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Banche “fragili” e fintech con piedi per terra

 

Dopo la pandemia, la guerra, il costo dell’energia, l’inflazione, ecco l’ennesima crisi che si somma: quella delle banche. La Silicon Valley Bank in California prima, Credit Suisse in Svizzera poi e non ultimo l’attacco speculativo a Deutsche Bank. Il sistema bancario continua a mietere vittime e da molto tempo la valutazione e la fiducia è in calo. Le banche si stanno dimostrando organizzazioni fragili, troppo fragili e il ruolo delle Banche Centrali a volte non è sufficiente non tanto ad affrontare le crisi ma a stabilire regole e farle controllare in modo efficace. Dopo la fine della lunga stagione dei tassi a zero o addirittura negativi e il ritorno della lotta all’inflazione che era stata dimenticata, alla luce di crack bancari, già in essere e potenziali, vengono riproiettati gli spettri del 2007-2008-2009 (crisi finanziaria globale e conseguente recessione).  La crisi e il salvataggio delle banche americane e di Credit Suisse sono due fenomeni diversi apparentemente disconnessi, ma che devono essere considerati due facce della stessa medaglia.

La Silicon Valley Bank storicamente si era posizionata su start-up e venture capital dove le banche tradizionali fanno più fatica ad arrivare. Questo evento sta modificando profondamente tutto il settore delle start-up perché il 50% di esse aveva un conto presso SVB e anche se i depositi sono stati salvati questo segnerà per sempre il settore. Con un mercato di tassi bassi o negativi il settore fintech è esploso. Perché il costo del capitale per le start up del credito, che si finanziavano con linee di credito era molto basso.  Ad esempio, il modello BNPL (Buy Now Pay Later) è esploso come modo di fare credito al consumatore. Tutte i segmenti del Fintech sono cresciuti dalle piattaforme di trading, alle nuove banche con conti e carte a zero costi. Tutto ciò era reso possibile dalla crescita del venture capital che riceveva capitale da fondi pensione e altri investitori in cerca di rendimento. Questi fondi hanno investito milioni di dollari nelle start-up facendole crescere esponenzialmente e con tante start-up diventate unicorni. La situazione di oggi è quasi rovesciata e il settore ha dimostrato di essere fragile e si teme che inizi una fuga generale dei consumatori che non si fidano più di istituzioni finanziarie nuove e poco regolate. Le start-up che nasceranno dovranno avere modelli di business sostenibili e prezzi più competitivi e segnano una forte discontinuità con il passato. Ciò che preoccupa non è solo la velocità con cui la crisi è arrivata anche se è evidente una incapacità manageriale di gestione di una banca che deve salvaguardare e bilanciare depositi a breve e investimenti e debiti a lungo temine, ma che ci siano già altre banche americane locali che traballano e con la fuga dei depositi verso grandi banche.  

Anche la crisi del Credit Suisse, certo più grave per le dimensioni globali dell’istituto elvetico, è da tempo noto per problemi di cattiva gestione e dunque non è stata una sorpresa per nessuno.

Uno dei fattori più gravi e comune ad entrambi i casi è che, né le grandi banche centrali né tantomeno i governi abbiano calcolato, e quindi prevenuto, il rischio di crisi bancarie generate dalla brusca (per velocità e dimensione) inversione della politica monetaria da loro decisa di fronte alla crescita dell’inflazione che ha colpito il mondo a partire dal secondo semestre dell’anno scorso.  

L’aumento dei tassi di interesse deciso dalle banche centrali riduce il valore dei titoli di stato nei quali le banche hanno investito depauperando l’attivo delle banche.  Si era sicuri che l’inasprimento delle regole impresso (molto in Europa, meno negli Usa) dopo il 2008 potesse fare da argine. Ma qui non siamo di fronte (solo) ad un problema regolatorio. Quella che è mancata è la comprensione di ciò che avrebbe comportato mettere velocemente fine ad un regime di denaro facile, senza costo, durato 15 anni da aver ingenerato nel mondo del business come tra la gente comune l’idea che si trattasse della normalità, non di uno stato d’eccezione.

Le banche servono perché consentono di diversificare il rischio e controllano il debitore in modo efficace. I depositanti mettono sul conto i loro soldi, ritirabili in qualunque momento, la banca li presta a lungo termine a imprenditori o famiglie, lucra sul differenziale dei tassi (più alti a lungo, più bassi a breve) e controlla in modo efficace l’uso delle risorse, cosa che milioni di depositanti non potrebbero fare. Nel mondo di ieri, però, nessuno pensava a spostare i propri soldi dal conto, se succedeva perché si spargeva la voce che la banca era gestita male, poteva avvenire la “corsa agli sportelli”. Oggi nessuno va più allo sportello, basta un clic dalla app del cellulare. E togliere i soldi dal conto per metterli, per esempio, in titoli di stato che rendono il 4-5 per cento a rischio quasi zero non è una scelta dettata dal panico, ma razionale, specie in tempi di alta inflazione

Naturalmente, come sempre, il detonatore è stato il panico che si è diffuso velocemente tra investitori e risparmiatori anche per la facilità con cui la tecnologia digitale oggi permette di comunicare e sollevare “panico” con e sui social media e i clienti fare transazioni bancarie da mobile. Spostando depositi su banche o investimenti alternativi. Come è anche stato evidenziato dal governatore della FED la corsa agli sportelli di Silicon Valley Bank è stata agevolata, velocizzata dai social media ed è stato normale che investitori e risparmiatori abbiano cominciato a bussare alle porte di fondi e banche per recuperare i loro soldi.

Non si vogliono qui analizzare e valutare le cure e i metodi utilizzati da governi banche centrali sia nel caso americano che quello svizzero anche se molte critiche sono state sollevate per il trattamento speciale riservato ai depositanti del SVB e per le priorità date agli azionisti e non ai possessori di obbligazioni nel caso del salvataggio di Credit Suisse con la vendita a UBS.

Quello che sé è osservato è che tutti i più autorevoli rappresentanti di diversi Paesi europei e dei loro Regolatori si sono affrettati a dire che in Europa siamo relativamente al sicuro. Questo è vero, le banche sono maggiormente capitalizzate e il credito più regolamentato e va valutata come dimostrazione di questa consapevolezza la scelta della Bce di non interrompere il suo programma di rialzo dei tassi recente.

 Se le banche perdono il senso sociale e la loro fragilità intrinseca (crediti a lungo termine, debiti a breve) diventa ingestibile, gli argomenti per aiutarle diventano più deboli. Aumentare i requisiti patrimoniali non basta. Vale la pena ricordare che 15 anni fa la crisi nacque americana e poi però finì per essere prevalentemente europea, e che molte delle ragioni della debolezza strutturale di allora del Vecchio Continente sono tuttora esistenti, a cominciare dal fatto che da noi gli strumenti di politica monetaria e quelli di politica di bilancio sono separati e l’unione bancaria è ancora un’incompiuta, con tutti i rischi che ciò comporta. La crisi di fiducia nelle banche non riguarda tanto dettagli del loro conto economico, ma la loro stessa natura e la tecnologia amplifica opportunità ma anche gli errori e le conseguenze di rischi non gestiti.

 

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