come precondizione per le politiche di innovazione destinate ad accelerare la crescita digitale del nostro Paese.

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