LA SETTIMANA DIGITALE – IL MERCATO DIGITALE E IL DPCM SULLA CYBERSECURITY
La settimana digitale – Il mercato digitale e il Dpcm sulla cybersecurity

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I dati dell’Osservatorio AGCOM confermano una tendenza già rilevata nei mesi scorsi, la necessità per gli italiani di disporre di una connessione Internet sempre più veloce, un fenomeno evidenziato anche dal terzo Rapporto Auditel-Censis. Secondo Mediobanca, inoltre, la pandemia ha accelerato la crescita delle WebSoft mentre per Gartner nel 2020 la spesa IT mondiale diminuirà del 5,4% rispetto al 2019 per poi aumentare nel 2021 del 4%, per un valore totale di 3,8 trilioni di dollari. Nel frattempo l’Italia pubblica in GU il Dpcm sulla cyber sicurezza.

Nel quinquennio 2015-2019 le WebSoft hanno più che raddoppiato il fatturato aggregato, conseguendo una performance complessiva superiore a quella delle multinazionali manifatturiere. Aumentano anche utili, forza lavoro e valore di Borsa. L’emergenza sanitaria, inoltre, non ha frenato la loro corsa in termini di ricavi e profitti, entrambi cresciuti nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Lo ha evidenziato l’Area Studi Mediobanca in uno studio in cui sono stati analizzati i bilanci dei 25 giganti del WebSoft (Software & WebCompanies) nel quinquennio 2015-2019 e l’impatto del Covid-19 sui risultati del primo semestre 2020. Dall’analisi è emerso che se la grande manifattura ha subito, nel corso della pandemia, un calo dell’11% nel primo semestre 2020, i colossi del web hanno spinto sull’acceleratore, con una crescita del fatturato del +17% rispetto allo stesso periodo del 2019.

La crisi provocata dal Covid-19 ha influenzato in modo differente i ricavi: boom dell’e-commerce (+31,3% nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019), del Fintech (+26,1%), della sottoscrizione di abbonamenti (+24,6%) e dell’offerta di servizi cloud (+22,2%).

Al contrario si è registrata una riduzione dei ricavi legati alla sharing mobility (-22,6%) e delle vendite online di viaggi e prenotazioni di alloggi (-50,8%).

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Nel 2020 la spesa IT mondiale diminuirà del 5,4% rispetto al 2019, ammontando a 3,6 trilioni di dollari. Per il 2021 si prevede un rimbalzo del 4%, per un valore totale di 3,8 trilioni di dollari. A dirlo è Gartner secondo cui l’impatto del lockdown ha avuto conseguenze soprattutto su settori quali l’intrattenimento e il trasporto aereo che hanno diminuito la spesa IT di oltre il 30% nel 2020.

Va, tuttavia, specificato che le attuali previsioni di Gartner sono più positive di quelle pubblicate lo scorso maggio quando l’azienda aveva previsto che la spesa IT in tutto il mondo sarebbe ammontata a 3,4 trilioni di dollari nel 2020, un calo dell’8% rispetto al 2019.

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Tutti i segmenti di spesa It analizzati registreranno un calo nel 2020: -3,1% per i sistemi per data center, -3,6% per l’enterprise software, -13,4% per i device, -4,6% per i servizi It e -2,% per i servizi di comunicazione. Per il 2021, invece, la ripresa sarà maggiore in alcune specifiche aree, a cominciare dell’enterprise software, dove gli investimenti sono previsti in rialzo del 7,2%. Ciò si dovrà soprattutto alle iniziative di digitalizzazione delle imprese, alla necessità di dare supporto a personale che lavorerà in misura crescente da remoto (smart working) e all’esigenza di erogare servizi virtuali come l’insegnamento a distanza o la telemedicina.

L’AGCOM ha pubblicato il terzo Osservatorio sulle Comunicazioni del 2020, che vede nel settore della rete fissa una crescita delle linee a banda larga, con un conseguente calo di quelle in rame, e un aumento del consumo medio dei dati nella rete mobile.

I dati, che fanno riferimento al secondo trimestre del 2020 (periodo compreso tra Aprile e Giugno 2020) evidenziano come nella rete fissa gli accessi complessivi si siano ridotti di circa 100.000 unità rispetto al trimestre precedente e di quasi 370.000 unità rispetto a giugno 2019.

In continuità con quanto emerso nei precedenti aggiornamenti dell’Osservatorio, vengono rilevati significativi cambiamenti nella composizione delle tecnologie utilizzate per la fornitura del servizio: infatti, se nel Giugno 2016 l’86,5% degli accessi alla rete fissa era in rame, dopo quattro anni questi sono scesi al 41,2% (con una flessione di 9,4 milioni di linee).

Inoltre, sono aumentati gli accessi tramite tecnologia FTTC (+7,05 milioni di unità), FTTH (+1,06 milioni) e FWA (+ 620.000). In particolare, per la prima volta le linee FTTH hanno superato quelle in tecnologia FWA (1,46 contro 1,42 milioni).

Di conseguenza, vi è un aumento delle prestazioni in termini di velocità di connessione commercializzate dalle imprese: in quattro anni le linee con velocità pari o superiore ai 30 Mbit al secondo sono passate infatti da meno dell’11% al 62% del totale delle linee broadband e ultrabroadband, che vedono Tim quale maggiore operatore con il 42,2% di quota di mercato, seguito da Vodafone (16,6%), Fastweb (15,1%) e da Wind Tre (13,8%).

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Secondo i dati riportati da AGCOM, per quanto riguarda la rete mobile, invece, le SIM complessive (103,6 milioni a giugno 2020) risultano su base annua in flessione di circa 900.000 unità.

Prosegue anche la crescita dei consumi di traffico dati: nei primi 6 mesi del 2020 oltre il 70% delle linee human ha effettuato traffico dati, con un consumo medio unitario mensile di dati stimabile in circa 9,1 Giga al mese, in crescita del 58% rispetto a giugno 2019.

[I DATI FINANZIARI DELLE BIG TECH]

Huawei continua a crescere ma gli effetti della pandemia e le sanzioni statunitensi (che hanno generato diversi veti anche in Europa sull’impiego delle sue tecnologie) si fanno sentire sul ritmo di espansione del business. A riportarlo sono i dati rilasciati dalla stessa società e relativi ai primi nove mesi dell’anno da cui è emerso che i ricavi sono aumentati del 9,9% a 671,3 miliardi di yuan (circa 100,4 miliardi di dollari), ma che la crescita è stata rallentata. Il margine di profitto si è attestato all’8%, in calo rispetto al margine del 9,2% del primo semestre.

A incidere sulla performance della società sono state in modo particolare le sanzioni statunitensi che hanno interrotto il suo accesso alla maggior parte della tecnologia e dei componenti americani e l’emergenza coronavirus che «ha sottoposto la rete della fornitura globale di Huawei a forti pressioni mentre la sua produzione e le sue operazioni hanno visto crescenti difficoltà». 

In crescita i conti trimestrali di Netflix ma al di sotto delle attese. Il colosso dello streaming ha alzato il velo sul bilancio che rivela un giro d’affari migliore di quanto anticipato, cresciuto del 22% a 6,44 miliardi rispetto ai 6,38 miliardi previsti ma per il resto le attese del mercato sono state deluse. Nel dettaglio, i profitti sono aumentati del 18,7% a 790 milioni, pari a utili per azione a 1,74 dollari (contro i 2,14 dollari attesi). Anche sul lato abbonati Netflix ha deluso le attese registrando 2,20 milioni di nuovi iscritti alla sua piattaforma contro i 3,57 milioni previsti. Il primo semestre 2020 è stato da record per il gruppo, con un totale di 26 milioni di nuovi abbonati.

A Wall Street il titolo Netflix nel dopo mercato ha subito una caduta di circa il 6 per cento.

PRESS RELEASE

[BANCHE & FINTECH]

Le regole nazionali attualmente in vigore non coprono in modo adeguato il nuovo fenomeno fintech delle stablecoin: lo ha dichiarato il Financial Stability Board (FSB) che riunisce le banche centrali e i regolatori finanziari del G20. Come riportato da Reuters, è arrivato il momento di una regolazione cross-border delle stablecoin come Libra di Facebook adottando un approccio comune; lo stesso FSB ha già preparato la bozza di regulation con le linee guida su questa forma di criptovaluta che ha messo a consultazione ad aprile e che presenterà a breve nella forma definitiva.

La crisi del coronavirus ha accelerato l’adozione del cashless e dell’automazione dei pagamenti business-to-business. Per l’Italia, entro il 2024, è prevista una crescita stabile sia nelle transazioni con carta (con un CAGR del 6,1%) sia nel totale di transazioni cashless (+5,3%). I dati sono stati forniti dal report di BCG “Global Payments 2020: Fast Forward into the Future”, arrivato alla diciottesima edizione, che fotografa gli ultimi sviluppi del mercato dei pagamenti sia a livello globale sia regionale. In Italia, nel 2019 il numero di transazioni con carta pro capite è arrivato a 57, mentre le transazioni cashless a 92, valori che si allineano a ciò che avviene in Paesi come Spagna, Malta e Grecia, dove avvengono rispettivamente 103, 96 e 72 transazioni con carta pro capite. Altri fedelissimi al contante, come la Germania e l’Austria, si allineano al trend italiano, dove si arriva rispettivamente alle 68 e 105 transazioni con carta pro capite. Tuttavia, siamo ancora ben lontani dalla media dell’Europa occidentale, dove si contano 172 transazioni con carta e 264 transazioni cashless pro capite. Sono i Paesi Nord-europei a rimanere in testa ai trend di transazioni con carta con una media di 389 transazioni pro capite.

Data l’incertezza data dalla pandemia ancora in corso, BCG ha delineato tre scenari di crescita del fatturato basati sull’andamento del pil globale. In uno scenario di quick rebound, le prospettive di BCG suggeriscono che il pool di entrate dei pagamenti a livello globale si espanderà da 1,5 trilioni di dollari del 2019 a 1,8 trilioni di dollari nel 2024, con un CAGR del 4,4%. Sebbene solido, è molto inferiore alla crescita annua del 7,3% di cui il settore ha beneficiato dal 2014 al 2019. In uno scenario di lenta ripresa, invece, il pool di entrate globali raggiungerebbe 1,7 trilioni di dollari entro il 2024, con un CAGR del 2,7%. In uno scenario più pessimistico, il pool di ricavi crescerebbe solo di un CAGR dell’1,1%.

[CYBERSECURITY]

Lo scorso 21 ottobre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Dpcm 1, il decreto del Presidente del consiglio Giuseppe Conte che individua, allargandola ben oltre gli standard di Bruxelles, la platea degli operatori (gestori di infrastrutture e servizi ritenuti strategici) che rientrano nel Perimetro di sicurezza cibernetica nazionale, il sistema unico di difesa digitale messo in piedi dal governo.

Nel dettaglio, il Dpcm 1 detta i criteri attraverso cui i ministeri individuano i soggetti da includervi: sostanzialmente le aziende e gli enti pubblici che svolgono funzioni essenziali per lo Stato. Tuttavia, l’elenco, che sarà composto da circa 150 nominativi e sarà ultimato tra un mese, è e resterà riservato.

Nel caso di incidente, l’azienda violata è tenuta a informare, entro 6 ore al massimo, il Csirt (Computer security incident response team) cioè il gruppo di esperti istituito presso il Dis. Quando l’intrusione è grave, si attiva il Nucleo per la sicurezza cibernetica, che proporrà al presidente del Consiglio delle ipotesi di risposta all’attacco e coordina il ripristino del servizio.

Il nodo delle sei ore è cruciale, per due motivi: 1) dimostra quanto si è portata avanti la normativa italiana rispetto alla direttiva Nis europea, che impone l’obbligo di notifica entro le 24 ore successive non all’intrusione ma al malfunzionamento del servizio; 2) chi, nel Perimetro, non comunica l’incidente, rischia multe che arrivano a 1,5 milioni di euro.

Una volta inseriti nell’elenco segreto, gli operatori hanno sei mesi per fornire al governo la lista delle reti e dell’hardware utilizzato, che deve passare il vaglio del Centro di Valutazione e Certificazione nazionale, creato al Mise per scoprire le vulnerabilità sfruttabili dagli hacker. Per completare il Perimetro e incentivare i privati, un ulteriore contributo può arrivare dal Recovery Fund: servono almeno 2,5 miliardi di euro.

Una delle conseguenze delle restrizioni imposte per contenere la diffusione dei contagi da coronavirus durante il periodo della prima ondata dell’epidemia è che in Italia, nel primo semestre del 2020, reati come furti e rapine sono diminuiti. Secondo i dati raccolti nel Report della direzione centrale della Polizia criminale, che dipende dal dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, i crimini denunciati sono calati in totale del 32,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Allo stesso tempo, sono cresciute le segnalazioni di reati come usura e contrabbando e, soprattutto, le denunce a fronte dei crimini informatici.

Nel dettaglio, per quanto riguarda i crimini informatici, nei primi sei mesi del 2020 sono cresciuti del 23,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Tra i reati di questo tipo ci sono i furti dell’identità digitale e le clonazioni di carte di credito, ma anche l’accesso abusivo a sistemi informatici e frodi telematiche di vario tipo. Come ha raccontato al Sole24Ore il direttore del Servizio di analisi criminale, Stefano Delfini, il ricorso sempre più frequente allo smart working e alla didattica a distanza «hanno spostato una parte della delittuosità sulla rete». Un caso piuttosto frequente è quello di malintenzionati che si fingono operatori del servizio clienti delle banche e contattano per telefono il cliente con la scusa di verificare un’operazione effettuata tramite il servizio di home banking oppure segnalare una presunta truffa: i sedicenti operatori chiedono quindi ai clienti dati o credenziali che normalmente le banche non chiederebbero e, aggirandoli, finiscono col sottrarre denaro dai loro conti. Frodi informatiche come queste si verificano sempre più spesso e vengono di solito denunciate, ha spiegato Delfini, perché comportano quasi sempre un potenziale danno economico per la persona che le subisce.

[IL CASO GOOGLE]

Il governo americano fa causa a Google per la sua posizione di monopolio. Il prossimo 20 ottobre il Dipartimento alla Giustizia avvierà una causa antitrust contro Big G al termine di un’indagine durata oltre un anno. L’accusa ipotizzata è quella di condotta anti-concorrenziale per mantenere la posizione di monopolio nei motori di ricerca e nella pubblicità digitale, secondo le indiscrezioni di alcuni funzionari della giustizia americana anticipate dal Wall Street Journal.

Il procedimento segnerà la sfida legale più importante da parte degli Stati Uniti verso il dominio di un’azienda nel settore tecnologico da oltre due decenni e potrebbe ridisegnare i confini dell’industria digitale e del suo enorme potere. Secondo l’ipotesi accusatoria messa in piedi dal Dipartimento di Giustizia, Google nel corso degli anni è riuscita a mantenere e ad accrescere la sua posizione dominante sul mercato attraverso una rete di accordi commerciali esclusivi che avrebbe falsato la libera concorrenza.

In particolare, la holding di controllo Alphabet, sostiene l’accusa, utilizza i miliardi di dollari raccolti dagli annunci della sua piattaforma per pagare le aziende tecnologiche, i siti e gli operatori di telefonia per mantenere Google come motore di ricerca predefinito.Il risultato, secondo il governo, è che Google ha la posizione dominante su centinaia di milioni di pc, tablet e smartphone americani, con poche opportunità per qualsiasi concorrente di farsi strada.

NOTIZIA CORRELATA Big Tech: Francia-Olanda, Ue deve sanzionare pratiche sleali

«Una serie di obblighi e pratiche vietate» per i giganti del web, con «un approccio flessibile e proporzionato caso per caso» e la possibilità di «sanzioni su misura». E’ quanto chiedono Francia e Paesi Bassi in un documento congiunto sul nuovo regolamento europeo per le piattaforme digitali (Digital Service Act, Dsa), che la Commissione Ue presenterà a dicembre. Tra le proposte dei sottosegretari di Stato dei due Paesi rientra la possibilità per un’autorità europea di vietare alle piattaforme che dominano il mercato – ‘gatekeeper’ – di negare l’accesso di terzi ai loro servizi senza una giustificazione oggettiva. Altre possibili misure sono l’obbligo di condividere dati specifici, garantire l’interoperabilità dei servizi, e offrire opzioni alternative ai clienti.

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Il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha comminato una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti della società Google Ireland Limited per la violazione della normativa sul divieto di pubblicità relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, nonché al gioco d’azzardo di cui al c.d. “decreto dignità”.

Nel dettaglio, l’Autorità ha rilevato che “Google Ireland, titolare del servizio Google Ads (servizio di indicizzazione e promozione di siti web), ha consentito, attraverso il servizio di posizionamento pubblicitario online, la diffusione, dietro pagamento, di link che indirizzano verso determinati siti, in violazione delle norme di contrasto al disturbo da gioco di azzardo.

Google vuole convincere la Commissione Europea sulla bontà dell’acquisizione di Fitbit, operazione da 2,1 miliardi di dollari avviata a fine 2019 e sottoposta ad indagine antitrust per valutarne i potenziali rischi sul mercato, specie riguardo la gestione dei dati degli utenti.

La situazione è in evoluzione ed entrambe le parti stanno lavorando per trovare un accordo. Secondo quanto riportato da Reuters ora Google avrebbe deciso di accettare alcune richieste dell’UE per offrirle ulteriori garanzie e ottenere l’approvazione definitiva e procedere con l’operazione di acquisizione. In particolare, Google si impegna a limitare l’utilizzo dei dati raccolti dai dispositivi Fitbit per la personalizzazione degli annunci pubblicitari sul proprio motore di ricerca, garantire l’accesso alla piattaforma Android alle aziende concorrenti nonché ai dati degli utenti ad app e servizi di terze parti.

[IL CONTACT TRACING] 

 Il ministro dell’Innovazione Paola Pisano ha dichiarato che l’app Immuni ha raggiunto gli 8,6 milioni i download, riuscendo a contenere, dal 1 giugno, 16 potenziali focolai. In questo modo è stata, dunque, superata la soglia di efficienza funzionale del 15% individuata, in un contributo scientifico dell’Università di Oxford e Stanford, come il valore minimo in grado di ridurre le infezioni e i decessi: il numero di persone che ha scaricato l’app corrisponde, infatti, al 16% della popolazione italiana con più di 14 anni.

Dallo scorso 19 ottobre è entrato in funzione il gateway che permette alle app anti-Covid dei paesi UE di scambiarsi i dati sui tracciamenti dei contagi. Le prime a dialogare tra loro sono tre app, quelle di Germania e Irlanda, oltre all’italiana Immuni.

Il secondo gruppo di app sarà collegato nei prossimi giorno. Si tratta delle app della Repubblica Ceca, Danimarca, Lettonia e Spagna. Le altre app, invece, saranno collegate al sistema a novembre.

PER APPROFONDIRE – App Immuni, ecco perché il sistema di tracciamento non ha funzionato

[DIGITAL ITALY] 

La marcia verso la rete unica della fibra per portare l’internet veloce del 5G sta provando ad accelerare sotto l’egida del Governo, anche se con qualche rallentamento. Mostra ottimismo l’Amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, che nel suo intervento al Digital Italy Web Summit ha ricordato l’obiettivo del suo Gruppo: poggiare a terra quanta più rete possibile, cablare il Paese nei prossimi 5-6 anni, migrare grande parte dei clienti Tim verso queste reti moderne. “È un obiettivo ambizioso”, ha ammesso Gubitosi, ribadendo che il maggiore player nazionale della telefonia è pienamente a favore di un assetto di mercato compatibile e coerente col nuovo codice europeo delle comunicazioni elettroniche, cioè con il co-investimento.

Durante la pandemia la centralità di un accesso ad Internet è divenuta ancora più rilevante, per via delle nuove esigenze di smart working e didattica a distanza. A riportarlo sono i dati del terzo Rapporto Auditel-Censis: “L’Italia post-lockdown: la nuova normalità digitale delle famiglie italiane” secondo cui, nel luglio 2020, la percentuale di persone che aveva accesso a Internet è cresciuta in maniera significativa, raggiungendo l’88,4%. Nello stesso periodo sono, inoltre, aumentate, seppur di poco, le famiglie che dispongono di un collegamento a banda larga su rete fissa, passando dal 55 al 56%.

Nel dettaglio, le famiglie dotate di connessione sia fissa che mobile sono aumentate del 12,4, mentre quelle con una sola linea mobile si sono ridotte del 32,8%. Il 48,6% delle famiglie italiane, pari a 11 milioni e 800mila (32 milioni e 800mila individui, il 54,3% degli italiani), hanno svolto almeno un’attività on line durante il lockdown e per 8 milioni e 200mila famiglie (24 milioni e 300mila italiani) era la prima volta. Il 31,7 delle famiglie italiane ha fatto acquisti di prodotti non alimentari su internet; il 20,8% ha svolto attività di studio a distanza (per il 15,2% era la prima volta); il 17,5% ha lavorato in smart working (per l’11,3% era la prima volta). Il lockdown – evidenzia il Rapporto – ha rappresentato, quindi, «un formidabile acceleratore di innovazione per le famiglie, spingendo anche quelle che erano rimaste più indietro a dotarsi di una connessione internet che le rendesse in grado di svolgere quante più possibili attività a distanza».

Tuttavia, dall’analisi emerge che durante il lockdown oltre 3,5 milioni di famiglie italiane (il 14,8%), essendo prive di device tecnologici, sono rimaste totalmente isolate sperimentando un “vero distanziamento sociale”.

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