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IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI TRA ANALOGICO E DIGITALE

simona_macellariA cura di Simona Macellari, Associate Partner, The Innovation Group

Con il decreto legislativo 18 APRILE 2016 N.50, che recepisce tre direttive UE,   finalmente vede la luce la nuova regolamentazione degli appalti di lavori, forniture e di servizi: un sostanziale passo avanti ma ancora non adatto al mondo digitale!

Tante sono le innovazioni, che ruotano intorno agli obiettivi per cui il nuovo codice nasce:

  1. Semplificare il complesso coacervo normativo pregresso, ben 660 articoli più una serie di altre leggi e allegati, riuscendo a snellire il tutto con 217 articoli;
  2. Rendere trasparente il processo:
    • Rendendo più difficili le varianti in corso d’opera
    • Rendendo possibile l’appalto della progettazione esecutiva dell’intera opera anche a lotti
    • Rendendo più certi tempi e costi per la realizzazione dell’opera
    • Cancellando le gare al massimo ribasso
    • Riducendo il sub-appalto
    • Introducendo sistemi di qualificazione delle imprese che tengono conto della «reputazione» di una azienda, acquisita attraverso la capacità di attuazione degli impegni contrattuali.

Rispetto al passato si è avuto un significativo progresso con il passaggio da un processo analogico a quello digitale, mediante non solamente la dematerializzazione dei documenti ma anche il disegno e la reingegnerizzazione dei processi, per ottimizzare la dimensione digitale del sistema appalti.  Pur essendo in presenza di un certo progresso, occorre sottolineare tuttavia che l’obbligatorietà della digitalizzazione è imposta fra tante deroghe, ex. art. 52 e seguenti, che di fatto ne riducono la valenza.

Ad esempio, infatti, le stazioni appaltanti non sono obbligate a richiedere l’uso di mezzi di comunicazione elettronici nella procedura di presentazione dell’offerta, quando ad esempio fossero richiesti mezzi di comunicazione elettronica particolari non comunemente disponibili nelle stazioni appaltanti.

Ciò è negativo anche in considerazione dell’impatto positivo che si avrebbe sulla riduzione degli oneri amministrativi, a tutto vantaggio delle PMI, e dell’aumento della trasparenza.

Meritevole di nota c’è il Partenariato per l’innovazione[1], e  l’ appalto pre-commerciale (PCP), per l’ acquisto di attività per Ricerca e Sviluppo volte alla creazione di soluzioni innovative, cioè di prodotti, servizi o processi non ancora presenti sul mercato ma che possano rispondere alle esigenze di performance e funzionalità del settore pubblico.

E’ un potente stimolo per la Pubblica Amministrazione sia nell’ottica della sua innovazione radicale sia in quanto le permette di svolgere un ruolo attivo nei confronti del mercato: la possibilità di condividere rischi e opportunità fra soggetto appaltante e fornitore, permette di partecipare ai benefici derivanti dall’attività di R&D.

Un aspetto critico poiché questo codice dovrebbe anche traghettare la pubblica amministrazione nell’universo digitale, è legato al settore ICT, a cui non si riconoscono le peculiarità endogene, come invece è stato fatto con la legge  208/2015 – Stabilità 2016, che regola gli acquisti di beni e servizi informatiche di connettività, da parte della P.A.: questi vengono centralizzati tramite Consip alla luce della predisposizione di un Piano Triennale per l’informatica della Pubblica Amministrazione da parte di AGID.

Essendo l’ ICT assimilato agli altri settori economici, viene trattato come, ad esempio, l’industria edilizia con risultati  critici per il comparto:

  1. Non distinguendo tra l’appalto per la costruzione di un’autostrada e uno per l’acquisto e l’implementazione di un database, sono chieste garanzie non conformi alla natura del servizio e del rischio connesso. Ovvio inoltre che per PMI e START UP questa è una barriera all’ingesso che le esclude direttamente dai giochi ma le fa rientrare come ditte subappaltanti, con le conseguenze di subire l’imposizione di tariffe “al costo” dai parte dei committenti.
  2. Tempi di risposta ed assegnazione per le gare , che se per un prodotto fisico non sono così rilevanti, per la tecnologia invece sono cruciali: la conoscenza e lo sviluppo tecnologico diventano obsoleti rapidamente con il trascorrere del tempo e proprio per questo motivo, molto spesso la pubblica amministrazione ha implementato  prodotti e servizi obsoleti ma che al momento della proposta erano lo stato dell’arte.Obbligo di esplicitare nelle proprie offerte i costi connessi alla sicurezza che, per aziende che operano nel settore tecnologico basato sulla proprietà intellettuale, non ha giustificazione e inibisce fortemente la partecipazione di PMI.

Siamo quindi di fronte a una situazione con molte luci ed ombre che non possono che farci riflettere come sia stato fatto un significativo passo avanti per la pubblica amministrazione, ma che abbiamo ancora molta strada da fare per aiutare il paese nel processo di digitalizzazione 4.0

 


[1] Ex art 65 Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori possono ricorrere ai partenariati per l’innovazione nelle ipotesi in cui l’esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi e di acquistare successivamente le forniture, i servizi o i lavori che ne risultano non può, in base a una motivata determinazione, essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato, a condizione che le forniture, servizi o lavori che ne risultano, corrispondano ai livelli di prestazioni e ai costi massimi concordati tra le stazioni appaltanti e i partecipanti. Qualsiasi operatore economico può formulare una domanda di partecipazione in risposta a un bando di gara o ad un avviso di indizione di gara, presentando le informazioni richieste dalla stazione appaltante per la selezione qualitativa.

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